«Un'Europa migliore» e le minacce del populismo alle elezioni

del Parlamento Europeo

(Alain de KEGHEL)

 

Un’Europa migliore, questa è la formula che mi auguro di sviluppare con voi all’avvicinarsi delle elezioni europee del 9 giugno 2024.

«2024, l’anno degli elettori», titolava Alain Frachon su Le Monde il 9 febbraio, riferendosi ai 60 paesi che sottoporranno le loro scelte al voto degli elettori.

In Europa, i sondaggi prevedono un’impennata dell’estrema destra in un contesto di discredito delle élite e della policrisi che l’umanità sta attraversando.

Ma «la prima resistenza è quella della mente», ci dice Edgard Morin.

Ma se l’Europa è migliore, sicuramente più vicina al cittadino, è anche, in buona parte, perché è più capace di comunicare e spiegare le conquiste di quanto è stato via via costruito in un arco di tempo in fondo non così lungo, guardando di più da vicino, dopo il Trattato di Roma del 1957 e quello della CECA del 1951.

L'opinione pubblica non ne è ancora sufficientemente consapevole: si tratta ancora e nonostante tutto di un'area di pace duratura, nonostante i conflitti regionali che ha vissuto nell’ex Jugoslavia e la guerra dichiarata dalla Russia all’Ucraina dal 2014 con l’annessione della Crimea e poi la sua fulminante invasione nel febbraio 2022; ciò illustra in modo molto concreto l’importanza di una UE forte e del mantenimento degli equilibri essenziali e dei rapporti di forza in un contesto internazionale di dominio sempre più assertivo dei grandi gruppi geopolitici regionali e di fronte a due grandi potenze mondiali rivali: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

Senza trascurare le altre potenze e continenti emergenti: i BRICS e le nuove sfide poste dal «sud globale». Questa piccola appendice dell’Eurasia è, non dimentichiamolo, la culla in cui è apparso ed è fiorito l’Illuminismo e da cui sono emersi valori inestimabili per tutti, anche se resta ancora molto da fare e i detrattori tradizionali e populisti ne fanno una questione politica che costituisce una vera sfida di fronte a un elettorato disorientato.

I risultati di recenti sondaggi in Francia hanno mostrato che il numero di connazionali che affermano che altri regimi potrebbero essere altrettanto validi quanto la democrazia sarebbe salito al 36% degli intervistati, e ciò merita ancora più attenzione poiché in diversi paesi dell’Europa dell’Est così come in Italia, Paese firmatario del Trattato di Roma, queste posizioni sono quelle dei partiti di governo.

Il caso della Polonia, con il recente ritorno al potere attraverso le urne dei partiti democratici dopo un governo a lungo dominato da oscurantisti che non hanno esitato a rompere il contratto di fiducia con l’UE, ci insegna che questo è possibile. Le sfide e gli eccessi cui è abituata l'Ungheria di Orban a Bruxelles devono allertarci e spingerci a essere più fermi e determinati a non cedere nulla. Ma l’Italia di Madame Meloni ci insegna anche i limiti della «realpolitik» in relazione agli atteggiamenti elettorali antieuropei messi alla prova dell’esercizio del potere. Nessuno può ignorare una certa disaffezione nei confronti della democrazia, compresa la (e forse a cominciare dalla) Francia. È consustanziale a quel riferimento all’universalità di valori a lungo considerati come parametri strutturanti, minati tanto dal «trumpismo» americano, che scredita la democrazia, quanto dalle posizioni assunte dalla Cina di Xi Jin Ping  e dalla Russia di Putin.

 

Un’Europa migliore significa tenere maggiormente conto di coloro che restano o hanno la sensazione di rimanere dimenticati o sacrificati dal progetto. Un progetto politico, economico, sociale e umano che non è giunto a compimento. E che ha i suoi difetti così spesso e giustamente denunciati: l’eccessiva enfasi data alla finanziarizzazione e la priorità data alle dottrine ispirate alle grandi istituzioni finanziarie internazionali, l’assenza di una reale risposta strutturale dopo la crisi del 2008 e l’urgente necessità per le élite dirigenti «sicure e dominanti» addestrate – o distorte? - nel crogiolo delle Grandes Écoles, di abbandonare le proprie fredde e lontane certezze tecnocratiche, per ascoltare meglio il senso comune degli elettori, cittadini desiderosi di partecipare alla preparazione di politiche meglio concertate.

 

Un’Europa migliore è anche consapevolezza dei punti di forza e di debolezza di una BCE e della necessità di ripensare politiche monetarie e di bilancio che portano ancora troppo il sigillo di una Germania ancora «culturalmente» prigioniera del trauma delle svalutazioni subite, nel corso della sua storia, che rovinò in gran parte la democrazia e portò all’avvento della barbarie nazista.

Si evita così il ritorno alle pagine più oscure di una storia tragica che ha visto la scommessa di Hegel, Heine, Goethe, Schiller e Kant condurre il mondo in una conflagrazione senza precedenti ma che i politici avevano voluto ignorare per colpevole debolezza.

Certo, la storia non si ripete, ma come ha giustamente detto un personaggio famoso, «a volte balbetta». Ebbene sì, oggi non possiamo fare a meno di modificare gli equilibri di potere nell’Europa dei 27, attraverso l’attuazione di una pedagogia politica essenziale sia a livello di dialogo intergovernativo sia a livello delle istituzioni europee, senza dimenticare, anche in questo caso, la parte che ricadrà sui cittadini e su di noi Massoni individualmente e collettivamente.

Il precedente non ancora del tutto compiuto della BREXIT, con il suo carico di incertezze, di devastanti «verità alternative» su un modello importato dall’America, dove al primo posto c’è la spudorata relativizzazione dell’informazione pur verificabile e il rischio di una débacle politica britannica, alla quale si aggiunge la caduta libera della sterlina, dovrebbe aiutarci ad aprire gli occhi e a fornire maggiore lucidità.

 

Un’Europa migliore è proprio l’EURO, che ha festeggiato il suo ventesimo anniversario nel 2022, sinonimo di fluidità dei viaggi e dei mezzi di pagamento intra-europei, all’interno della zona euro. Sembra, secondo i sondaggi, che questo sia ancora uno degli aspetti meglio percepiti dall'opinione pubblica e bisogna evidenziarlo.

 

Un’Europa migliore è anche, e sarà in larga misura, la soluzione alla difficile equazione tra mantenimento, o meglio, ripristino del reddito disponibile per le famiglie, osando rimettere in discussione, come aveva fatto il Club di Roma, il nesso univoco tra crescita e benessere. Il che impone di integrare simultaneamente ("allo stesso tempo"...) le aspettative della società, la tutela dell'ambiente e lo stato del mondo cui si è fatto riferimento nell'introduzione. L’Europa, benché ridotta oggi solo a una piccola appendice nel nostro universo globalizzato e multipolare, possiede ancora tutto il considerevole potenziale del genio delle sue forze unite e tutto il peso del suo simbolismo storico, purché ne siamo sufficientemente convinti, per dispiegarli a beneficio dei cittadini pieni di dubbi. Un’Europa federale o un’Europa delle Nazioni sognata da De Gaulle, dall’Atlantico agli Urali, è divenuta una visione dell’anima almeno dopo le ripetute aggressioni di una Russia che alimenta il sogno di una ricostituzione dell’ex impero sovietico. Evitiamo quindi falsi dibattiti senza privarci dei nostri sogni.

 

Un’Europa migliore richiede di tenere conto delle realtà e dei sentimenti dei cittadini che si esprimeranno alle urne il 9 giugno. Uno studio qualitativo realizzato dall’organizzazione indipendente «DESTIN COMMUN» ci allerta fin dal titolo: «Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: le cause di una grande disconnessione».

 

Prima osservazione allarmante: quasi nessuno dei partecipanti allo studio era a conoscenza delle elezioni che si terranno nel prossimo giugno. Altrettanto preoccupante, solo il 53% dei francesi intervistati ritiene che l'Unione europea sia un'organizzazione democratica. La visione dominante è quella di un’Europa «à la carte», disunita e burocratica. L'orgoglio di essere europei è piuttosto minoritario tra gli intervistati. Il che si riferisce a una tendenza forte nel nostro Paese se teniamo presente le precedenti delusioni per il progetto fallito di un Trattato sulla Comunità Europea di Difesa (1954) e poi il risultato del referendum sul progetto del Trattato di Maastricht (2005). Tuttavia, come sottolinea il rapporto di DESTIN COMMUN:

 

«Idealizzare l’Unione Europea quando è imperfetta, ridurla agli aspetti tecnici quando è frutto di decisioni politiche che hanno un impatto diretto sulla nostra vita quotidiana, emarginarla quando nessuna delle grandi sfide del mondo di oggi avrà soluzione sulla scala dello Stato-nazione senza l’Unione: è la nostra incapacità di discutere il futuro dell’Europa in modo chiaro, semplice ed efficace ad alimentare l’astensione.

Leader politici e attivisti, giornalisti, sindacalisti, volontari, intellettuali, insegnanti… questa indifferenza è un fallimento collettivo. Da qui al 9 giugno è urgente mobilitare tutta la società civile per esigere il dibattito che l’Europa merita, un dibattito di qualità, per tutti e ovunque».

[Marie Trélat, portavoce del Movimento Europeo - Francia, uno dei partner dello studio].

 

È giunto il momento, alla luce dei preoccupanti sondaggi che attribuiscono al partito di estrema destra e populista RN nel nostro paese un netto dominio delle urne con circa il 30% delle intenzioni di voto a suo favore, di riprendersi e agire senza debolezza o esitazione. Non c'è tempo per procrastinare.

Il convegno pubblico organizzato dal GODF a Parigi il 17 aprile sotto l'egida della Loggia di Studi e Ricerche AD EUROPAM con la partecipazione di testimoni ungheresi e tedeschi nonché quella di un eurodeputato portoghese verrà, cosa da sottolineare, trasmessa su YouTube in interazione diretta con gli ascoltatori, compresi i più giovani.

Questa iniziativa, presieduta dal Gran Maestro, illustra senza dubbio in modo emblematico tutta l’attenzione prestata dalla nostra Obbedienza alle sfide democratiche poste dal populismo. Certamente la Massoneria non è destinata a scendere nell'arena politica, ma risponde chiaramente a un'esigenza morale e a un'aspettativa pari alla minaccia.

 

Raccogliamo insieme la sfida.

Alain de Keghel

[Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari]