IL GENERALE E LA LIBERTÀ

 

“Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate” (G.K. Chesterton).

 

Ed ecco, a quindici giorni dall’uscita del non-libro, la messa online del non-sito/blog – sempre del generale e sempre con lo stesso titolo.

Aggressivo, rutilante, scritto a caratteri cubitali (perché si deve vedere da lontano?) e con alcuni caratteri che, scorrendoli con il mouse, cambiano anche colore, da nero a rosso – forse per evidenziare la pregnanza del contenuto che veicolano.

Un’immagine di apertura, la stessa, inquietante: un’eclissi totale di sole – da tempi immemorabili, presso tutte le “culture”, sotto tutte le latitudini, negativa e considerata foriera di lutti e cattivi presagi, ma tant’è.

Scorci disinvolti e artistici, architettonici, scelti forse con il criterio di rilevare che la “cultura e la tradizione” colà abitano, a Siena, Roma, Milano (solo là?). Non si sa. Rimarremo con l’interrogativo.

Concetti cardine: “cultura”, “storia”, “normalità”, “tradizione”, “futuro” ma, al disopra di tutto, “libertà” – e, inneggiando alla libertà, nasce anche il movimento culturale del generale, con tanto di raccolta firme e comunicato stampa che annuncia la nascita del suo movimento.

Ma fa veramente male, è doloroso, leggere con quanta disinvoltura la parola “libertà” venga usata, trascurandone – non si sa se volontariamente o meno – le valenze e le implicanze.

Perché la libertà è preziosa, fragile, delicata e importante. 

Da Socrate e Platone in poi, si ragiona sul concetto di “libertà” (che non è un concetto assoluto ma è un concetto relativo: esiste la “libertà da…”, la “libertà di…”. Ad esempio, secondo Platone, la “libertà” si deve eticamente rapportare con il mondo e, in questo mondo, ciascuna anima è responsabile della propria scelta e ognuna avrà, per guidarla nella sua vita, il demone (dàimon) che si sarà scelto.

Plotino, a sua volta, riconduce la libertà del volere non a un impulso, bensì «al retto ragionamento e alla giusta tendenza».

La libertà viene di solito, e a ragione, invocata a proposito delle rivendicazioni e delle difese dei “diritti” dell’essere umano: diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, alla proprietà, a muoversi e ad associarsi, a difendere le proprie opinioni, e così via.

Meno di frequente, la libertà viene messa a confronto con le “responsabilità”: responsabilità di fronte alle azioni compiute, responsabilità di fronte alle scelte fatte o da fare, responsabilità sulla verità di quello che si dice e sulle testimonianze che si rendono, responsabilità in quanto dovere di rispondere delle proprie libere azioni.

Ci si chiede in che cosa consista la libertà, quale sia il suo fondamento e la sua definizione, quali siano i diversi tipi di libertà, quali le sue possibilità e i suoi limiti.

L’essere umano è davvero libero?

Si dovrebbe parlare di libertà e contingenza, libertà e coscienza, libertà e vita pubblica, libertà e responsabilità… avendo ben presente che la libertà viene violata e impedita ogni volta che si ostacolano i diritti, e lo si può fare in tante forme, dalle più aperte e manifeste a quelle più nascoste e insidiose.

Nella democrazia di oggi, infatti, la libertà è prioritaria e le scelte pubbliche non possono violarla ma, pur di preservare la propria sfera, il singolo non pretende altro che di essere tutelato, protetto. Non gli interessa partecipare, rinuncia.

Il paradosso del nostro tempo è che, quanto meno sono capaci di impegnarsi nel fare delle scelte, tanto più gli esseri umani enfatizzano questa libertà. Tutto si equivale in una società che può avere tutto, ma non sa perché dovrebbe volerlo.

Ma, in realtà, io sono responsabile per chi c’era prima, per chi c’è ora, per chi ci sarà dopo. 

La storia non comincia da me.

 

Prima di me c’è sempre l’altro che mi interroga, a cui sono chiamato a rispondere. Perché è in questa tensione verso l’altro che si costituisce l’io. E l’agire umano è dotato di senso e valore solo se è guidato da princìpi che, per quanto possibile, se pur relativi tendano all’universalità.

 

In un libro di Hannah Arendt  “Tra passato e futuro” si considera la crisi in vari settori dell’agire umano, determinata da una lacuna (o frattura) nell’agire umano, che interrompe il solco tracciato dalla tradizione, analizzando due concetti politici fondamentali e in stretta connessione reciproca, ovvero autorità e libertà.

Hannah Arendt coglie questo aspetto, evidenziandolo con l’aforisma del poeta René Char “La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento”, per indicare che il filo della tradizione si è spezzato e manca di continuità.

Ciò rappresenta un aspetto importante poiché permette di scoprire quelle origini dei concetti tradizionali che sono andati perduti nella voragine tra passato e futuro.

Nella società in cui l’essere umano si muove ed agisce, questa voragine rende ogni singolo individuo vittima e, se da questa voragine ogni singolo individuo deve uscire, in questa voragine, qualcuno sembra invece muoversi a proprio agio.

La condizione dell’agire presuppone lo spazio pubblico, l’essere con gli altri. Essa coincide con ciò che i greci chiamavano “polis”, ovvero quello spazio di intersoggettività in cui gli uomini potevano entrare in relazione gli uni con gli altri. L’agire può dunque verificarsi solo se si è in relazione con un'altra persona. L’agire costituisce un ambito politico e presuppone il rapporto tra gli individui. 

Secondo Hannah Arendt ciò si è realizzato una sola volta nella storia, nel caso della “polis” greca: la “polis” è vista dall’autrice come fondamento della politica in quanto luogo dell’esercizio della libertà.

Si potrebbe continuare a lungo ad analizzare, ma non è questo il luogo – solo ci preme considerare che, essendo, come detto prima, la libertà “cosa” preziosa, fragile, delicata e importante – non la si può ridurre ad uno slogan estivo per generare consensi.

Perché gli esseri umani possono (purtroppo o per fortuna) adattarsi a quasi tutto ma, nel farlo, a volte perpetuano il male.

 

©Barbara de Munari