Storie di Donne 2.0_ ©Barbara de Munari

Fiabe, poesie in prosa, racconti imparati a memoria dagli anziani. Tutto riprende vita.

E le lune e le montagne si specchiano nei valloni e nelle vallate, e maghi, principi e giovani trafficoni ascoltano le preghiere del tramonto tra gli Angeli e le Fate, gli Elfi e le Creature del bosco e del prato, dell’acqua, delle rocce e dei castagni fioriti che portano sogni a grandi e bambini.

Mentre l’odore del pane fresco si diffonde nella notte e tra le stelle, tra le lucciole e i grilli di prima estate, tra i fiori del ciliegio, tra le fragole e le ortiche nel bosco e le viole di velluto scuro in un giardino abbandonato.

Radici antiche riemergono nelle poesie che parlano di ricordi, di voci della natura, di bellezza, di fantasia e del senso della vita, con piccoli sprazzi di meditazione.
Un grande omaggio alla lingua piemontese e a un suo antico dialetto celtico – biellese da parte di una grande Autrice, da vent'anni alla scoperta di questa lingua, che segue norme ben definite, con fantasia creativa e aderenza alle proprie fonti.
I suoi personaggi rivivono nei primi anni del 1900, nel medioevo o quando i Romani cercavano l'oro nella Bessa. E, alla fine, un grande classico: la piccola commedia "Gilindo a Betelem", "Gelindo a Betlemme", un prezioso omaggio alla tradizione.

Perché ci fu un tempo in cui la Valle dell’Elvo (dell’Elfo) ed il Biellese furono zona abitata dai Celti, che crearono una propria letteratura, della quale tuttavia sono scarsissime le testimonianze. Tale tradizione letteraria era trasmessa solo oralmente, per opera dei Bardi e dei Druidi.

L'uso della scrittura - in alfabeto greco, latino o iberico - era riservato alle funzioni pratiche, poiché presso i Celti era ritenuta illecita la trascrizione della sapienza (poetica e religiosa): volendone preservare la segretezza, i sapienti la tramandavano esclusivamente per via orale, dedicando a questo compito molti anni di studio e l'impiego di mnemotecniche.

Le parlate dei Celti nell'Europa continentale si estinsero tutte in età romana imperiale, sotto la pressione del latino, delle lingue germaniche e, nel caso del galato, del greco. Esse peraltro agirono da sostrato nella formazione dei nuovi idiomi, germanici o neolatini, che si svilupparono nelle regioni che ospitavano i loro parlanti.

Poi i Romani trasformarono la Terra dei Celti in REGIO XI TRANSPADANA. La Regio XI Transpadana fu una delle regioni augustee d'Italia ed era importante da un punto di vista strategico: da essa si potevano controllare le valli alpine e i relativi passi, oltre ad essere molto interessante per la sua intensa attività estrattiva dell’oro dal Monte della Bessa.

I Romani, che avevano diviso l'Italia settentrionale, da loro chiamata "Gallia Cisalpina", in due regioni, la Gallia Transpadana, a nord del fiume Po, e la Gallia Cispadana, a sud del fiume, non perseguirono un'assimilazione forzata delle popolazioni conquistate, ma consentirono – pragmaticamente - agli abitanti di continuare a professare la loro religione, utilizzare la loro lingua e mantenere le proprie tradizioni.

La “romanizzazione” dell'area avvenne quindi per gradi e, aggiungiamo a posteriori, fortunatamente in modo parziale: passarono i Romani, e arrivarono i Longobardi; poi, nel 1377, il territorio entrò a far parte del Ducato di Savoia e nel 1623 nacque un particolare e curioso stemma araldico: un genietto, alato al braccio sinistro, con un peso al braccio destro, circondato da ulivo, alloro, quercia e da un monte, simboli della natura circostante… e simbolo che le tradizioni celtiche erano ancora tutt'altro che estinte.

In una sorta di “rinascita laica” del territorio e delle sue attività nel XX secolo, i Celti, i Bardi, i Druidi, le Fate dei boschi e gli Elfi, tutto ritornò al suo “posto” e da qui presero vita le leggende, i racconti e le poesie di LA LUN-A PIEN-A.

NULLUS ENIM LOCUS SINE GENIO EST.

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