Lavvocato Siegel e il signor Sanden

 

     A volte, non interpretare velocemente o correttamente un punto di passaggio storico, uno snodo di non ritorno, può essere fatale.

     Nell'agosto del 1940 l'avvocato Siegel, Ebreo tedesco, e la sua famiglia, organizzano una fuga dalla Germania nazista, da cui riescono a scappare: un lungo viaggio che parte da Berlino, passando per la Russia sulla Transiberiana, attraversando Corea e Giappone. Da qui una nave li porterà in America, ma loro andranno fino in Perù.

     La storia dell’avvocato Siegel inizia sette anni prima: il 10 marzo 1933. Sono passate poche settimane da quando Adolf Hitler è salito al potere. In Germania qualcosa sta cambiando. In molti guardano curiosi agli sviluppi della politica interna tedesca, senza capire bene cosa stia realmente accadendo. Assistono. I nazionalsocialisti si insediano - legittimamente - nei municipi, come a Monaco. Si sono subito messi all'opera, girando per le strade della città e prendendo di mira i negozi dei commercianti ebrei. Minacce perlopiù, ma in alcuni casi si passa alle maniere forti.

     Il signor Max Uhlfeder, proprietario del secondo grande magazzino più importante della città, si avvia come ogni giorno al lavoro. Quel che trova al suo arrivo è solo distruzione: vetrine sfasciate e gli interni, gli arredi, la merce, devastati dalla furia degli uomini delle SA. Questi, non contenti, arrestano lo stesso Uhlfeder che, con altre 280 persone, è trasportato nel campo di Dachau in "custodia protettiva", come si legge nel documento redatto dagli ufficiali. Gli arrestati sono tutti Ebrei.

     Il suo avvocato, il signor Michael Siegel, viene contattato dalla famiglia dell'imprenditore, e subito si attiva. Valigetta alla mano, entra negli uffici della polizia per sporgere denuncia, quell'arresto non aveva alcun senso, Uhlfeder non aveva commesso alcun reato, i suoi diritti civili erano stati ignorati. Seduti alla scrivania, però, Siegel non trova i soliti ufficiali di polizia, ma uomini in divisa che indossano camice brune. Sono gli uomini delle Sturmabteilung, un gruppo paramilitare del partito nazista.

     Siegel inizia a esporre la questione, ma da dietro la scrivania partono solo risate. Risate che si trasformano in insulti. E dagli insulti si passa alla violenza. Siegel viene colpito al volto, poi viene preso di forza e portato nel seminterrato del municipio, dove viene picchiato pesantemente. Poi, tramortito, lo caricano di peso e lo portano fuori dagli uffici. Un uomo con un cartello gli si avvicina, lo costringe a stare dritto e immobile: glielo deve mettere addosso. Su questo una scritta, un monito: "Ich bin Jude aber ich will mich nie mehr bei der Polizei Beschweren (sono Ebreo ma non voglio mai più lamentarmi con la polizia)".

     Siegel è costretto a camminare per le strade di Monaco, seguito da un drappello di sette uomini delle SA, che marciano baldanzosi, mentre raccolgono qualche approvazione da parte delle persone che si fermano a osservare la scena. Altri rimangono di pietra, vedendo quell'uomo ferito e pestato a sangue sfilare con quella scritta appesa al collo. Il piccolo corteo arriva fino alla stazione centrale. Siegel rimane eretto, il sangue che gli cola sugli occhi pesti, fino alla bocca. Le SA gli intimano di fermarsi, caricano i fucili, glieli puntano addosso. L'ufficiale lo schernisce, poi dice: "Jetzt stirbst du, Jud! - Ora morirai, Ebreo". Poi scoppiano a ridere, fanno dietro front e se ne vanno.

     Siegel è sconvolto, vuole e deve tornare a casa dalla sua famiglia. Si incammina tra la folla, qualcuno continua a deriderlo. Tra questi, però, si trova il fotografo Heinrich Sanden. Con la sua macchina fotografica aveva immortalato quanto accaduto all'avvocato. Si avvicina a Siegel e gli chiede: "Ho il suo permesso di pubblicare le foto che le ho scattato?".

     La risposta di Siegel è secca: "Sì".

     Il fotografo intuisce immediatamente l'importanza di quelle foto, ma allo stesso tempo il rischio che rappresentano: se lo dovessero trovare in possesso di quegli scatti farebbe di certo una pessima fine.

Chiama un'agenzia giornalistica americana con sede a Berlino.

La redazione gli compra le foto e gli dice di inviarle appena possibile.

Le foto partono per gli USA, Washington DC. Il 23 marzo 1933 il Washington Times le pubblica. Le foto fanno il giro del mondo.

     Sanden continuò la sua attività di fotoreporter, ma quell'esperienza, quella scena di quell'uomo umiliato in una pubblica piazza, non la dimenticò mai. E come lui tante altre persone. La gente cominciò a capire che in Germania qualcosa stava cambiando e che forma questo cambiamento stesse prendendo.

     Lavvocato Siegel divenne, a propria insaputa, un simbolo internazionale della persecuzione antisemita in Germania e non apprese della foto fino agli anni '70.

     Nonostante il clima crescente di violenza e di discriminazione antisemita, l’avvocato Siegel e la sua famiglia rimasero a Monaco. Gli fu revocato il passaporto nel 1934 e reintegrato nel 1935. Poi gli agricoltori locali avvertirono il dottor Spiegel dell'imminente Kristallnacht, il 9 novembre 1938. Fuggì in Lussemburgo e tornò alcune settimane dopo, solo per perdere la licenza legale. All'inizio del 1939 la famiglia Siegel lasciò la propria casa e trovò un altro alloggio. Il loro nuovo piano terra fungeva da sinagoga di emergenza, i nazisti avevano raso al suolo la sinagoga principale della città. Il figlio diciottenne del dottor Siegel, Peter, e la figlia quattordicenne Beate, emigrarono presto in Inghilterra.

     Lavvocato Siegel e la moglie Mathilde chiesero asilo in Perù. Il cammino per il Perù iniziò nellagosto 1940. Attraversarono la Lituania, la Siberia, la Russia e il Giappone, prima di arrivare in Perù. 

Siegel iniziò a lavorare in una libreria di Lima. Negli anni del dopoguerra, lavorò per stabilire un'ambasciata per la Repubblica Federale di Germania nella capitale del Perù, Lima. Ben presto divenne rabbino della comunità ebraico-tedesca a Lima. 

 

     Nel 1953, lavvocato Siegel poté nuovamente esercitare la professione forense in Germania, e aiutò i rifugiati ebrei tedeschi in Perù e in altre parti dell'America Latina.

     Nel 1971, all'età di 89 anni, ricevette la Gran Croce al Merito della Repubblica tedesca "in riconoscimento dei suoi eccezionali servizi allo Stato e al popolo". 

     Accettò il premio in nome di tutti gli ebrei tedeschi a Lima e non smise mai di perseguire i casi di restituzione post-bellica.

     Morì nel 1979 all'età di 97 anni.

     Non portava rancore nei confronti del popolo tedesco, perché aveva conosciuto anche persone decenti.

     Un giorno gli chiesero cosa stesse pensando durante il pestaggio. Senza mezzi termini la risposta dell'avvocato fu: "che sarei sopravvissuto a ognuno di loro".