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Tutto è chiaro, distinto, inequivocabilmente stagliato nella diafana atmosfera che avvolge la narrazione, ora tenera e suadente, ora oscura e nebulosa e che con un’incantata e miracolosa energia dipana le incertezze e illumina i coni d’ombra, inevitabili ostacoli della vita.

La storia di due donne, legate dal vincolo della parentela, s’interseca con quelle di altre donne e di altre vite, legata alla tormentata vicenda della persecuzione razziale, per giungere a una sorta di sublimazione naturale degli avvenimenti, come scostando un velo dopo l’altro, come un affrettarsi impaziente, a raggiungere svolta dopo svolta.

In occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio 2021, il libro vuole rappresentare un omaggio a Cesare Israel Moscati, affinché non vada perso il suo lavoro, svolto con dedizione e Amore, e con l’intento di proseguire il suo Progetto di Vita.

Cesare Israel aveva un’anima inquieta; grande, generosa, immaginifica e inquieta. Perché solo le anime inquiete generano passioni potentissime, prolifiche e immarcescibili.  

La consapevolezza di ciò che si è, e non anche di ciò che si possiede, assume, a favore di ognuno di noi, una dimensione salvifica della propria esistenza; ma tale consapevolezza, o meglio, la ricerca di essa, in Cesare Israel è stata di una portata di vastità interstellare. Tutto ciò che non si può contenere, deve essere liberato.

Leggere nell’anima di Cesare Israel ha un senso, ancor prima che nelle sue parole, nell’Universo che ci circonda. Cogliere nell’anima di Barbara, ancor prima che nei suoi versi, un senso, significa trovare dimora nella geometria frattale che unisce noi a D-o ed Egli a noi.

La sacralità dell’esistenza, ecco cosa raccomanda al lettore, questo magico insieme di messaggi raccolti in questo libro.

Ecco cosa ha rincorso Cesare Israel per tutto il suo breve, intenso, passaggio terreno… il collegamento, il nesso logico ed accettabile, tra il nostro tempo e la fede dei Padri.

È stato costretto, come troppi, a fare i conti con tutto l’odio riversatogli contro, ma anche e soprattutto con quello ereditato dai suoi cari, passati per i tetri e lugubri camini nazisti.

Il pesante fardello che gli Ebrei portano sulle spalle non è solo il loro, nel senso che non è solo quello sopportato sulle proprie schiene, non è solo quello personale o familiare. È ben altro; è un peso accumulatosi in millenni di bieca, quanto irrazionale, feroce ignoranza. Un peso anche, e forse soprattutto, psicologico. Mal distribuito, ma sapientemente, scientificamente riposto e moltiplicato con il solo e unico intento di schiacciare, di seppellire. Se a un individuo qualsiasi, tutto ciò genera un risentimento dominabile, in Cesare Israel generò un malessere interiore, profondo ed escatologico.

Sulla sua schiena e sulla sua coscienza gravò il peso di milioni di oppressi. Ma la sua anima si salvò, così da potere raccontare al mondo, tramite l’amata arte della cinematografia, che la vergogna dei miserabili non può bastare a oscurare la luce irradiata dalla ragione.

Nella lingua ebraica, a riprova della complessità e della illuminante filologia che la compone, esistono tre differenti definizioni del termine “anima”, e tutte e tre sono enunciate in seno alla Tōrāh, in questo ordine cronologico: Rūăḥ  Nefeš   Neshamah. Ebbene, ciò che renderà degna la lettura di quest’amabile, tenero libro, sono tutte e tre le definizioni, consapevolmente e umilmente prese in prestito e, con straordinaria perizia, incastonate nella tessitura del racconto.