LA ‘LIBERAZIONE’ DEI CAMPI È IL Frutto DEL CASO

 

Intervista di Antoine Strobel-Dahan ad Annette Wieviorka (Fonte Tenou'a)

 

 

Traduzione dal francese a cura di

Barbara de Munari

 

Il 7 aprile 1945 Meyer Levin, corrispondente di guerra americano per la 'Overseas News Agency e Jewish Telegraphic Agency', invia un dispaccio da Ohrdruf in Germania: “Ora abbiamo trafitto il cuore oscuro della Germania. Abbiamo raggiunto la zona dei campi di macellazione umana che i nazisti, nel loro terrore, volevano nasconderci . 

Con il collega francese Éric Schwab sono appena entrati in un campo satellite di Buchenwald, Ohrdruf, il primo campo nazista scoperto dall'esercito americano.
Seguendo il viaggio di questi due giornalisti, la storica Annette Wieviorka propone, nel libro 1945, La scoperta, i primi momenti della scoperta di questo  evento che molto più tardi si chiamerà Shoah.

 

Che cos’è la “liberazione” dei campi?

 

Preferisco parlare di apertura dei campi piuttosto che di liberazione dei campi perché, in un certo numero di casi, i primi campi scoperti dagli eserciti alleati occidentali e dall'Armata Rossa furono completamente o quasi svuotati dei loro detenuti. 

Cronologicamente, l'Armata Rossa scopre il campo, praticamente svuotato dei suoi prigionieri, di Lublin-Majdanek nel luglio 1944.

Nel novembre 1944, lo Struthof, in Alsazia, completamente vuoto, viene aperto dagli americani. 

Nel gennaio 1945 le avanguardie delle forze russe penetrano nei campi di Auschwitz, cioè Auschwitz I, Birkenau, Monowitz (con la fabbrica IG-Farben denominata Buna), e in una quarantina di sottocampi. 

Questi campi, che sono stati i luoghi dell'assassinio di oltre un milione di uomini, donne e bambini, quasi tutti Ebrei, devono prima essere pensati come un gigantesco cimitero di ceneri. 

In questa serie di campi, quando il numero degli effettivi raggiunse il picco massimo, nell'agosto 1944, c'erano da 130.000 a 140.000 prigionieri. 

Da settembre, di fronte all'avanzata degli eserciti alleati, i nazisti iniziarono a evacuare i prigionieri da Auschwitz verso i campi all'interno del Reich, con una punta che culmina il 17 e 18 gennaio 1945, quando quasi 110.000 detenuti vengono messi sulle strade, per quello che i detenuti chiameranno «marce della morte» - anche se solo una parte di esse era fatta a piedi, il resto in treno, il più delle volte con vagoni scoperti.

Il termine «liberazione» non è appropriato perché gli scenari sono molto diversi: ci sono campi vuoti o quasi vuoti; poi ci sono campi come Buchenwald, dove rimangono ancora più di 20.000 prigionieri, e poi, molto più tardi, Bergen-Belsen, Mauthausen, Dachau. 

Ma che cosa si sta liberando? Strutture o persone? E quando si liberano le persone, in che stato si trovano? 

Ci sono stati circa mille morti al giorno a Bergen-Belsen, nei giorni successivi alla liberazione del campo. 

Se vogliamo essere corretti con le parole, dovremmo dire che «scopriamo» i campi e che un certo numero di prigionieri viene liberato con queste scoperte.
Da parte dei deportati, nei campi in quel momento, non c'è alcuna forma di celebrazione di questa «liberazione». 

Ci furono in verità alcune cerimonie solenni in alcuni campi dove esistevano potenti organizzazioni di prigionieri, come Buchenwald. Ma non certo a Theresienstadt o a Bergen-Belsen, e ancor meno ad Auschwitz.

 

Come avvennero queste scoperte dei campi da parte degli eserciti alleati?

 

La «liberazione» dei campi di Auschwitz è frutto del caso, come avviene per tutti i campi dell'Occidente. Non c'è mai stato nessun piano particolare da parte degli eserciti per andare a liberare i campi. Essi sono sempre stati scoperti per caso e aperti senza combattimento – dal punto di vista militare, quindi, sono non-eventi.
Per capire, è necessario contestualizzare le cose: tra lo sbarco alleato e la riunione delle truppe, il 25 aprile 1945, al ponte Torgau sull'Elba, passa quasi un anno durante il quale i soldati combattono e muoiono per vincere la guerra contro la Germania nazista.

Quindi l'ossessione degli stati maggiori alleati è vincere la guerra e distrarre il minimo delle forze da questo obiettivo che, in ogni caso, deve portare alla liberazione.
Quando i sovietici arrivarono ad Auschwitz, trovarono, sparsi nei diversi campi, circa 7.000 prigionieri. Questo numero è molto basso rispetto al numero di Ebrei assassinati e rispetto al numero di persone che erano nel campo solo pochi mesi prima. 

Questo è il motivo per cui la maggior parte dei sopravvissuti che incontriamo oggi sono stati liberati in un luogo diverso da Auschwitz, tra aprile e maggio 1945.

 

I deportati venivano trasferiti da Auschwitz o da altri campi verso l'interno del Reich, a costo di lunghe «marce della morte», perché?

 

Per comprendere queste marce della morte, dobbiamo sospendere l'idea che li si volesse sterminare tutti. 

Se tale fosse stata la volontà dei nazisti, sarebbero stati sterminati. 

Certo, si è sterminato anche in quel momento e c'è infatti un ordine di non far cadere i detenuti nelle mani degli eserciti alleati ma, in realtà, fino alla fine, un certo numero di capi del Reich pensò di poter ancora vincere se riuscivano a far sparire l'intera macchina della guerra. Inoltre, non c'era più manodopera tedesca disponibile, né alcuna possibilità di portare quella necessaria per il lavoro obbligatorio, e l'unica manodopera disponibile era la popolazione dei campi di concentramento. Questo spiega sia perché alcuni Ebrei furono risparmiati sia perché finirono in questi campi tedeschi.

 

Nel tuo libro leggiamo che Meyer Levin fu tra i primi ad entrare nel campo di Ohrdruf. È per lui, come per gli altri soldati americani, uno shock e una rivelazione. Tuttavia, sappiamo poco di questo campo, di cosa si tratta?

 

Ohrdruf è stato il campo più filmato. 

Divenne anche in un certo senso il modello visivo dell'arrivo dei liberatori nei campi. 

Eppure, questo campo è caduto completamente nell'oblio, semplicemente perché è tornato ad essere un terreno militare nella Germania dell'Est. 

Il memoriale è allestito a Buchenwald, a pochi chilometri di distanza.
Entrando a Ohrdruf, gli Americani scoprono, per la prima volta, fosse comuni, un mondo di morte che li sconvolge nel profondo del loro intimo. 

Tra i soldati e i giornalisti presenti, solo Levin era interessato alla dimensione ebraica dei massacri.

 

Perché la storia della liberazione dei campi è così poco conosciuta in Francia?

 

Il primo campo a occidente, quello di Ohrdruf, iniziò a funzionare nel novembre 1944.

Questa è una data chiave per capire perché in Francia è stato scritto così poco sull'apertura dei campi: a quel tempo la Francia era già stata liberata da alcuni mesi – si è prodotto dunque uno slittamento temporale. 

Inoltre, il rimpatrio dei deportati si mescola a quello del milione di prigionieri di guerra e dei 750.000 richiesti dallo STO (Servizio di Lavoro obbligatorio). 

Tutto ciò spiega perché non si è costituito, in Francia, come evento storico, contrariamente a quanto è avvenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti che, da un lato, non dovevano liberarsi e, dall'altro, erano i liberatori di questi campi.
Inoltre, i sopravvissuti francesi, tutti compresi, Ebrei deportati e altri, rappresentano solo da 40.000 a 50.000 persone. 

Il contesto è però da ricostruire e non è favorevole alla messa in luce di una sofferenza che ora sappiamo avere un carattere particolare.
Ma è così non solo in Francia; nessuno ha le parole giuste: dei campi sappiamo, naturalmente, ma niente può descrivere ciò che è stato fatto agli Ebrei. 

Certo, scopriamo fosse comuni, ma questa cosa, il genocidio, non esiste ancora perché non ci sono parole, se non nel mondo yiddish con la parola «Hurbn». 

E ci vorranno anni per trovare un vocabolario. 

Nelle nostre famiglie si diceva «durante la guerra». 

È proprio la guerra l'elemento principale per gli eserciti ma anche e soprattutto per le vittime. 

Per molto tempo è stato un segreto di famiglia. 

A poco a poco questa cosa ha lasciato il segreto di famiglia, anche dei singoli, per divenire un evento storico, in particolare con il processo Eichmann, e il film americano «Holocaust». 

In Francia, solo nel 1979 l’Associazione degli insegnanti di storia e geografia adotta il termine «Shoah», termine che sarà poi reso popolare dall’omonimo film di Lanzman.