Il rabbino Elio Toaff racconta l’orrore

di Sant’Anna di Stazzema – 12 agosto 1944

 

Il 12 agosto 1944, il giorno della strage dei 560 martiri di S. Anna di Stazzema, il futuro rabbino capo di Roma Elio Toaff era nella zona dell’eccidio. Tale notizia apparve il 30 ottobre 1982 sul quotidiano “La Repubblica” che pubblicò l’intervista concessa da Toaff al giornalista Giampaolo Pansa.

Nato a Livorno, dove anche suo padre era rabbino, Elio Toaff rievocò gli anni del fascismo e la sua cattura da parte di un reparto delle SS comandato – come apprese dopo – dal maggiore Walter Reder, che nell’estate 1944 aveva la sua stessa età, 29 anni.

Toaff ammise di non essere più stato a Sant’Anna di Stazzema. Bazzichi, per anni sindaco di Stazzema, ebbe l’idea di invitarlo ufficialmente a S. Anna, per onorare le vittime della strage. Ne parlò con il giornalista Giorgio Giannelli, fondatore e direttore, per diversi anni, del periodico “Versilia oggi”. Parlando di S. Anna Toaff anni fa disse: “Posso chiamarla la piazza della mia vita? Forse sì. Ogni uomo ha una storia al centro della propria vita. E ogni storia ha un luogo. Il mio luogo è la piazza di Stazzema”. Il perché ce lo spiega poco dopo…

“Nel 1941 divenni rabbino di Ancona. Poi, nel 1946, fui rabbino di Venezia. E nel 1951 arrivai a Roma di cui poi divenni il rabbino capo. Che cosa significa. Per intenderci, fui il rabbino capo d’Italia perché presiedevo la consulta rabbinica italiana. Roma è la più grande comunità ebraica del nostro paese. Oggi gli italiani ebrei sono un po’ meno di quarantamila, i deportati nei campi di sterminio nazisti furono ottomila. Vivi ne ritornarono 213.

La storia che sta al centro della mia vita comincia nell’anno della deportazione. Da Ancona sfollai a Fabriano con mia moglie e il primo dei nostri quattro figli, Ariel, che quando fui arrestato dalle SS di Hitler aveva un anno.

Nel settembre 1943 mi resi conto che dovevo fuggire anch’io. Gli ebrei di Ancona erano circa seicento, i più anziani li nascosi in case di contadini. I più giovani gli aiutai a passare il fronte, sui pescherecci che partivano da Ortona a Mare.

Poi ce ne andammo anche noi in Toscana, dove ci rifugiammo a casa dei miei, ad Orciano Pisano. Eravamo arrivati da qualche ora che si fece vivo il maresciallo dei carabinieri. Parlò con il fattore. ‘So che qui ci sono degli ebrei. Ditegli di prepararsi perché oggi pomeriggio alle tre verrò per arrestarli’. Ha capito? Un uomo straordinario. Quanti di noi si sono salvati grazie ad uomini come quel maresciallo. Comunque, si dovette di nuovo partire. Andammo in un altro rifugio e poi da mio suocero, Ezio Luperini, il quale meriterebbe una pagina a parte.

Era il più grande latifondista dell’Isola d’Elba, ma era anche socialista. Così regalò tutte le sue terre ai contadini e divenne operaio all’Ilva, macchinista della ferrovia a scartamento ridotto della miniera di Capoliveri. Fu il primo sindaco socialista di Capoliveri dal 1914 al 1922.

Dopo la marcia su Roma, emigrò negli Stati Uniti, da dove poi ritornò poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale.

Ci nascondemmo in una villetta alle Focette per poi fuggire ancora, questa volta a Val di Castello, dove ci sistemammo nel gabinetto chimico delle miniere. Ormai si era nell’estate del 1944, in Versilia i partigiani combattevano a ridosso del fronte, io collaboravo con l’avvocato Salvadori, un socialista versiliese, uno dei capi della resistenza locale che teneva i contatti con i giovani delle formazioni partigiane.

La notte dell’8 agosto 1944 uscii dal rifugio alla ricerca di mio cognato. Era cominciato un grande rastrellamento e volevo avvisarlo. Mentre mi arrampicavo sulla montagna, sopra le miniere, mi presero le SS. Dopo ho saputo che li comandava il maggiore Walter Reder (un ufficiale della stessa età del rabbino Toaff, ventinove anni) che poi successivamente farà anche l’eccidio di Marzabotto dove furono trucidate 1836 persone. Le SS battevano la montagna e noi prigionieri si camminava davanti a loro, portando sulle spalle le casse di munizioni, gli facevamo da muli da soma e anche da scudo. Sul monte Gabberi il reparto cadde in una imboscata, nessuno di noi ostaggi fu colpito ma sette o otto tedeschi morirono.

Ci fecero portare i feriti a valle fino a Farnocchia di Stazzema. Qui gli opici delle SS bombardarono le case coloniche. Dall’alto si vedevano le fiammate, il fumo, la gente che scappava come formiche dai formicai. Poi ci condussero a Montramito, in undici dentro una stalla.

Di questi undici ero l’unico ebreo e non solo ero ebreo, ma un rabbino ebreo. I tedeschi ci fecero spogliare quasi nudi. Io avevo con me il taled, lo scapolare che si porta noi ebrei, lo zucchetto e anche una foto di mio fratello emigrato in Palestina, dietro c’era scritto Tel Aviv. Non so come riuscii a nasconderli alle SS, che ogni due ore entravano nella stalla. Entravano e ci ferivano con i calci dei fucili e con le baionette. Ho ancora i segni delle baionettate in questo braccio.

Il secondo giorno dei miei compagni vennero fatti uscire dalla stalla. Sentimmo un gran trambusto. Poi delle grida. Poi più niente. Guardammo da una fessura. Quei sei li avevano impiccati nel cortile. Pendevano dagli alberi con la gola straziata dal filo spinato. Allora capimmo quale sarebbe stata la nostra sorte.

All’alba del terzo giorno diedero a ciascuno di noi una pala e un piccone e ci trascinarono in un uliveto. Un tedesco prese le misure sul terreno poi ordinò: “Ognuno si faccia la fossa“.

Dopo un po’ che lavoravo mi dissi: ‘No, io non scavo più’. Gettai la pala e cominciai a pregare, allora si avvicinò un capitano delle SS. Mi chiese: ‘Perché non lavori?’.

‘Perché sono malato di cuore’.

Chiese ancora: ‘Hai famiglia?’.

‘Sì, una moglie e un bambino di un anno e mezzo’.

Lui mi disse: ‘Anche io ho moglie e un figlio a Vienna, sono austriaco, faccio il professore di matematica’.

Dopo questo dialogo, un po’ assurdo, il capitano se ne andò. Le altre SS ci osservavano ridendo, ci sputavano addosso e orinavano su di noi. Ormai le fosse erano scavate e l’ufficiale ritornò. Mi chiese: ‘Tu sei fascista?’.

Risposi di no e lui ordinò: ‘Questo lasciatelo venire fuori’. Le SS mi tirarono su, poi cominciarono a sparare sugli altri quattro.

I miei compagni non erano ancora morti che già i tedeschi li coprivano di terriccio. Vedevo questi mucchi di terra sussultare, di sotto venivano dei lamenti, mi sembrava di uscire di senno. Il capitano mi offrì una pistola. ‘Dagli tu il colpo di grazia’. Non so come ebbi la forza di rifiutarmi, dopo un istante una delle SS cominciò a picchiarmi con il calcio del fucile. Svenni. Mi risvegliai nella stalla. Un tedesco mi disse: ‘Tu andrai a La Spezia e poi in Germania’.

Ma il camion che doveva condurmi via incappò nei partigiani e allora mi portarono nelle scuole sempre a Montramito. Stavamo in tre o quattro nello sgabuzzino delle scope, c’era anche un vecchio. L’avevano preso con la nipote di diciotto anni. La ragazza era stata portata su, nella camera dei soldati e il vecchio piangeva. Verso mezzanotte si fece vivo il misterioso capitano di Vienna prese me e un altro giovane e ci spinse sulla strada mormorando: ‘Via, via!”, dopo un po’ cominciò a sparare in aria con la pistola, io mi nascosi in un campo. Il giorno seguente mi trascinai dai miei a Val di Castello, quasi non mi riconobbero. Ero una larva tremante, coperta di sangue.

Ma le SS mi cercavano ancora, erano dei ragazzi poco più che adolescenti. Cercavano la spia bionda, cioè mio cognato e quello scappato, cioè me, allora fuggimmo in direzione del Capannaccio in montagna. Conoscevamo un pastore in contatto con i partigiani. Per arrivarci si doveva passare per il paese di S. Anna di Stazzema. Ma proprio su S. Anna quel sabato correvano voci tremende:‘ I tedeschi radunano molti ostaggi. I tedeschi li hanno visti venire da S. Anna con le braccia sporche di sangue’. Ed ecco Elio Toaff che prosegue il terribile racconto a “ La Repubblica”.

‘Quando arrivammo a S. Anna era sera tardi, la sera del sabato 12 Agosto. All’inizio del paese vidi una casa con l’uscio spalancato. L’uscio cigolava mosso dal vento, guardammo dentro la casa immersa nel silenzio. In cucina c’era una donna sventrata a colpi di baionetta. Proseguimmo sbigottiti. C’era la luna. Quando fummo vicini alla spianata della chiesa cominciammo a sentire un odore di bruciato, come di carne che arrostiva.

Quella piazza di S. Anna in quella notte… indescrivibile, fra il platano e un cippo c’erano decine e decine di persone uccise. Sui corpi le SS avevano gettato paglia, le panche della chiesa e poi la benzina. Tutto bruciava, se uno non avesse visto non può capire, c’erano molte donne e bambini. Tanti bambini, tanti bambini. Tutti assassinati.

‘A S. Anna non ho più voluto rimetter piede. Mi invitano sempre, ma non mi regge il cuore per tornarci. Per anni, ogni anno, il 12 Agosto, mi prendeva un tremito senza ragione. E non ho dimenticato. Ho rivisto S. Anna di Stazzema quando la televisione ci ha mostrato le immagini dei civili palestinesi uccisi a Sabra e Chatila. E mi sono rivisto sulla piazza di S. Anna la mattina di quell’altro sabato, davanti alla sinagoga, mentre camminavo tra i feriti a terra, nel sangue, verso il bambino Stefano che moriva’.

 

 

Renato Sacchelli

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12 agosto 2022