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Che cos’ha di così speciale, Venezia?

Sembra un mare verde, di oltre cinquanta sfumature, dal verde Arlecchino al Lime, fino al Foresta, passando per il verde Caraibi. Peccato che non si possa nuotare, ma è l’unica cosa che non si può fare, e i flutti ondeggiano ai leggeri colpi di vento e allo stesso tempo pare stiano immobili a prendere il sole.

Offre silenzi e un'atmosfera rarefatta, da cui si dipartono strade e piazze, palazzi e chiese.

È la città dai cento orizzonti.

Invita alla lentezza e all’equilibrio.

Nei suoi interni, stanze dalle delicate tonalità pastello, stucchi e bassorilievi, fragili lampadari di Murano e un passato di personaggi celebri che vi hanno soggiornato, con le tante leggende che su di loro aleggiano. Figure indimenticabili che sono il simbolo di epoche successive, a dar voce a desideri e speranze, con quella straordinaria prova di resistenza di cui i veneziani furono capaci, di generazione in generazione.

 

A Gustav von Aschenbach, in “Morte a Venezia” di Thomas Mann, piace pensare che il male che sta vivendo Venezia sia un po' simile alla sua intima sofferenza amorosa, rigorosamente celata, per il giovane Tadzio, con la sua bellezza inesprimibile che poteva solo essere evocata.

Questa è Venezia, bella, lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, che per Thomas Mann rappresenta la cultura e la bellezza come slancio vitale e, insieme, come declino della vita: un ambiguo e stupendo fondale di eventi.

La città stessa ben si presta a rappresentare l’ambiguo connubio tra Amore e Morte: seducente erede di un passato glorioso e culla di artisti, Venezia è ormai l’oscuro fantasma degli sfarzi di un tempo.

Con le strette calli, i portici e le acque ristagnanti e la sua strana e inquietante bellezza, e l’impressione di grazia ed eleganza, crea una vera e propria ossessione, una sorta di delirio amoroso che si trasforma in Pierre Sartori in un punto di riferimento etico ed estetico – con la tensione spirituale dell’arte e dell’amore a rompere gli schemi con la poesia.

 

Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni e la felicità del poeta è il pensiero che può divenire totalmente sentimento, e il sentimento che può divenire pensiero e il poeta cammina insieme a Venezia, la mano nella mano, anche nel regno delle ombre…

Immagini e impressioni si approfondiscono nel silenzio, acquistano peso, si trasformano in episodio, in avventura, in fatto sentimentale. E anche una certa forma di solitudine matura l'originalità e la bellezza audace e inquietante della poesia di Pierre Sartori.

Camminare senza meta, avendo in mente al massimo una direzione verso cui tendere. Perdersi tra calli, salizzade e campielli, trovarsi all’improvviso di fronte ad angoli pittoreschi e inaspettati, percorrere un sottoportego senza incontrare nessuno, tra una corte e un ponte, un pozzo e un portone, aumenta un’impressione di perfetta casualità che cela una calcolata armonia e perfezione.

 

“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meraveige; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie…”.

Con queste parole si chiude “Favola di Venezia, Sirat Al Bunduqiyyah”, storia tra le più famose raccontate da Hugo Pratt, in cui Corto Maltese, cadendo dal tetto di un palazzo in campo S.M. Domini, inizia a vagare e perdersi tra le calli della Serenissima rincorso da gendarmi, massoni e poeti.

Perché Venezia è un luogo magico, pieno di tesori nascosti – tra logge massoniche, leoni greci, simboli esoterici e misteri biblici – nella mitica città dei dogi, dove sottile è il confine tra sogno e realtà…

È un misto impronunciabile di noia, sorpresa e sbigottimento per la continua meraviglia in cui ci si imbatte, unito a un senso di malinconia…

È un mistero irrisolvibile, un dedalo di calli chiuse in una serie di labirinti che possono portare a vicoli ciechi come alla visione di inaspettate meraviglie ed è questo ciò che narra Pierre Sartori nelle sue poesie.

 

Hugo Pratt raccontò: “Avevo quattro o cinque anni, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Levi, che abitava in una casa molto antica. A questa casa si accedeva salendo una vecchia scala di legno esterna chiamata ‘scala matta’ oppure ‘scala delle pantegane’, o ancora ‘scala turca’… Andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di uno shed, ossia di un demonio, e ogni porta si apriva con una parola magica”.

Alla fine Corto Maltese e, con lui, il suo creatore Hugo Pratt, si ritroverà a chiedersi se l’oggetto della sua ricerca non apra le porte nascoste della magia, svelando la vera natura del tempo e dello spazio in questa città di segreti, oppure non sia altro che “… la materia stessa di cui sono fatti i sogni”, nei desideri di ognuno di noi, tutti in partenza verso isole del tesoro, in un mondo un po’ più libero da schemi e confini, un luogo in cui valga davvero la pena di vivere e, se possibile, realizzare ognuno i propri sogni.