Ebraismo e cancel culture

La tradizione ebraica premia la molteplicità di voci, ma ritiene anche che alcune idee siano troppo pericolose per circolare liberamente.

 

L’esclusione di qualcuno dalla vita comunitaria attraverso l'ostracismo sociale o, in alcuni casi, la scomunica – ciò che oggi spesso chiamiamo cancellazione – ha una lunga storia nella vita ebraica. Dai tempi biblici fino ai giorni nostri, questi strumenti di disprezzo sociale sono stati utilizzati per dichiarare certe idee o persone al di fuori delle norme comunitarie, sebbene siano stati generalmente impiegati raramente e in genere con l'approvazione delle autorità comunitarie riconosciute. Sebbene tecnicamente qualcuno potesse subire questa punizione per una serie di misfatti, inclusi alcuni innocui come la mancanza di rispetto, è stata utilizzata principalmente per punire i colpevoli di eresia.

 

Cos'è la cultura della cancellazione?

La cancel culture è l'idea che certe azioni o idee siano così totalmente inaccettabili da meritare l'esclusione dalla società. I parametri esatti della cancel culture possono variare. La maggior parte delle persone concorderebbe sul fatto che i tentativi di allontanare un trasgressore, espellerlo da un particolare social media, rimuoverlo da una posizione di prestigio o influenza, o persino licenziarlo dal suo lavoro, siano considerati cancel culture. Ma il termine è stato usato anche per riferirsi ai tentativi di esigere un prezzo economico per una presunta trasgressione culturale, come quando gli inserzionisti ritirano il loro supporto a un talk show il cui conduttore ha pronunciato qualcosa di inappropriato. I bersagli della cancel culture possono, e a volte lo fanno, riabilitarsi, ma come suggerisce il termine stesso, cancel culture implica un tentativo di eliminare i trasgressori e le loro opinioni dal dibattito sociale. 

Per i difensori di questa pratica, la cancellazione è un meccanismo legittimo per mantenere il dibattito pubblico entro certi limiti. Ma i critici la vedono come una forma di totalitarismo, che esige un prezzo così alto per la deviazione che molte persone si sentiranno costrette a seguire la linea prescritta. Sebbene il fenomeno sembri moderno – il termine stesso è entrato nel lessico comune solo negli anni 2010 ed è spesso alimentato da reazioni indignate su internet – la pratica di considerare certe idee, azioni o persino persone al di fuori del normale è ben consolidata nella tradizione ebraica. 

Quando Dio cancellò Amalek

Probabilmente il corrispettivo più vicino alla cultura della cancellazione nella Torah è il comando di Dio di eliminare la tribù di Amalek . L'ingiunzione è specificata in Deuteronomio 25:19, che ordina agli Israeliti di "cancellare la memoria di Amalek sotto il cielo". La parola ebraica per cancellare – timcheh – condivide la radice con un'espressione comunemente usata in alcune comunità ebraiche oggi in relazione al nazismo: y'mach sh'mam , che letteralmente significa "possano i loro nomi essere cancellati". 

La natura precisa del peccato che meritò una punizione così unica per Amalek – la tribù non è l'unica ad aver mosso guerra agli Israeliti, ma è l'unica a essere designata per la completa eradicazione – è oggetto di dibattito. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il loro reato fosse quello di colpire i vulnerabili, attaccando alle spalle una debole nazione israelita recentemente liberata dalla schiavitù egiziana. Altri suggeriscono che, avendo attaccato gli Israeliti subito dopo i miracoli dell'Esodo, abbiano dimostrato una sfacciata mancanza di timore di Dio. Quindi, sebbene sia chiaro che in almeno un caso la Torah affermi inequivocabilmente che la cancellazione sia meritata – e anzi obbligatoria – non è chiaro quali circostanze precise la richiedano. 

La sezione del Deuteronomio contenente i tre comandamenti riguardanti Amalek – sradicarlo, ricordare ciò che ha fatto e non dimenticarlo – è narrata pubblicamente in una lettura supplementare della Torah durante lo Shabbat prima di Purim , la festività il cui principale antagonista, Haman, si dice sia un discendente di Amalek. (Quando il nome di Haman viene letto ad alta voce durante la recitazione pubblica del Rotolo di Ester , è tradizione fare rumore per renderlo inudibile – in effetti, per annullarlo.) Ma i rabbini successivi furono chiaramente sconcertati da quello che sembra essere un obbligo di commettere un genocidio. Il Talmud (Yoma 22b) include un insegnamento che suggerisce che Re Saul – che non diede ascolto al comando di Dio nel Libro di Samuele di sterminare Amalek, comprese le loro donne, bambini e animali – discusse con Dio, chiedendogli perché non dovesse avere pietà dei bambini e degli animali innocenti.

Scomunica

L'altro concetto biblico che ha a che fare con la cultura della cancellazione è herem . Comunemente tradotto come "scomunica", nella Bibbia equivaleva a una punizione di morte per una serie di peccati gravi. Ai tempi del Talmud, il herem era essenzialmente una forma di grave ostracismo sociale. Il herem più famoso della storia fu quello del filosofo olandese del XVII secolo Baruch Spinoza , che fu scomunicato dalla comunità ebraica di Amsterdam per non meglio specificate "eresie abominevoli che praticava e insegnava e per le sue azioni mostruose".

Il herem poteva essere imposto per reati puramente retorici, come in seguito avvenne per Spinoza. Maimonide, nella sua enumerazione dei 24 reati per i quali era giustificata la scomunica, incluse diverse violazioni che potevano essere raggruppate sotto la voce generale di mancanza di rispetto: insultare un uomo colto, chiamare schiavo un altro ebreo o insultare un messaggero della corte rabbinica. La maggior parte delle voci dell'elenco, tuttavia, si riferisce a violazioni rituali. Nessuna di queste riguarda semplicemente il sostenere o esprimere un'opinione impopolare. 

Tuttavia, il herem fu imposto ai tempi di Maimonide proprio per questo tipo di ragioni. Gli studiosi francesi proibirono i suoi libri per eresia, contestando in generale il tentativo di Maimonide di sintetizzare il pensiero e la filosofia ebraica e diverse affermazioni specifiche, tra cui quella che Dio non ha forma fisica. Maimonide, a sua volta, comminò la scomunica a un altro leader della comunità ebraica egiziana, Sar Shalom ben Moses, per reati fiscali. 

In tempi moderni, il herem è stato istituito solo raramente e generalmente per motivi di devianza ideologica. Nel XVIII secolo, il Gaon di Vilna approvò un decreto di scomunica contro il nascente movimento chassidico, dichiarando eretici coloro che si impegnavano in una serie di pratiche discutibili. Nel 1945, il rabbino Mordecai Kaplan, fondatore del movimento ricostruzionista, fu formalmente scomunicato da un gruppo di rabbini ortodossi che bruciarono pubblicamente un libro di preghiere da lui scritto, dichiarando che "dimostrava totale eresia e una completa incredulità nel Dio di Israele e nei princìpi della legge della Torah di Israele". Nel 2006, il rabbino capo di Israele lanciò un appello a scomunicare i membri della setta chassidica Neturei Karta, molti dei cui membri avevano partecipato a una conferenza in Iran con l'intento di dimostrare che l'Olocausto non aveva avuto luogo. 

Il Talmud sulla cancellazione

In generale, i rabbini del Talmud erano chiaramente a loro agio con la diversità di opinioni e si impegnarono a fondo per garantire che le opinioni delle minoranze fossero preservate nel testo come degni argomenti di studio. In effetti, il Talmud è spesso considerato l'esempio paradigmatico dell'accettazione da parte dell'ebraismo di molteplici punti di vista e del suo rifiuto di cancellare dalla tradizione le opinioni impopolari. Ciononostante, i rabbini sostenevano una forma di cancellazione sociale.

Vale la pena notare che i rabbini talmudici tolleravano l'ostracismo per qualcosa di apparentemente insignificante come la mancanza di rispetto. È anche importante notare che la punizione non veniva imposta dalla folla, ma da due rabbini eruditi che sedevano in tribunale e stabilivano che l'ostracismo fosse una punizione appropriata. Infine, il testo implica che l'ostracismo non è una condizione permanente. Ha un limite temporale, dopo il quale il trasgressore può rientrare nella comunità. 

Il Talmud include un famoso caso di cancellazione permanente: Elisha ben Abuyah, un tempo stimato studioso che divenne apostata e fu quasi completamente estromesso dal Talmud, chiamato solo aher, che significa "altro". I dettagli sono limitati, ma dal racconto talmudico è chiaro che Elisha, un tempo eminente studioso e membro del Sinedrio, abbandonò l'osservanza ebraica e divenne eretico, apparentemente dopo un incontro con Dio descritto nella famosa allegoria dei quattro che entrarono nel pardes (frutteto). Quindi, sebbene il Talmud rispettasse certamente la diversità di opinioni, certamente non le tollerava tutte

Conclusione

Quindi l'ebraismo tollera la cancellazione? La tradizione ebraica premia innegabilmente la molteplicità di voci e il disaccordo per scopi nobili, ma certamente non avalla l'idea che ogni idea sia degna di considerazione. E alcune idee (e i loro promotori) sono considerate troppo pericolose o dannose per poter circolare liberamente. I leader ebraici, sia antichi sia moderni, si sono avvalsi di vari strumenti per garantire il mantenimento di determinati confini tra comportamenti, religiosi e di altro tipo, e idee. La sfida, allora come oggi, è determinare dove tracciare tali confini. [Fonte: Jewish Learning, traduzione dall'inglese a cura di Barbara de Munari]

 

 

 

ROCCO DI TEL AVIV, dal nostro corrispondente da Tel Aviv, Giuseppe Kalowski, 2 maggio 2025

 

Qualche giorno fa, nella centralissima Piazza Dizengoff a Tel Aviv, ho incontrato i miei amici Dario e Veronica, accompagnati da uno splendido cagnolino, un barboncino marrone tendente al " gingi" ( rosso) di nome  Rocco.

Chiacchierando con loro, e tra una carezza e l'altra al cane, Dario mi ha stimolato a scrivere un articolo su questa città più unica che rara nel rapporto con gli animali e più in particolare con i cani.

TA non è solo una città piena di vita, culturalmente vivace, con un lungomare bellissimo, piena di giovani, con una vita notturna senza sosta: è anche la città degli amici dell'uomo.

Ci sono almeno 25. 000 cani registrati su una popolazione di 400.000 abitanti. 1 amico peloso ogni 17 umani!

È un vero e proprio amore nei confronti dei cani che ha trasformato la città in un vero paradiso a loro disposizione. Ci sono oltre 70 parchi per i cani e almeno 2 spiagge esclusivamente a loro riservate.

I cani a TA sono veri cittadini, membri della comunità: possono entrare nei bar, nei ristoranti, nei mezzi pubblici e molti uffici accettano i dipendenti che portano i cani in ufficio.

Ma la novità non è data solo dalle strutture a disposizione: i cani fanno parte della vita urbana, sono inseriti nel tessuto sociale.

Questo fenomeno molto raro rende TA all'avanguardia come comunità inclusiva, lanciando un segnale di grande civiltà; è una vera e propria filosofia di vita, dove il rispetto per gli animali è un valore fondamentale. Qui in Israele stiamo vivendo un periodo molto difficile ma TA, con il suo amore nei confronti degli animali, dimostra di essere una città umana e inclusiva.

Gli animali in questa città sono considerati parte integrante della vita urbana e favoriscono la convivenza e l'interazione tra i cittadini.

È sicuramente un modello da seguire per un futuro con più speranza nei confronti dell’Umanità. Il rispetto per gli animali, infatti, misura il grado di civiltà di una società: integrare i cani nella quotidianità è una scelta etica a favore del rispetto per tutti, non solo dei nostri amici a quattro zampe.

Una città così organizzata favorisce anche l'interazione sociale perche, ad esempio, i parchi per i cani diventano anche luoghi di incontro per le persone, creando così una coscienza di integrazione più generale, non solo a favore dei cani, ma anche nei confronti degli anziani, dei bambini e dei più deboli in generale.

TA è la dimostrazione vivente che una città che ha questa attenzione è una società più felice e più coesa: la cooperazione tra i cittadini proprietari dei cani aumenta la fiducia e la collaborazione umana.

Sicuramente TA mette a tacere con i fatti chi, anche da “palchi autorevoli” ha sostenuto che la società si occupa e si preoccupa troppo degli animali e troppo poco degli uomini : è esattamente l'opposto, perché chi ama gli animali ama anche il prossimo e “allena” la società ad includere tutti.

Si può affermare senza dubbio che l'atteggiamento di una società nei confronti degli animali misura il livello della maturità degli uomini e delle donne che la compongono.

Ma qual è il rapporto con i cani nella tradizione ebraica?

È generalmente positivo, infatti, anche nella Torah, “neppure un cane abbaierà contro i figli di Israele” (Esodo) e per ricompensa si prescrive che ai cani debba essere data carne non Kasher per il silenzio durante l'uscita dall'Egitto.

L'Halakhah (legge ebraica) vieta la sofferenza agli animali.

L'amore verso i cani è comunque complesso e contraddittorio, perché se da un lato c'è l'obbligo di proteggerli e di non farli soffrire, dall'altro, anche se non sempre, soprattutto nelle comunità ultraortodosse, sono visti come animali non puri.

L'affetto dei cittadini di TA nei confronti dei cani è un mix di valori ebraici e laici.

La presenza massiccia di pelosi non è una moda ma è la manifestazione moderna di valori comunitari, sociali e di empatia iniziati con il collettivismo dei kibbutz.

Anche attraverso i nostri amici fedeli a quattro zampe si è ricreato un senso di comunità e di connessione amichevole tra i cittadini che deve e può essere portato come esempio a tutto il mondo, soprattutto a quello circostante a Israele.

 

Giuseppe Kalowski, Tel Aviv, 2 maggio 2025

Gli ebrei credono negli angeli?

Questi esseri soprannaturali compaiono ampiamente nei testi ebraici.

 

Gli angeli sono esseri soprannaturali ampiamente presenti nella letteratura ebraica.

La parola ebraica per angelo, mal'ach , significa messaggero, e gli angeli nelle prime fonti bibliche trasmettono informazioni specifiche o svolgono una funzione specifica. Nella Torah, un angelo impedisce ad Abramo di uccidere suo figlio Isacco, appare a Mosè nel roveto ardente e dà indicazioni agli Israeliti durante il soggiorno nel deserto dopo la liberazione dall'Egitto. Nei testi biblici successivi, gli angeli sono associati a visioni e profezie e ricevono nomi propri.

Fonti rabbiniche e cabalistiche successive ampliano ulteriormente il concetto di angeli, descrivendo un vasto universo di angeli con nomi e ruoli specifici nel regno spirituale.

Gli angeli nella Bibbia

Gli angeli compaiono in tutta la Bibbia. Nelle loro prime apparizioni, svolgono la funzione di portatori di informazioni. Nella Genesi, un angelo appare ad Agar, la serva di Sara, e la informa che partorirà un figlio la cui discendenza sarà numerosa. Un incontro simile avviene più tardi con la stessa Sara, quando tre visitatori le portano la notizia che partorirà l'anno successivo. Quando Abramo si mette in viaggio per sacrificare quel bambino, suo figlio Isacco, è un "angelo di Dio" che grida a lui e gli ordina di non fare del male al ragazzo.

Tra le storie più famose di angeli nella Bibbia c'è l'incontro tra il patriarca Giacobbe e un angelo con cui lotta per tutta la notte. Al mattino, quando Giacobbe chiede al suo avversario di identificarsi, l'angelo lo ammonisce di non chiederlo. In seguito, Giacobbe chiama il luogo P'niel, letteralmente "volto di Dio". Spiegando questa scelta , la Torah chiarisce che l'avversario che lottava era un emissario di Dio: "Ho visto un essere divino faccia a faccia, eppure la mia vita è stata preservata".

Nei libri dei profeti , gli angeli continuano a svolgere la loro funzione di messaggeri, ma sono anche associati a visioni e profezie. Un racconto particolarmente dettagliato è riportato nel primo capitolo di Ezechiele. Il profeta incontra quattro creature (chayot in ebraico) che assomigliano a esseri umani, ma ognuna ha quattro volti (umano, di leone, di bue e d'aquila), quattro ali e le loro gambe sono fuse in un'unica zampa. Una visione parallela è riportata nel decimo capitolo, solo che lì gli angeli sono descritti come cherubini.

Non tutte le figure angeliche nella Bibbia sono identificate come tali. I tre visitatori che andarono da Abramo e Sara sono descritti nel testo come anashim, ovvero uomini, sebbene fonti rabbiniche indichino che fossero angeli. Allo stesso modo, l'angelo che apparve a Giacobbe è descritto semplicemente come ish, ovvero uomo. Quando agli angeli biblici viene chiesto di identificarsi, rifiutano. Nel Libro dei Giudici, Manoah, il padre di Sansone, chiede il nome di un angelo che aveva profetizzato un figlio per la sua moglie sterile. L'angelo rifiuta , dicendo che il suo nome è sconosciuto. Il Libro di Daniele è la prima volta nella Bibbia in cui appaiono angeli con un nome: Gabriele e Michele.

 

Gli angeli nella letteratura rabbinica antica

La letteratura rabbinica espone in modo efficace la natura degli angeli e il loro ruolo nelle storie bibliche. Il Midrash identifica Michele, Gabriele, Uriele e Raffaele come i quattro angeli principali che circondano il trono divino, ognuno dei quali possiede attributi particolari.  identifica Michele, Gabriele e Raffaele come i tre angeli che visitarono Abramo per annunciargli che sua moglie avrebbe avuto un figlio. Sebbene la Bibbia riporti che gli uomini mangiarono un pasto preparato da Abramo, i rabbini affermano che il trio si limitò a mangiare in apparenza, poiché, essendo angeli, non sono esseri fisici, ma semplicemente assomigliano a un essere umano.

 

 

Il Midrash include molte rappresentazioni fantasiose di angeli. Secondo una fonte , Michele è fatto interamente di neve e Gabriele interamente di fuoco, ma nonostante la loro vicinanza non si danneggiano a vicenda – un simbolo del potere di Dio di stabilire la pace nelle sue altezze eccelse. Molteplici fonti midrashiche identificano Michele come il difensore celeste di Israele in conflitto con il demone Sama'el. E un altro Midrash descrive un dibattito tra gli angeli sulla creazione degli esseri umani. In questo dibattito, l'angelo dell'amore è a favore della creazione degli esseri umani, per via della capacità umana di esprimere amore, ma l'angelo della verità non è d'accordo, temendo che gli esseri umani siano inclini alla falsità. A sostegno della creazione degli esseri umani, Dio mostra agli angeli esempi di persone giuste tratte dalla Bibbia, ma l'angelo della terra si ribella e nega all'angelo Gabriele la polvere di cui ha bisogno per la creazione degli esseri umani, temendo che essi possano causare devastazione sulla terra. Anche l'angelo della Torah si oppone alla creazione umana, sostenendo che gli esseri umani non dovrebbero essere creati perché soffrirebbero.

Il Talmud riporta un insegnamento secondo cui due angeli ministranti – uno buono e uno cattivo – accompagnano una persona a casa dalla sinagoga la sera dello Shabbat. Se trovano la casa della persona preparata per lo Shabbat, l'angelo buono dichiara: "Che sia Tua volontà che sia così per un altro Shabbat". E l'angelo cattivo risponde contro la sua volontà: "Amen". Se la casa non è preparata, accade il contrario: l'angelo cattivo esprime il desiderio che sia così per un'altra settimana e l'angelo buono risponde "Amen".  Shalom Aleichem , un canto liturgico che accoglie gli angeli in casa prima del pasto dello Shabbat, è ispirato a questo insegnamento.

Come nel Midrash, gli angeli nel Talmud discutono occasionalmente con Dio, conferendo loro un certo grado di indipendenza che complica la concezione degli angeli come semplici messaggeri che realizzano obiettivi divini. I rabbini del Talmud potrebbero essere stati preoccupati che gli angeli diventassero oggetti di culto in sé e per sé, una preoccupazione che alcuni ritengono sia alla base di vari testi talmudici che indicano come i giusti possano eguagliare o addirittura superare la santità degli angeli. Nel Trattato Sanhedrin , il Talmud afferma che i giusti sono superiori agli angeli ministranti.

La gerarchia angelica di Maimonide

Maimonide , studioso del XII secolo, dedica una sezione della sua Mishneh Torah alla natura degli angeli. Sono esseri incorporei, scrive, dotati di forma ma privi di sostanza. Le descrizioni di angeli alati o fatti di fuoco, afferma Maimonide, sono semplicemente visioni profetiche "enigmatiche", ovvero tentativi inevitabilmente inadeguati di descrivere l'informe e lo spirituale entro i confini del linguaggio umano.

Maimonide descrive una gerarchia angelica a 10 livelli, con diverse tipologie come creature sacre (chayot hakodesh ), serpenti volanti e portatori di carri. Tutte queste forme sono vive e conoscono Dio intimamente, scrive Maimonide, ma sebbene tutte conoscano Dio più profondamente degli esseri umani, persino il più elevato tra loro, conoscendo più di tutti quelli inferiori, non può conoscere la piena verità di Dio.

 

Angeli nella Cabala

La tradizione mistica ebraica approfondisce ulteriormente la natura degli angeli. Le fonti cabalistiche descrivono gli angeli come forze di energia spirituale. Il rabbino David Cooper, che ha scritto ampiamente su e meditazione ebraica, ha descritto gli angeli come "fasci di energia metafisica invisibili" che agiscono come magneti, provocando cambiamenti fisici per mezzo di forze invisibili all'occhio.

 

Nella Cabala, gli angeli risiedono nei mondi di beriah (creazione) e yetzirah (formazione), i due mondi centrali dei quattro mondi della Cabala, che rappresentano gli stadi spirituali attraverso i quali l'energia divina viene condotta verso il mondo materiale. Nella sua opera classica sulla Cabala, La Rosa a Tredici Petali, il rabbino Adin Steinsaltz scrive che il comportamento umano può creare angeli. In contrapposizione al modo in cui gli angeli biblici trasmettono messaggi dal regno divino all'umanità, gli angeli creati dalle azioni umane trasportano le energie dell'umanità verso l'alto, nei regni spirituali superiori.

Gli angeli sono singolari e immutabili nella loro essenza, scrive Steinsaltz, e possono essere buoni o malvagi (demoni), questi ultimi il prodotto di esseri umani che fanno l'opposto di una mitzvah – nutrendo pensieri malvagi o commettendo atti malvagi. Come gli angeli buoni, anche gli angeli malvagi agiscono in un duplice modo: portano il male dal mondo spirituale a quello materiale ispirando il peccato o causando sofferenza e punizione, e allo stesso tempo ricevono energia dalle malefatte degli esseri umani. "Certo, se il mondo sradicasse completamente ogni male, allora, come ovvio, gli angeli sovversivi scomparirebbero, poiché esistono come parassiti permanenti che vivono sull'uomo", scrive Steinsaltz. "Ma finché l'uomo sceglie il male, sostiene e alimenta interi mondi e dimore del male, tutti attingendo alla stessa malattia dell'anima umana".

Jewish Learning - Mercoledì 16 aprile 2025 • 18 Nissan 5785 • 3° giorno dell'Omer

Traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari

 

 

Quando la speranza trionfa sul passato: la vita dopo l'Olocausto

Di Ariella Goodman, traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari

 

Il giornalista americano Tom Brokaw definì gli americani cresciuti tra le difficoltà della Grande Depressione e che combatterono coraggiosamente nella Seconda Guerra Mondiale "la generazione più grande". La guerra li aveva plasmati in padri premurosi e mariti devoti, insegnando loro valori eterni come la responsabilità personale, l'onore e la fede. Pur dovendo certamente lottare con cicatrici di battaglia, sia fisiche sia emotive, questi veterani disciplinati lo fecero in modo costruttivo, risparmiando i loro cari. Questi soldati, così narra la storia, furono ampiamente celebrati. L'8 maggio 1945, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti celebrarono il Giorno della Vittoria in Europa: le città dei paesi alleati celebrarono la fine del dominio di Hitler, per le strade con parate di massa, balli e bevande. Immagini iconiche del Giorno della Vittoria in Europa mostrano marinai britannici e le loro fidanzate che gioiscono nelle fontane di Trafalgar Square a Londra, camion carichi di soldati decorati e giovani donne festanti nel centro di Londra, e bambini sorridenti che sventolano la bandiera dell'Union Jack tra le macerie. I soldati alleati festeggiavano e si dedicavano alle donne a Parigi per ricompensarsi.

 

I sopravvissuti alla Soluzione Finale di Hitler si definivano She'erit HaPleita, ovvero "Residui Sopravvissuti". Non condividevano l'euforia dell'Occidente dopo la liberazione. Molti sopravvissuti liberati a Bergen-Belsen o ad Auschwitz avevano vissuto un trauma troppo profondo per provare gioia, per non parlare dell'estasi rappresentata dall'immaginario popolare. Molti sopravvissuti erano troppo malati dopo la liberazione per comprendere chi fossero queste nuove truppe e che fossero state loro a liberarle. I sopravvissuti vivevano nel terrore da anni. Verso la fine della guerra, mentre i soldati alleati si avvicinavano ai campi, le guardie delle SS schernivano i prigionieri ebrei dicendo che non sarebbero vissuti abbastanza a lungo per assistere alla liberazione. Inoltre, molti sentivano che la loro liberazione era arrivata troppo tardi, dopo aver perso intere famiglie, comunità, case e spesso la loro identità. Dopo anni in cui non avevano altra scelta che ignorare il trauma e la devastazione per concentrarsi sulla sopravvivenza fisica quotidiana, i sopravvissuti erano ora costretti ad affrontare tutto ciò che avevano perso. Mentre la liberazione è narrata come un giubileo nella memoria occidentale, storiche israeliane come Anita Shapira e Irit Keynan nel loro libro " I sopravvissuti dell'Olocausto" spiegano il giorno della liberazione come il primo giorno di una crisi esistenziale spesso lunga una vita per il sopravvissuto. I giovani orfani non avevano una figura genitoriale o un modello di riferimento che li confortasse o li proteggesse, che insegnasse loro come un adulto sano dovesse comportarsi. Lasciati soli al mondo, furono costretti a ricostruire, senza un posto dove andare. Molti ebrei che cercarono di tornare nelle loro città d'origine furono uccisi dai loro vecchi vicini, sgomenti dal fatto che Hitler non avesse assassinato tutti gli ebrei d'Europa. Anche quando gli ebrei non venivano assassinati o minacciati violentemente dalla popolazione locale, si rivelava troppo doloroso vedere estranei vivere nelle loro case, spesso usando persino le loro stesse posate, o essere circondati da ricordi di parenti e amici assassinati a ogni angolo di strada. Polonia e Ungheria non erano certo il rifugio che gli She'erit Ha'pleita desideravano: il 76% di loro aveva perso tutti i familiari stretti, secondo un'indagine ufficiale condotta dall'Organizzazione per i Rifugiati Ebrei in Italia.

 

Molti di questi rifugiati ebrei furono costretti a dirigersi verso ovest e a cercare un "rifugio sicuro" in Germania, tra tutti i posti possibili. Gli Alleati occidentali istituirono campi di sfollamento ("DP") nelle zone occupate dagli Alleati in Germania, Austria e Italia; molti di questi campi erano semplicemente ex campi di concentramento, con il filo spinato installato dai soldati tedeschi ancora intatto. Inizialmente, pur continuando a soffrire per mancanza di cibo, vestiti e medicine insufficienti, gli DP ebrei furono talvolta costretti a condividere le stesse baracche con antisemiti ideologici e persino con collaborazionisti nazisti che avevano attivamente danneggiato gli ebrei durante la guerra. Gradualmente furono creati campi di sfollamento separati per ebrei, consentendo ai sopravvissuti di iniziare a definire la propria identità e di difendersi. L'autore Yossi Klein Halevi spiega che, privati ​​della loro voce e dei loro diritti per anni, gli She'erit Ha'pleitah costruirono un quadro politico fieramente indipendente, ardentemente sionista. I sopravvissuti si videro collocati in fondo alla lista per i visti di emigrazione negli Stati Uniti, etichettati come di priorità molto inferiore per l'ingresso in America rispetto ai collaborazionisti nazisti provenienti dai Paesi Baltici e dall'Ucraina, dove comunità ebraiche fiorenti per secoli furono spazzate via nel giro di pochi giorni. Secondo Klein Halevi, i sopravvissuti – persino coloro che finirono per emigrare in paesi come l'America, molti dei quali dovettero aspettare fino a cinque anni per ottenere i visti di emigrazione – credevano che il sionismo fosse la risposta naturale alla continua apatia della comunità internazionale, che in definitiva non si sentiva sufficientemente in colpa o in imbarazzo per l'Olocausto. Nei campi profughi, molti giovani sopravvissuti formarono il movimento dei Giovani Pionieri dei Kibbutz. Un esempio particolarmente profondo di "vendetta" simbolica nella rinascita dei sopravvissuti fu il kibbutz Nili. I pionieri trasformarono l'ex tenuta di Julius Streicher , il propagandista nazista noto in Germania come "il persecutore di ebrei numero uno", in un kibbutz che addestrò questi sopravvissuti a una vita significativa in Terra d'Israele. Nel 1946, mentre Streicher si trovava nella vicina Norimberga sotto processo per i suoi crimini di guerra, il kibbutz Nili celebrò il suo primo Seder di Pesach da uomini liberi, interamente in ebraico. I sopravvissuti, per lo più ventenni, tennero discorsi sul tema del Seder "dalla schiavitù alla redenzione" fino a tarda notte. I campi profughi vissero una straordinaria rinascita della vita ebraica. Il rabbino Yekutiel Yehuda Halberstam, il rabbino chassidico - o leader - della dinastia Klausenburg, che perse la moglie e undici figli dopo essere sopravvissuto miracolosamente a una ferita mortale durante una marcia della morte, istituì yeshivot , seminari e mikveh in tutti i campi profughi. Durante il primo Yom Kippur nel campo profughi di Feldafing, dove Halberstam era emerso come guida spirituale, servì da padre surrogato per diverse decine di ragazze orfane in fila per una bracha (benedizione) prima della preghiera del Kol Nidrei . Centinaia di ragazze frequentarono la rete di scuole da lui fondata, nonostante la sua enorme tragedia personale, nel primo anno dopo la liberazione. Halberstam consigliò personalmente queste ragazze traumatizzate, scrisse una raccolta di sermoni settimanali sulla Torah per guidarle nelle loro particolari lotte teologiche e trovò loro mariti amorevoli.

 

Nel 1976, Halberstam fondò l'ospedale Laniado a Netanya, realizzando il voto fatto a Dio durante l'Olocausto: se fosse sopravvissuto alla valle della morte, avrebbe costruito un ospedale nella Terra di Israele dove ogni paziente sarebbe stato trattato allo stesso modo, perché il personale medico avrebbe saputo che questa era la più grande mitzvah (obbligo religioso o etico). I profughi si intrattenevano nel tempo libero con partite di tennis e scacchi. Sebbene le macchine da scrivere fossero quasi impossibili da trovare e la carta fosse rigorosamente razionata, quasi ogni campo profughi aveva il suo giornale, principalmente in yiddish, con articoli su gare sportive, matrimoni e nascite, oltre a editoriali di opinione sulla politica e descrizioni di Eretz Yisrael . La stampa yiddish fu anche una delle prime opportunità per i sopravvissuti di pubblicare le proprie storie personali e commemorare intere famiglie e città perdute. Nei campi profughi c'era anche un fiorente teatro yiddish, che permetteva al pubblico sia di riconnettersi con i classici ebraici con cui era cresciuto prima della guerra, sia di elaborare il trauma dei ghetti e dei campi. Le numerose interpretazioni di Eretz Yisrael fornirono ai profughi, che sentivano che l'Europa non sarebbe mai più stata una casa, speranza e motivazione per non rinunciare all'Aliyah. Furono istituiti comitati per commemorare le comunità distrutte sotto forma di libri Yizkor (memoriali). Similmente agli Oyneg Shabes sotterranei del ghetto di Varsavia, giurarono di adempiere al comandamento di ricordare ciò che il genocida Amalek fece al popolo ebraico. Esortarono i sopravvissuti a offrire le loro testimonianze, in nome del loro dovere verso i posteri di scrivere la storia dell'ultima distruzione. Più di ogni altra cosa, sia la profonda determinazione a ricostruire sia il trauma che in definitiva dura tutta la vita si riflettono nei matrimoni e nel baby boom nei campi profughi. Durante il primo anno di liberazione, persone single sole – che avevano perso genitori, coniugi, figli e fratelli – si unirono e si sposarono rapidamente. I legami formatisi nei campi profughi non erano romanticismo o favola hollywoodiana. Non assomigliano all'eccitazione e all'attrazione spensierata nelle foto di soldati americani che baciano le fidanzate o di uno sconosciuto riconoscente il Giorno della Vittoria in Europa. Molte coppie non si chiedevano se si "amassero" abbastanza da sposarsi. Piuttosto, desideravano disperatamente vivere di nuovo, portare il nome della propria famiglia e, francamente, non sentirsi soli in un mondo così devastato. Una proposta comune riconosceva la seguente straziante verità: "Sono solo. Non ho nessuno, ho perso tutto. Tu sei solo. Non hai nessuno. Hai perso tutto. Restiamo soli insieme".

 

Era molto comune partecipare a sei o più matrimoni in un giorno in un campo profughi, persino a cinquanta in una settimana. Il professor Havit Lavsky cita 1.070 matrimoni solo nel 1946. L'intero campo profughi – laici e religiosi di ogni orientamento politico-ideologico – si univa per partecipare a questi matrimoni, mosso da un profondo amore familiare e dalla devozione verso gli sposi. L'intera comunità gioiva per ogni nuova casa ebraica, la cosa più significativa nell'immediato dopoguerra. Ma c'era anche un lato molto triste in questa storia; spesso la comunità doveva assumere il ruolo della famiglia della coppia nella loro simcha (celebrazione) perché non avevano genitori che li accompagnassero all'altare. Gli inviti di nozze erano talvolta firmati da un singolo parente lontano sopravvissuto, a sottolineare la sconvolgente tragedia che si celava dietro la simcha e la coraggiosa scelta di vivere. La storia di Abraham e Shoshana Roshkovski è una forte testimonianza del perché questa decisione quotidiana e ricorrente di vivere e ricostruire non possa essere edulcorata e romanticizzata. Abraham era sopravvissuto nascondendosi presso una famiglia cristiana, e Shoshana era sopravvissuta a tre campi di concentramento. Nel maggio del 1945, Shoshana era volontaria nell'ospedale del campo profughi di Bergen-Belsen, dove incontrò Abraham quando questi fu curato per una gamba rotta. Diversi giorni dopo il loro primo incontro, Abraham chiese a Shoshana di sposarlo e si sposarono immediatamente, unendosi ad altre sei coppie a Bergen-Belsen il 19 maggio che si erano impegnate a costruire un bayit ne'eman b'Yisrael , ovvero una casa "fedele" tra il popolo ebraico. Ben lontana dall'immagine glamour di una sposa vestita di bianco, Shoshana percorse la navata con una gonna nera e una camicia ampia e larga presa in prestito da una compagna profuga, e invece del tradizionale velo, indossava una benda di garza. Decenni dopo, Shoshana avrebbe ricordato solennemente: "Ci siamo alzati per ballare e dimenticare i nostri dolori. Abbiamo ballato fino all'alba. Anche se oggi sorridiamo, la cerimonia e i ricordi del nostro matrimonio nell'accampamento ci riportano a quei tempi terribili... abbiamo perso le nostre famiglie, ma ne abbiamo creata una nuova e abbiamo continuato a vivere la nostra vita". La storia dell’eccezionale baby boom nei campi profughi è probabilmente ancora più complicata delle cerimonie nuziali di spose e sposi orfani. La popolazione di She'erit Ha'Pleita aveva il più alto tasso di natalità pro-capite di qualsiasi popolazione al mondo all'epoca. Una battuta ricorrente tra i profughi era che nel primo anno dopo la liberazione i campi erano pieni di persone sole e single, ma dal secondo anno tutti avevano una carrozzina. Molti la consideravano una "vendetta biologica", la prova più evidente che il popolo ebraico è ancora qui, rifiutando il mondo incarnato da Auschwitz, progettato interamente per la morte e lo sfruttamento degli ebrei, scegliendo invece un mondo in cui i bambini ebrei potessero crescere e prosperare. Molti sopravvissuti non solo cercarono di perpetuare il cognome della loro famiglia, ma volevano anche dimostrare a se stessi di essere ancora abbastanza "umani" o "normali" da avere figli.

 

Solo a Bergen-Belsen, nel 1946, nacquero 555 bambini. Eppure, d'altra parte, molte donne erano terrorizzate all'idea di dare alla luce bambini ebrei in un mondo devastato che si era dimostrato così malvagio. Non solo queste sopravvissute non avevano più madri, sorelle, nonne o altri modelli femminili tradizionali che potessero dare loro consigli pratici e sostegno emotivo o condividere la loro gioia, ma molte si sentivano anche troppo traumatizzate per essere genitori sani e comprensivi.  

La storia di Shoshana Roshkovski è ancora una volta emblematica della crisi emotiva che le sopravvissute affrontarono durante la loro riabilitazione. Shoshana spiega: "Durante e dopo la guerra, le ragazze non avevano il ciclo. Mi sono sposata e sono rimasta incinta, non sapevo di esserlo. [...] [Il medico] mi ha visitata e mi ha detto: 'È incinta di tre mesi'. Sono saltata giù dal lettino come una pazza, 'Dottore, sono incinta?'. Lui ha risposto: 'Non è sposata?'". Ho detto: "Sono sposata, ma non voglio un bambino, voglio abortire, non voglio un figlio. Non voglio sentire un bambino piangere, ho sentito bambini urlare ad Auschwitz, non lo voglio”. Ho pianto terribilmente. Shoshana era una sopravvissuta senza denaro al campo di concentramento, quindi non poteva permettersi la somma richiesta dal medico per un aborto. Di conseguenza, tentò di abortire da sola. Per fortuna non ci riuscì e, quando nacque suo figlio, pregò che Dio lo mantenesse sano, così da poterlo crescere lei stessa. Quella stessa settimana, nacquero altri sei bambini nel campo profughi. I Roshkovski ebbero in seguito una bambina e questa famiglia resiliente emigrò in Israele. Due terzi dei sopravvissuti avrebbero lasciato i campi profughi – il terreno della loro sistematica oppressione e alienazione – per la loro ultima seconda possibilità di vita: il nuovo Stato ebraico. Dopo anni di prigionia nei ghetti o di clandestinità, nei campi di concentramento e nei campi profughi, i sopravvissuti avrebbero potuto ricostruirsi come ebrei liberi, dando forma a uno Stato ebraico forte e sicuro. Sarebbe diventato la dimora naturale per il nuovo anello della loro catena familiare.

 

ISRAELE

Le indagini israeliane sul 7 ottobre

Di Antoine Strobel Dahan

Traduzione dall’ebraico a cura di TENOU’A

Traduzione dal francese a cura di BARBARA DE MUNARI

 

Dal 7 ottobre la società israeliana, sbalordita e inorridita, si chiede come si sia potuto arrivare a questo, a quanto accaduto da parte israeliana. Mentre il governo e la Knesset hanno respinto l'idea di una commissione statale d'inchiesta, diverse agenzie israeliane hanno condotto le proprie indagini e pubblicato rapporti, alcuni dei cui risultati sono stati pubblicati.

L'inchiesta generale dell'esercito

Pubblicata nel febbraio 2025, questa indagine completa tenta di comprendere i fallimenti del 7 ottobre 2023, quando oltre 5.000 terroristi (secondo le stime) sotto la guida di Hamas uccisero 1.200 persone in Israele e ne rapirono 251.

L'indagine evidenzia gravi carenze da parte dei militari negli anni precedenti l'attacco, nelle ore immediatamente precedenti e durante l'attacco. Tutto inizia con un'interpretazione errata delle informazioni di intelligence disponibili da diversi anni, con l'eccessiva fiducia dell'esercito nelle sue attrezzature, procedure e sistemi di allarme, con il numero esiguo di soldati presenti il ​​7 ottobre e con l'incapacità dell'esercito di comprendere cosa stesse accadendo durante l'attacco.

Nella prima parte, l'inchiesta giunge alla conclusione che per anni l'esercito ha considerato Hamas una minaccia debole, priva della volontà o della capacità di sferrare un attacco su larga scala contro Israele.

Nello stesso spirito, il documento sottolinea che il piano di attacco del 7 ottobre era noto all'esercito, ma era stato giudicato irrealistico e irrealizzabile, soprattutto perché Sinwar era considerato un pragmatico.

La notte prima dell'attacco, l'esercito aveva rilevato diversi segnali di un'intensa attività di Hamas, ma non riteneva che un attacco fosse imminente. Secondo il documento, questa lettura delle cose e le decisioni che ne conseguono sono il risultato di anni di percezioni errate di Hamas.

Infine, l'inchiesta mette in luce la totale confusione che aleggiava tra gli alti ufficiali dell'esercito durante l'attacco stesso: non avevano compreso la portata dell'attacco, non avevano capito che la divisione "Gaza" dell'esercito era caduta (sarebbe stata sconfitta per diverse ore, sopraffatta dal numero degli aggressori di Gaza).

L'esercito ha creato una sezione del suo sito web (in ebraico) per presentare al pubblico i risultati e le conclusioni dopo la loro pubblicazione.

 

L'indagine dello Shin Bet

Il 4 marzo 2025, il servizio di intelligence interno israeliano, chiamato Shin Bet o Shabak (שב’’כ), pubblicò il suo rapporto investigativo sugli eventi del 7 ottobre. Solo un breve riassunto fu reso pubblico (in ebraico) dal capo del servizio, Ronen Bar, ma fu sufficiente per valutare l'entità delle mancanze, poiché affermava in particolare che, se lo Shin Bet "avesse agito diversamente (...) negli anni precedenti e la notte prima dell'attacco, questo massacro avrebbe potuto essere evitato".

I servizi segreti accusano inoltre direttamente il governo israeliano di avergli negato l'opportunità di eliminare i leader di Hamas a Gaza nel tentativo di comprare una forma di pace sociale, in particolare dopo l'operazione Guardiano del Muro del 2021, nonostante la raccomandazione dello Shin Bet per una "politica proattiva" e i piani presentati a tal fine.

Nel documento, Bar elenca i fallimenti come segue:

"La mattina del 7 ottobre, ho detto ai miei colleghi della sede centrale che la storia avrebbe giudicato lo Shin Bet su quattro punti:

1. La capacità di allertare per prevenire il massacro: abbiamo fallito.

2. La capacità di fermare l'attacco: i nostri agenti hanno combattuto coraggiosamente, a volte da soli, a volte insieme all'esercito e alla polizia, per impedire un'invasione ancora più ampia.

3. Contributo allo sforzo per ribaltare la situazione contro il nemico: lo Shin Bet ha supportato in modo significativo lo sforzo nazionale e militare.

4. I valori che guidano il nostro lavoro: ricerca della verità, cameratismo e trasparenza».

Prosegue analizzando le cause strutturali dell'ascesa al potere di Hamas:

- La politica del "silenzio in cambio di denaro" che ha permesso ad Hamas di rafforzarsi drasticamente.

- Trasferimento massiccio di fondi del Qatar all'ala armata di Hamas.

- Progressiva erosione della deterrenza israeliana.

- La volontà israeliana di non provocare nuovi conflitti (nessuna iniziativa offensiva).

- Percezione che la società israeliana sia indebolita dalle sue divisioni interne».

Bar sottolinea soprattutto che, nonostante l'intercettazione del piano di attacco di Hamas per ben due volte, nel 2018 e nel 2022, questa minaccia non è mai stata considerata seria o imminente. Soprattutto perché “molti segnali deboli sono stati male interpretati nel periodo precedente al 7 ottobre”.

Conclude con un'amara osservazione: "Lo Shin Bet non è riuscito a mettere in guardia sulla portata e la natura dell'attacco di Hamas del 7 ottobre. L'allerta trasmessa quella notte non è stata tradotta in efficaci direttive operative.

 

L'indagine dell'esercito sulla base militare di Nahal Oz

All'inizio di marzo 2025, l'esercito ha reso pubblica la sua indagine sull'assalto alla base militare di Nahal Oz del 7 ottobre 2023. 215 aggressori guidati da Hamas hanno sconfitto le truppe di stanza nella base, situata a 850 metri dalla Striscia di Gaza, uccidendo 53 soldati, tra cui 16 osservatrici, e rapendone 10 (tra cui 7 osservatrici). Dei 162 soldati presenti, solo 90 erano armati (tra cui 9 non combattenti), ma non riuscirono a respingere la prima ondata di 65 terroristi.

L'inchiesta evidenzia, oltre all'assenza di allerta quella mattina, la totale impreparazione della base: nessun protocollo per la protezione dei soldati non combattenti, nulla di pianificato in caso di lancio di razzi sulla base, nessuna esercitazione di simulazione di attacco negli anni precedenti il ​​7 ottobre, una sola guardia di guardia di fronte all'ingresso principale della base (sul lato opposto a Gaza). Nel corso dell'operazione militare a Gaza, le truppe israeliane hanno scoperto documenti molto dettagliati sulle falle nella sicurezza di Nahal Oz, che Hamas aveva pazientemente e metodicamente accumulato: l'ubicazione dei rifugi, il numero di soldati ridotto della metà nei fine settimana, il numero di personale armato e i tipi di armi, l'ubicazione delle telecamere, dei generatori, della sala operativa e perfino la stanza del comandante della base.

I rinforzi non arrivarono prima delle 13:30 e non prima delle 17:00 circa la base fu stata dichiarata sicura.

L'indagine dell'esercito specifica sul kibbutz Be'eri

Nel luglio 2024, l'esercito ha presentato i risultati della sua prima indagine, quella riguardante questa piccola comunità di 1.000 abitanti nelle immediate vicinanze di Gaza. Durante l'attacco al kibbutz morirono 132 persone e 32 furono prese in ostaggio.

L'inchiesta spiega che l'esercito "ha fallito nella sua missione di proteggere gli abitanti di Be'eri", in particolare perché non aveva mai previsto uno scenario del genere. A tal punto che, nonostante le ripetute informazioni fornite durante il giorno dalle guardie di sicurezza del kibbutz, l'esercito non è riuscito a capire cosa stesse accadendo fino al pomeriggio del 7 ottobre: ​​l'attacco è iniziato intorno alle 7 del mattino. Diverse unità si sono recate sul posto, ma a causa della mancanza di un comando unificato, non si sono coordinate e a volte hanno "aspettato il loro comandante" fuori. L'inchiesta mette in luce l'efficienza e l'eroismo degli abitanti del kibbutz e delle guardie di sicurezza che hanno lottato per ore, impedendo un numero di vittime ancora più elevato. Si afferma che durante le prime 7 ore dell'attacco, solo 13 residenti o guardie e 13 soldati (dell'unità Shaldag, arrivati ​​intorno alle 9 del mattino) hanno combattuto da soli contro più di 300 terroristi. Sappiamo anche che cinque poliziotti armati sono entrati nel kibbutz intorno alle 7.30 del mattino, per poi andarsene altrettanto velocemente, senza che nessuno sapesse realmente chi fossero o dove fossero diretti. Tra le 11:30 e le 12:15 sono arrivati ​​sul posto alcuni saccheggiatori civili di Gaza e le due unità di Hamas presenti al festival Nova. Nel pomeriggio, i paracadutisti dell'890° battaglione entrarono nel kibbutz senza coordinamento con le truppe già presenti. Verso le 16:00, alcuni membri dell'unità di polizia di Yamam hanno aperto il fuoco con un missile portatile su un'abitazione, ignari del fatto che all'interno, oltre ai terroristi, ci fossero anche degli ostaggi. Una volta appresa l'informazione, si decise di aprire il fuoco da un carro armato situato nei pressi della casa. Uno di questi proiettili ha ucciso indirettamente (schegge) un ostaggio di 68 anni. Le truppe entrarono nella casa verso le 20.00 e solo un ostaggio sopravvisse allo scontro a fuoco. La maggior parte dei civili venne evacuata intorno alle 18:00, ma i combattimenti continuarono almeno fino alle 22:00. Gli ultimi civili sono stati evacuati intorno alle 5 del mattino dell'8 ottobre. In una dichiarazione rilasciata insieme ai risultati dell'indagine, il Capo di Stato Maggiore delle IDF, Herzi Halevi (dimessosi nel marzo 2025), ha affermato che l'indagine "illustra chiaramente l'entità del fallimento e le dimensioni del disastro che ha colpito gli abitanti del sud, che hanno protetto le loro famiglie con i propri corpi per lunghe ore, mentre le IDF non erano lì a difenderli".

 

L'indagine dell'esercito specifica sul kibbutz Nir Oz

A metà marzo, l'esercito ha reso pubbliche le conclusioni della sua inchiesta sull'attacco al kibbutz Nir Oz del 7 ottobre 2023. 700 terroristi hanno invaso questo kibbutz, dove si trovavano 386 abitanti, uccidendo 47 persone (tra cui 6 partecipanti al festival Nova che pensavano di trovare rifugio lì) e rapendone 76 (22 delle quali sono morte).

Nessun soldato entrò a Nir Oz prima che gli aggressori se ne andassero. Sul canale televisivo israeliano Aruts 12, il capo di stato maggiore dell'esercito Herzi Halevi (dimessosi a marzo) ha dichiarato: "Lo dico in ogni conversazione che ho con i comandanti, affinché tutti nell'IDF ricordino: il primo soldato è arrivato a Nir Oz dopo che l'ultimo terrorista se n'era andato (...). Questa è una dichiarazione terribile e schiacciante, e la ripetiamo affinché resti impressa nella coscienza dell'IDF".

L'inchiesta afferma che l'assenza di qualsiasi presenza militare spiega un numero così elevato di terroristi, che si sentivano liberi di andare e venire. Lo dimostra anche un altro fatto insolito: Hamas si è presa il tempo di recuperare i corpi dei suoi uomini prima di lasciare il kibbutz: lì è stato trovato solo il corpo di un terrorista. L'inchiesta ha aggiunto che la squadra di sicurezza del kibbutz, carente di personale, "ha combattuto coraggiosamente" per due ore prima di essere sconfitta, aggiungendo che "senza il supporto delle forze militari, perfino una squadra di sicurezza locale più numerosa non avrebbe avuto alcuna possibilità contro una forza nemica di tale portata".

Tuttavia, le informazioni non mancavano: grazie alle telecamere di sicurezza, il comando centrale dell'esercito ha potuto vedere in diretta decine di terroristi che andavano e venivano tra Gaza e il kibbutz, e gli abitanti del kibbutz hanno continuato a inviare richieste di aiuto. L'inchiesta afferma con amarezza che il fallimento dell'esercito è stato "particolarmente grave, in parte perché le forze dell'IDF sono riuscite a raggiungere la comunità solo dopo che gli ultimi terroristi se n'erano andati. In realtà, i terroristi hanno perpetrato le loro atrocità nel kibbutz quasi senza interruzione". Ha aggiunto che "il fallimento di questo episodio risiede nel fatto che il comando non ha compreso che la situazione a Nir Oz era particolarmente grave, che lì si stavano verificando massacri e rapimenti su larga scala e che, di conseguenza, l'invio di forze a Nir Oz non era prioritario rispetto ad altre località".

 

L'indagine dell'esercito specifica sul kibbutz Kfar Aza

La mattina del 7 ottobre, 250 terroristi hanno invaso il kibbutz Kfar Aza, nelle immediate vicinanze del confine. Hanno massacrato 80 persone e ne hanno rapite 19. Nel marzo 2025, l'esercito ha reso pubblica parte delle conclusioni della sua inchiesta su questa battaglia.

Sebbene la prima breccia nel kibbutz sia stata notata alle 6:50 del mattino, sei terroristi, arrivati ​​in aereo con un ultraleggero, erano già nel kibbutz dalle 6:42 del mattino. Un carro armato dell'esercito è arrivato nei pressi del kibbutz intorno alle 7:25 del mattino e ha impedito a diversi terroristi di unirsi all'attacco, finché non è stato richiamato alle 10:20 del mattino. Intorno alle 8 del mattino, sette dei 14 membri del personale di sicurezza del kibbutz sono stati uccisi e un ottavo è rimasto ferito.

Le truppe arrivano a scaglioni: 18 soldati verso le 8:30, 3 alle 8:40, 5 verso le 9:45, 25 verso le 10:35, etc. fino a raggiungere i 765 soldati sul posto verso le 18:30 e più di mille al calar della notte.

La prima lezione è che gli abitanti di Kfar Aza erano completamente soli durante le prime due ore dell'attacco, mentre l'esercito faceva fatica a raggiungere il kibbutz e i suoi 950 abitanti. La battaglia di Kfar Aza fu insolita in quanto fu quella che durò più a lungo (fino al pomeriggio del 10 ottobre), con i terroristi che si rifugiarono nelle loro case. A differenza di quanto accaduto a Be'eri, Kfar Aza non aveva misure di sicurezza significative: una barriera protettiva di base, poche telecamere, armi tenute sotto chiave, niente walkie-talkie, etc. Questa mancanza di coordinamento ha avuto ripercussioni anche sulle prime truppe giunte sul posto, che sono state trattenute in altri settori del kibbutz mentre i terroristi uccidevano e rapivano molti residenti nel quartiere delle giovani famiglie (dove i primi soldati sono arrivati ​​poco prima delle 13:00), mentre decine di civili venivano uccisi e i 19 ostaggi portati via. Le altre 23 unità giunte sulla scena durante il giorno non si sono coordinate meglio fino alla notte tra il 7 e l'8. L'evacuazione dei civili è iniziata solo verso le 23:00, il 7 ottobre. Dopo l'eliminazione dell'ultimo terrorista, avvenuta il 10 ottobre alle 17.30, nel kibbutz furono trovati circa un centinaio di cadaveri di terroristi e una cinquantina nei dintorni.

 

L’Indagine dell'esercito specifica sul valico di Erez

A fine marzo 2025, l'esercito ha presentato la sua indagine sull'attacco al valico di Erez del 7 ottobre 2023. In due ondate successive, circa 120 aggressori hanno attaccato il valico e la base militare adiacente, uccidendo nove soldati e rapendone tre. Le strutture caddero molto rapidamente nelle mani dei terroristi.

La prima lezione che si può trarre dall'indagine è che le truppe presenti nella zona non sarebbero state in grado di resistere nemmeno a un attacco di piccola portata, soprattutto perché i soldati presenti non erano addestrati a respingere un attacco alle installazioni. Sono trascorsi quasi 30 minuti dal momento in cui i primi terroristi sono stati avvistati al valico di Erez al momento in cui si sono infiltrati, ma questo tempo non è stato impiegato per organizzare la difesa del sito. L'indagine evidenzia la mancanza di comando e il fatto che i soldati hanno reagito in modo indipendente.

Altre carenze riguardavano il fatto che un rifugio antiaereo fosse chiuso a chiave perché era stato trasformato in uffici e che alcuni soldati fossero costretti a nascondersi in tubi di cemento. In definitiva, è stato il coraggio delle truppe fin dall'inizio e gli attacchi aerei effettuati nella zona a "salvare molte vite e a impedire danni più estesi" e a "neutralizzare l'infiltrazione di diverse decine di altri terroristi", spiega l'inchiesta.

 

L’Indagine dell'esercito specifica sul festival Nova vicino a Re'im

378 persone sono state uccise nel luogo del festival Nova o nelle sue vicinanze e 44 sono state rapite (17 delle quali sono ancora tenute in ostaggio a Gaza). Questa indagine è stata presentata alle famiglie delle vittime di Nova dal 30 marzo. Dopo una presentazione del 2 aprile, il forum delle famiglie degli ostaggi ha affermato che l'indagine era "superficiale" e conteneva fatti che erano "nella migliore delle ipotesi inaccurati, nella peggiore fuorvianti". Un sentimento ulteriormente rafforzato dal fatto che, poiché l'IDF ha scelto di frammentare le sue indagini, alcune aree dei massacri di partecipanti al festival, più a nord o più a sud, dove sono stati uccisi durante la fuga o mentre si nascondevano (come nei rifugi missilistici), non sono coperte da questa indagine.

Innanzitutto, apprendiamo che la polizia ha autorizzato lo svolgimento di questa festa nelle immediate vicinanze di Gaza senza l'accordo e addirittura contro la raccomandazione iniziale dei vertici militari. L'esercito alla fine ha raggiunto un accordo verbale, ma senza che quest'ultimo abbia preso misure per rafforzare la sicurezza attorno al sito o addirittura installato altoparlanti per diffondere le sirene in caso di necessità. Erano presenti circa 4.000 persone tra partecipanti al festival e personale, con solo 31 agenti di polizia armati di pistola e 70 guardie di sicurezza disarmate. È stato Nivi Ohana, il capo della polizia di Ofakim responsabile dell’evento, a prendere la decisione alle 6:35 di sabato mattina di interrompere l'evento ed evacuare il sito. Molti partecipanti al festival sono rimasti uccisi durante la fuga sulle strade verso nord o sud, costringendoli a tornare al sito di origine. Una gran parte si salva prendendo un sentiero verso est, mentre gli altri rimangono sul posto. Ciò porta all'invio di un messaggio all'esercito, che viene però male interpretato poiché conclude che non sussiste più alcun rischio per i civili presenti sul posto.

Erano circa le 8 del mattino quando un centinaio di terroristi hanno preso la strada sbagliata e si sono diretti verso il festival invece che verso Netivot. Spararono con i lanciarazzi contro un posto di blocco della polizia e proseguirono il loro cammino, dove incontrarono un carro armato dell'esercito di Be'eri, il cui personale era tutto morto, tranne l'autista, che riuscì a uccidere diversi aggressori, aiutato dalla polizia locale che circondava il carro armato. Il riparo del veicolo blindato e del personale armato ha lasciato libera la strada ai terroristi per raggiungere il festival, i quali, nell'arco di più di due ore, hanno massacrato 171 persone. Un elicottero da combattimento inviato nelle vicinanze ha avvistato i veicoli dei terroristi ma non ha sparato, non essendo stato informato della presenza dei partecipanti al festival. I primi soldati arrivarono sul posto poco prima di mezzogiorno: erano solo 11. Il sito non fu occupato prima delle 15:00 circa, dopo l'arrivo dei rinforzi. Secondo l'inchiesta, il fallimento dell'esercito risiede in tre ambiti: il fatto che le unità militari hanno dovuto combattere prima per proteggersi, il fallimento dei sistemi di intelligence e di comando e la mancanza di coordinamento tra polizia ed esercito.

 

I ripetuti rifiuti del governo di una commissione d'inchiesta statale

Nonostante le indagini dell'esercito e dei servizi segreti e nonostante le ripetute richieste dell'opposizione e delle famiglie delle vittime, Benjamin Netanyahu si rifiuta categoricamente di istituire una commissione statale d'inchiesta sul 7 ottobre.

Secondo la legge israeliana, tale commissione sarebbe formata dal Presidente della Corte Suprema e godrebbe di pieni poteri investigativi e di assoluta indipendenza dal governo.

- Il 17 luglio 2024, la Knesset ha respinto con 53 voti contro 51 un disegno di legge per istituire tale commissione.

- Nel dicembre 2024, il procuratore generale Gali Baharav-Miara ha raccomandato al governo di istituire una commissione, senza successo.

- il 21 gennaio 2025, un nuovo disegno di legge viene respinto dalla Knesset con 53 voti favorevoli e 45 contrari.

- Nel marzo 2025, il presidente israeliano Isaac Herzog e il presidente della Corte suprema Isaac Amit hanno siglato un compromesso per istituire una commissione, il cui scopo principale era consultare il giudice della Corte suprema Noam Sohlberg, un magistrato conservatore, sulla composizione della commissione. L'obiettivo di questo compromesso era quello di rispondere alle preoccupazioni di Netanyahu circa la parzialità di tale commissione. Ma ciò non è bastato, poiché l'ufficio del Primo Ministro ha rilasciato una dichiarazione appena un'ora dopo l'annuncio del compromesso: "I cittadini hanno diritto a una vera commissione d'inchiesta, non a una commissione politicamente faziosa". Al che l'ex ministro della Difesa Benny Gantz ha risposto che il primo ministro "non sta cercando di avviare un'indagine sugli errori del 7 ottobre, sta piuttosto cercando di insabbiarli". L'ex Primo Ministro Naftali Bennett ha dichiarato che "il Presidente Herzog ha proposto un compromesso equilibrato e pertinente per l'istituzione di una commissione statale (...). Chiunque lo respinga cerca solo di evitare indagini, responsabilità e attribuzioni di responsabilità".