RASSEGNA STAMPA a cura di REDAZIONE – ETICA A.c.

Restare o lasciare Gaza?

I palestinesi si interrogano sulla "migrazione volontaria" proposta da Israele

di Abdel Kareem Hana - 30 luglio 2025

Euro news

 

Il piano israeliano è stato accolto da un ampio rifiuto dei palestinesi e delle organizzazioni internazionali. L'Onu denuncia che lo sfollamento forzato di popolazione da un territorio occupato è un crimine di guerra.

I governi di Israele e Stati Uniti hanno annunciato mesi fa, suscitando ampie polemiche, di avere approvato  un piano per il futuro di Gaza che include la "migrazione volontaria sicura" dei residenti di Gaza verso altri Paesi.

Per questo obiettivo, Israele ha pensato di costituire un dipartimento speciale per organizzare la partenze, sulla base di una proposta presentata dal ministro della Difesa israeliano, Yisrael Katz, e approvata dall'esecutivo.

Secondo una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio, la nuova amministrazione avrà il compito di coordinare i trasferimenti in collaborazione con le organizzazioni internazionali e le parti interessate, supervisionando l'organizzazione delle partenze compreso dall'aeroporto israeliano di Ramon e i necessari controlli di sicurezza che consenta il trasferimento via terra, mare e aria verso Paesi terzi.

Ma come vedono i palestinesi il loro futuro a Gaza e come considerano le richieste di lasciare la Striscia?

 

Una vecchia politica da Dayan a Netanyahu.

L'annuncio del piano è coinciso con le espulsioni e le evacuazioni all'interno della Striscia di Gaza, cui la popolazione è stata costretta per i bombardamenti e le offensive militari di terra di Israele.

La gran parte dei palestinesi ha vissuto traumi ripetuti di abbandono forzati di case e terre a partire dalla Nakba, la "catastrofe" seguita al conflitto arabo-israeliano nel 1948.

Varie organizzazioni umanitarie hanno messo in guardia sull'emergenza immediata, ma anche per le conseguenze a lungo termine, parlando del rischio sotto la dicitura "volontario" di un programma di sfollamento forzato della Striscia.

Alcuni hanno parlato di una "pulizia etnica" dei palestinesi in corso a Gaza e in Cisgiordania. Le Nazioni Unite hanno confermato che la "migrazione volontaria" non ha alcuna legittimità e che lo spostamento di popolazione civile è un crimine secondo il diritto internazionale.

Sulla stessa linea le organizzazioni non governative per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch, che hanno chiesto di rispettare il diritto dei palestinesi a rimanere nella loro terra.

Sebbene la retorica ufficiale israeliana presenti il nuovo piano come una risposta umanitaria, le radici dell'idea risalgono a decenni fa.

Il 12 giugno 1967, dopo la cattura di Gaza, l'allora ministro della Sicurezza israeliano Moshe Dayan descrisse la Striscia come un "problema complesso", segnalando la percezione negativa che Israele aveva della regione.

Durante la firma degli Accordi di Oslo negli anni '90, l'allora primo ministro Yitzhak Rabin espresse il desiderio di "andare al mare o annegarci dentro", esprimendo il desiderio di separare completamente la Striscia di Gaza da Israele.

Durante questa guerra, il primo ministro israeliano Netanyahu ha proposto all'ex segretario di Stato americano, Anthony Blinken, il 12 ottobre 2023, la creazione di un corridoio umanitario per "trasferire i residenti di Gaza in Egitto".

Questa proposta è stata accolta con le iniziali riserve degli Stati Uniti, seguite da una dichiarazione più decisa da parte del ministro degli Affari Strategici, Ron Dermer. "Non ci sarà alcuna crisi umanitaria a Gaza se non ci saranno civili", ha detto Dermer.

Queste frequenti dichiarazioni dimostrano che ciò che viene offerto oggi come soluzione temporanea o "corridoio umanitario" è il culmine di una politica israeliana che vede Gaza come un peso demografico e un rischio strategico da eliminare.

 

Sfollamenti iniziali e crescenti voci di migrazione con l'intensificarsi della guerra.

Con lo scoppio della guerra nella Striscia di Gaza seguita agli attacchi di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, più di 120mila palestinesi per lo più con doppia cittadinanza hanno lasciato la Striscia attraverso il valico di Rafah verso l'Egitto e altri Paesi.

Si stima che il numero di palestinesi con doppia cittadinanza a Gaza sia circa 300mila, il che riflette l'entità della popolazione che teoricamente ha la possibilità di andarsene.

Con l'intensificarsi delle operazioni militari, della devastazione e della malnutrizione, tra i palestinesi di Gaza si è parlato sempre più spesso di andare via per sfuggire alla morte.

Finché è stato possibile alcuni hanno pagato migliaia di dollari ad agenzie egiziane per lasciare la Striscia, ma molti hanno rifiutato categoricamente l'idea, riflettendo una profonda divisione sociale sul futuro della Striscia di Gaza e della sua popolazione.

Per Hamas, che governa Gaza dal 2005 con un potere pressoché assoluto sui suoi oltre due milioni di abitanti, i piani proposti per il futuro della Striscia sono volti a "liquidare la causa palestinese".

 

"È più facile morire qui che andarsene".

Seduti in una tenda a Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale, Mohsen al-Ghazi, 34 anni, sfollato dall'area di Juhr al-Dik, racconta a Euronews la sua tragedia, simile alle storie di migliaia di palestinesi le cui vite sono state distrutte dai bombardamenti israeliani.

Al-Ghazi ha perso la casa, il figlio maggiore e i suoi genitori finora eppure insiste a rimanere a Gaza e rifiuta categoricamente l'idea di emigrare. "Non lascerò questa terra", dice, "è più facile morire qui che dare all'occupazione l'opportunità di realizzare le sue bugie".

L'uomo - che come tutti i palestinesi si riferisce a Israele come un potere occupante - sottolinea che la sua posizione non è frutto di emozione ma è dettata da convinzioni religiose, politiche e morali, tanto da rifiutare a maggior ragione l'idea di un esodo di massa dalla Striscia, che viene presa in considerazione dai più giovani.

"Anche se l'occupazione mandasse delle navi per trasportarci, io non me ne andrei", spiega Al-Ghazi, "la salvezza individuale significa abbandonare la nostra responsabilità di difendere questa terra".

Nel campo di Nuseirat, Sami al-Dali, 45 anni, la pensa allo stesso modo ma non condanna chi decide di andarsene. "A ciascuno il suo, chi se ne va può tornare o servire la causa dall'estero".

Sfollati a Gaza: "Non ce la facciamo più"

 

Alla luce della guerra in corso e del deterioramento delle condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza, Bilal Hassanin ritiene invece che l'opzione dell'emigrazione sia diventata una "necessità urgente", nonostante la sua difficoltà.

Hassanin ha dovuto sfollare più volte dopo la distruzione della sua casa ed è costretto a usare le stampelle per via di una ferita subìta nei pressi del corridoio di Netzarim.

"Ho perso tutto. Non posso più completare i miei studi universitari, non ho cibo, né acqua, né elettricità", dice a Euronews, "la Striscia di Gaza è stata distrutta e le possibilità di costruire un futuro qui diminuiscono di giorno in giorno".

Il sogno del giovane palestinese è di trovare un ambiente sicuro al di fuori di Gaza che gli permetta di ritrovare la sua vita e realizzare i suoi sogni, come dice anche Zakaria Farajallah, ferito già tre volte durante quasi due anni di guerra.

"Sto cercando di ottenere un'opportunità di cura all'estero, ne approfitterò per chiedere asilo, perché la Striscia di Gaza è diventata un luogo terrificante e invivibile", dice Farajallah.

Sua moglie, Hanin Akl, aggiunge che rimanere è quasi impossibile, soprattutto per i due figli e per il terzo in arrivo. "Abbiamo perso la nostra casa e abbiamo viaggiato da un campo profughi all'altro", ricorda la donna, e i problemi fisici di mio marito hanno aumentato le nostre sofferenze. Abbiamo urgentemente bisogno di un ambiente sicuro per noi e per i nostri figli".

Akl, che è laureata ma senza occupazione anche prima del conflitto, spera di costruire un futuro più stabile per lei e la sua famiglia oltre la guerra, ma fuori dalla Striscia di Gaza.