L'Europa nella tempesta perfetta

 

di Jean-Dominique Giuliani  e  Pascale Joannin

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

 

L'Unione europea continua ad affrontare crisi e sorprese strategiche, ognuna più grande e più violenta.

La guerra russa in Ucraina è l'ultima in ordine di tempo. Non ci sono più crisi, c'è solo l'accelerazione di eventi imprevisti e di profondi cambiamenti. Dopo i subprimes, le finanze greche, i profughi siriani, la pandemia di Covid, ecco lo spettro della guerra che ritorna nel continente.

Tutte queste sfide minano la maggior parte delle politiche comunitarie, pur confermando l'importanza della costruzione europea.

Nelle crisi l'Unione europea ha fatto più progressi in pochi mesi che in trent'anni.

Ma paga in contanti per i suoi ritardi e le sue esitazioni.

Deve rivedere molte delle sue politiche e proiettarsi risolutamente in un mondo globale, nuovo e più brutale.

 

L'UNIONE EUROPEA HA GIÀ FATTO MOLTI PROGRESSI

Nella crisi sanitaria, sebbene il primo movimento di Stati sia stato nazionale – chiusura delle frontiere, competizione per gli strumenti antivirus – esso ha subito ceduto il passo a una reazione comune che si è manifestata nell'acquisizione e distribuzione dei vaccini, di cui l'Unione europea è divenuta rapidamente il principale produttore e il principale donatore nel mondo. Gli Stati membri poveri si sono rivolti alla cooperazione europea. Ha funzionato.

Il piano di risanamento che è seguito ha abbattuto una serie di tabù prima insormontabili. NextGenerationEU, finanziata per metà da prestiti congiunti, ha aperto la strada a sovvenzioni dirette degli Stati più colpiti dalla pandemia. Una cosa mai vista prima. Ha dato espressione concreta a una solidarietà europea che pensavamo stesse regredendo in tutti i campi.

Infine, la guerra russa in Ucraina è stata l'occasione per una reazione rapida e massiccia con l'adozione di severe sanzioni contro alcuni attori russi, a volte a scapito degli interessi economici immediati.

L'Unione europea si è dimostrata molto più reattiva di quanto non fosse stata finora. Di fronte all'emergenza si è espresso con forza il “riflesso europeo”, che non era sceso in campo per fronteggiare l'ondata migratoria del 2015. Le istituzioni comuni hanno compreso che il fattore tempo è una condizione per dimostrare la loro efficacia. La rapida adozione di nuove regole, a vocazione internazionale, è stata una sorpresa. Prima consentendo il controllo degli investimenti esteri, poi accettando prestiti congiunti e un ruolo fondamentale della Commissione europea come acquirente prima di vaccini, poi di gas. Il Digital Market Act e i futuri testi che regoleranno le attività digitali nel territorio dei 27 hanno scandito l'ora delle normative europee applicabili a tutti gli attori del settore, qualunque sia la loro nazionalità. In termini di difesa e di diplomazia, gli europei hanno saputo adottare una "bussola strategica", il primo passo verso una vera strategia globale. L'accelerazione – purtroppo ancora troppo lenta – della presa in considerazione, a livello europeo, del necessario riarmo dell'Europa è il più recente degli sviluppi verso una maggiore reattività ed efficacia della cooperazione e delle istituzioni europee.

A questo proposito, potremmo anche rilevare positivamente una svolta nell'azione congiunta degli europei, "ringiovanita" dal suo piano di ripresa, ma anche verso nuovi ambiti di competenza finora sopiti o inesplorati, ad esempio, il sostegno a tecnologie di rottura, la politica spaziale, il calcolo quantistico o la produzione di componenti elettronici (Chip Act).

Alcuni potrebbero considerare questi cambiamenti insufficienti, ma nessuno può contestare che si tratti di grandi rotture con le precedenti pratiche dell'Unione europea e con le sue regole, molte delle quali sono state sospese. Si noteranno anche iniziative individuali o bilaterali di Stati che fanno chiaramente parte di un'analisi europea, come l' "Airbus delle batterie", il Cloud europeo o i piani "Idrogeno",  più o meno concertati, in cui il ruolo della coppia franco-tedesca a volte si rivela decisivo.

Resta il fatto che l'Unione europea sta pagando in contanti per i suoi ritardi, le sue esitazioni e le sue divisioni. Ciò è particolarmente evidente in materia di energia e di difesa.

I ripetuti rifiuti di tutti gli Stati membri di costruire una politica energetica comune hanno generato danni che stanno venendo alla luce. La dipendenza dai suoi fornitori, troppo a lungo considerata un vantaggio per la cooperazione e il progresso dello stato di diritto nell'est o nel sud, costituisce ormai un notevole ostacolo al suo margine di manovra diplomatico.

In termini di difesa, il fatto di considerare la progressiva costruzione di un'autonomia strategica, vale a dire la libertà d'azione, come un attacco alla NATO, ha rallentato la volontà di fermare il disarmo europeo e di costruire insieme un vero pilastro europeo dell'Alleanza. Gli europei si sono trovati al seguito dei loro alleati transatlantici, non disposti a farsi coinvolgere in Europa in un equilibrio di potere con la Russia, ossessionati come sono dalla loro rivalità con la Cina. La guerra in Ucraina ha visto gli Stati Uniti e il Regno Unito in prima linea nella risposta alla guerra di aggressione, sia nell'intelligence e nell'analisi, sia nel sostegno tangibile all'Ucraina sotto attacco.

Questa situazione, inoltre, dimostra a contrario la complementarietà tra la NATO e l'Unione Europea. Quest'ultima ha i mezzi finanziari per assistere l'Ucraina sotto attacco, mentre la prima è potente a livello militare. Le consegne di armi finanziate dall'Unione europea dimostrano sia i limiti della sua azione sia l'evoluzione delle sue regole. Senza precedenti, trasgrediscono le regole comuni affidandosi all'azione degli Stati membri. Uno,la Francia, che detiene la Presidenza semestrale del Consiglio, mantiene l'unico canale di comunicazione occidentale con il dittatore russo, gli altri, con la Polonia e i paesi dell'Europa centrale e orientale, assicurano che l'Unione europea non farà cadere nel vuoto l’appello di un vicino che chiede aiuto.

 

LA REVISIONE, LO SVILUPPO O L'AVVIO DI POLITICHE COMUNI EUROPEE SONO QUINDI UN'OPERA ESSENZIALE PER L'UNIONE NEL PROSSIMO FUTURO

Ovviamente, il Green Deal europeo non resisterebbe a una guerra prolungata, e nemmeno a un conflitto che coinvolgesse maggiormente gli Stati membri. Il rischio è significativo. In tali circostanze, che antepongono l'urgenza alle politiche a lungo termine, vi è motivo di temere deroghe “forzate” e ripetute a disposizioni già contestate da alcuni Stati membri. L'Unione Europea deve adattare le sue politiche prima di essere costretta a un'economia di guerra.

 La “tassonomia”, tanto cara ad alcuni commissari e al Parlamento europeo, ha voluto escludere il nucleare e alla fine ha accettato di inserire il gas nelle energie di “transizione”. Questo zoppo compromesso non avrebbe mai dovuto riguardare l'energia nucleare, che contribuisce all'indipendenza energetica dell'Europa, né dovrebbe includere il gas di cui tutti ora vogliono liberarsi o per il quale intendono urgentemente cambiare fornitore. Le industrie della difesa che sono anche nella lista nera dovrebbero essere espressamente escluse dagli stessi tentativi.

In agricoltura, il destino dei pesticidi, senza uno studio di impatto, rischia di portare a una riduzione della produzione di cereali e ad un aumento della carenza e del prezzo dei generi alimentari di base in un momento in cui Russia e Ucraina, i due principali fornitori dei paesi in via di sviluppo, stanno riducendo drasticamente le loro esportazioni. L'Unione Europea ha una scelta: o perseguire la sua politica sviluppata sotto la pressione eccessiva delle lobby delle ONG militanti e contribuire a carestie e rivoluzioni, in particolare sulle sponde meridionali del Mare Mediterraneo, oppure, come hanno già fatto i ministri dell'agricoltura, riportare in coltura alcune aree, aumentare con urgenza la produzione di prodotti essenziali per evitare le conseguenze sociali e politiche di queste carenze. Rafforzerebbe così il suo ruolo geopolitico con gli Stati bisognosi.

Va da sé che un'effettiva solidarietà europea tra i suoi membri deve tenere conto anche della dimensione energetica. Gli Stati dipendenti devono poter fare affidamento sui loro partner per mettere in comune parte delle loro forniture o per beneficiare di un potere di contrattazione collettiva con nuovi fornitori. Sarà forse questa l'occasione per gettare le basi per una politica comune più realistica in questo settore chiave della sovranità europea?

Lo stesso vale per la difesa. Attualmente, l'Unione europea finanzia la distribuzione di armi all'Ucraina, cosa che questa non è in grado di fare internamente. Accelerare e rafforzare il finanziamento di industrie della difesa in Europa è una priorità richiesta sia dall'obiettivo dell'autonomia strategica sia dalle autorità della NATO. La politica delle sanzioni comuni ha impressionato per la sua portata. Tuttavia non può bastare né ora né in futuro. Dopo la bussola strategica adottata in primavera, il passo successivo è un vasto piano di finanziamento degli investimenti nel settore della difesa. Sarebbe meglio se esso fosse coordinato, gli annunci della Cancelleria tedesca in materia sembrano molto isolati.

 

LA GERMANIA SARÀ AL CENTRO DEI FUTURI PROBLEMI EUROPEI

Non avendo autonomia di difesa, non disponendo di una forza armata efficace, avendo fatto scelte energetiche unilaterali con poca solidarietà con i suoi partner, dipendendo dalle forniture russe, soffrendo per la chiusura dei mercati cinesi che potrebbe derivare dalla pandemia e dalle priorità politiche del partito comunista cinese, e dovendo gestire la riconversione del suo importante settore automobilistico, l'economia tedesca deve affrontare sfide formidabili.

Si evolverà verso un'integrazione europea rafforzata, come afferma, o continuerà con le sue politiche nazionali che non mancheranno di avere un impatto negativo sui suoi partner facendo loro sopportare alcuni dei suoi errori passati? Le risposte sono molto importanti per questo paese e per l'intera Unione europea.

La risposta migliore sarebbe perseguire con determinazione il completamento del mercato interno, dell'Unione bancaria e dell'Unione dei mercati di capitali. La Germania, come l'intera Unione, può trovare in questi progetti una soluzione parziale alle emergenze attuali e soluzioni durature a un'economia strutturalmente dipendente da paesi terzi.

Le soluzioni sono europee. I riflessi dei governi e dei cittadini stanno diventando sempre più europei. Gli Stati membri potrebbero trarne forza per nuove iniziative, che permettano  di cancellare le esitazioni, le lentezze, anche gli errori del passato, per volgersi risolutamente verso il futuro.

La “tempesta perfetta”, cioè violenta, quella che attraversa l'Unione europea è un'opportunità di revisione di alcune certezze, per adeguare le proprie politiche e conquistare un po' di più, attraverso l'efficienza e la reattività, il cuore dei cittadini europei.

 

Questo Rapporto Schuman sullo stato dell'Unione è stato ampiamente nutrito da contributi scritti prima dello scoppio della guerra russa in Ucraina. Ma rimane di grande attualità per le questioni a lungo termine che analizza e le proposte che contiene.

 

FONDAZIONE ROBERT SCHUMAN / QUESTION D’EUROPE N°634 / 30 MAGGIO 2022

JEAN-DOMINIQUE GIULIANI Presidente della Fondazione Robert Schuman

PASCALE JOANNIN Direttrice generale della Fondazione Robert Schuman

 

 

 

https://maipiustragi.it/

 

Per chi volesse aderire, qui il link di #maipiùstragi.

In piazza, insieme, perché nessuno sia più solo: martedì 5 luglio alle ore 19.00 davanti alla Stazione Centrale di Milano manifesteremo a sostegno del procuratore Nicola Gratteri e di tutti i cittadini che rischiano la vita contro le mafie.

A inizio maggio è stato scoperto il progetto di un attentato nei confronti del Procuratore della DDA di Catanzaro. Una nuova minaccia alla vita del magistrato impegnato in prima linea contro la ‘ndrangheta.

Trent’anni dopo le stragi di Palermo, è necessario ribadire che la lotta alle mafie ci riguarda tutti e che chi combatte la criminalità organizzata non è da solo: non vogliamo altri martiri da commemorare il giorno dopo ma scendere in campo prima, per impedire l’irreparabile.

Vogliamo sostenere Gratteri, i magistrati e le forze dell’ordine che svolgendo il proprio lavoro ci difendono dalla violenza mafiosa. Vogliamo sostenere la democrazia, messa a rischio dalle azioni criminose delle mafie. Vogliamo mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica il grave e pericoloso processo di infiltrazione della ‘ndrangheta in atto in tutta Italia.

Il flashmob del 23 maggio scorso in piazza S. Apostoli a Roma è stato il primo passo: sono sempre di più le associazioni e i cittadini che stanno facendo rete per ritrovarsi il 5 luglio a Milano.

In piazza Duca d’Aosta martedì 5 si alterneranno interventi e testimonianze di personalità del mondo della cooperazione, del sindacato, dell’economia, della filantropia, del volontariato, del giornalismo e dello spettacolo. Intanto, anche sui social è partita la mobilitazione: hanno aderito con videomessaggi di supporto alla manifestazione Pif, Marco Paolini, Albano, Michele Placido, Luca Zingaretti, Giovanni Minoli, Maurizio De Giovanni, Angela Iantosca, Padre Maurizio Patriciello, Antonio Stornaiolo, Rita Pelusio, Gianluigi Nuzzi.

I loro videomessaggi sono condivisibili dai social degli enti promotori e sul sito ufficiale maipiustragi.it

Elenco adesioni al 29 giugno 2022: ACLI - ActionAid - Comitato Addiopizzo - Addiopizzo Travel - Agapanto APS Roma - AgesciAITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile) - Altromercato - APS Parità per le Diversità - Arci Servizio Civile Calabria – Associazione Amici Della Casa Della Carità - Associazione Andiamo Avanti - ANPI - Assifero – Auser Regionale Lombardia – Auser Milano - Avvocati senza Frontiere - Azione Cattolica - CCO – Crisi Come Opportunità - Caritas Italiana - Caritas Ambrosiana – Caritas Emilia Romagna – Caritas Lombardia – Casa Internazionale delle Donne - Centro per l'Autonomia Cooperativa Sociale - Centro Studi Rossanese "Vittorio Bachelet"- CGIL Calabria – CGIL Lombardia - Chico Mendes Altromercato cooperativa sociale - CIES-Onlus - CISL Calabria - CISL Lombardia - CNCA Lombardia - CNCA Nazionale - Collectif Avanti - Comunità Competente Calabria - Comunità Progetto Sud - Confcooperative Federsolidarietà - Confcooperative Reggio Emilia - Comitato don Peppe Diana – Consorzio Sir - Consorzio Cooperativo Nausicaa - Consulta Nazionale Antiusura Giovanni Paolo II – Centro Sportivo Italiano Milano - SV.net - E.V.A. Cooperativa Sociale - FICT (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche) – FOCSIV - Fondazione Finanza Etica- Fondazione Con Il Sud - Fondazione Corte delle madri - Fondazione San Bernardino - Forum del Terzo Settore nazionale - Forum Terzo Settore Calabria – Forum Terzo Settore Città Di Milano - GOEL Gruppo Cooperativo - Human Foundation – Ideeinformazione – Il Mulino - Associazione Il Quinto Ampliamento - Italia che Cambia - JSN JESUIT SOCIAL NETWORK ITALIA Onlus - Cooperativa sociale "La Speranza" Cassina e S. Agata - Laboratorio Ricerche & Studi Vesuviano - Legambiente - Libera Milano Contro Le Mafie – Associazione culturale L'Orablù - Made in Carcere – M.A.S.C.I - Associazione Microfinanza e Sviluppo Onlus - Movimento Agende Rosse - Movimento M24A Equità Territoriale – Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood - Next Nuova Economia per Tutti - Nuova Cooperazione Organizzata NCO - Pastorale per i Problemi Sociali e il Lavoro Calabria - Associazione Peppino Impastato e Adriana Castelli - PLEF - Progetto Policoro Calabria – Rete Antimafie Martesana APS - Rete Recovery Sud -Cooperativa Sociale Ripari - RITMI - Rete Italiana di Microfinanza – Rock No War - Scuola di Formazione Antonino Caponnetto - Slow Food Italia - Sud 20/40 - Terra Dea di San Giorgio a Cremano - T-ERRE Turismo Responsabile - Associazione Un'altra storia Varese - Unicobas - Comitato #versoil23maggio - WikiMafia Libera Enciclopedia sulle mafie.

 

L’INGANNO

 

Fatale è l’inganno che la mente trama celando il suo fine ultimo e speculare; ti induce a pensare che l’aria che respiri ti sia necessaria, più che la forza del cuore, più che la memoria ancestrale, più che tutte le leggi dello spazio.

 

Dolce è il sonno in cui ti avvolge, cullandoti tra sogni e speranze, in un guanciale soffice, ma la traccia è segnata e tu riterrai che il risveglio sia prossimo e rigenerante.

 

La mente ti abbaglia e guida i tuoi passi, la presa delle tue mani, la proiezione del tuo sguardo.

 

Non sei tu a gioirne, non sarai tu a piangere o soffrire, ma solo le false percezioni che ti circondano; perché non comprendi che questo corpo che ti comprime e ti espone al mondo dei simili, altro non è che una catena immaginaria, un serraglio di uomini e belve, angusto e limitato.

 

Prendi il largo, abbraccia il mare e afferra la prima nuvola che passa; abbandonati al deserto ed ai ghiacciai perenni; schiudi il guscio che trattiene la tua anima, unica proprietà ed unica certezza perpetua del tuo vagare nel cosmo.

 

Bagna i tuoi piedi in più fiumi possibili ed incontra più vite che puoi, più nemici che puoi, più lampi e pioggia che puoi.

 

Perché non vi sarà tempesta più furente dell’ira dei Giusti; non chiederti mai quanti canti o quante danze hai condiviso, né quanti ne farai.

 

Non cedere all’inganno dei falsi miti e ripudia ogni gesto, ogni atto meschino, ogni bieco interesse che non sia condivisibile.

 

Quanto più avrai amato, quanta più pace riceverai, quanto più miserabile astio avrai sopportato, quanta più speranza e giustizia lascerai al tuo passaggio terreno.

 

E quando fatalmente attraverserai il confine tra questa esistenza e quella a venire, e sarai essenza pura, dai tutta la luce che puoi, agli anfratti bui dell’universo e sii quanto più vicino all’idea, alla sensazione, alla illusione di eternità.

©Alessandro Scuderi 

Avevo più o meno due anni e mezzo quando entrai in cucina caracollando, mi aggrappai alla tovaglia per non cadere e, scivolando a terra, trascinai insieme a me la tovaglia, le tazze della colazione e la caffettiera napoletana che mia madre aveva appena capovolto al centro della tavola. Porto ancora sul petto il segno di quella ustione da acqua bollente, che su un corpo così piccolo era molto estesa e che oggi, su un torace adulto, resta una traccia di memoria discreta ma profonda.

Ho avuto tempo per familiarizzarci e ora non ci bado più, ma quando ero bambino mi rifiutavo di andare in piscina per non dover esibire una parte di me che mi faceva vergognare, e d’estate mi ingegnavo per evitare la spiaggia o almeno per tenere su la maglietta nonostante il sole di Ischia. Nell’adolescenza, invece, scherzavo sulla cicatrice prima ancora che qualcuno mi chiedesse come me la fossi procurata: una granata al fronte, dicevo, o spiritosaggini del genere. Dei circa due metri quadri di pelle che posseggo, per un tempo non trascurabile della mia vita mi sono preoccupato solo di un fazzoletto di venti centimetri di lato, non conforme al modello di epidermide che avevo in mente. E il resto?

Chissà che oggi, nel dedicare la XVIII edizione di Torino Spiritualità a esplorare la vasta significatività della pelle non ci sia in me l’impulso a risarcire con la dovuta attenzione le decine e decine di centimetri di tessuto che diligentemente hanno marcato il mio punto di inizio e di fine rispetto al mondo, e che io a lungo ho trascurato. Può darsi, anche se mi sembra di poter individuare con precisione il momento in cui mi è parso valesse la pena di mettersi a lavorare sul tema pelle. È accaduto nel corso della passata edizione del festival, secondo una dinamica che in questi anni si è verificata spesso: ascolti un ospite parlare e a un certo punto ti colpisce con una frase, un riferimento, un pensiero che ti fanno dire: “questo me la devo proprio ricordare”.

 

Scintille, che però a lungo andare possono rischiarare la sagoma di un nuovo tema da esplorare. E dunque è andata così: durante la sua lezione, la rabbina francese Delphine Horvilleur ha fatto riferimento a una pagina di Nudità e pudore, saggio da lei scritto alcuni anni prima e pubblicato in Italia da Qiqajon, la casa editrice della comunità di Bose. In quella pagina Horvilleur si soffermava su una questione che i commentatori ebrei della Bibbia hanno rivestito – e il verbo non è usato a sproposito – di molteplici ipotesi: che tipo di indumento era la tunica di pelle citata nella Genesi, quella cucita da Dio in persona per coprire Adamo ed Eva all’uscita dall’Eden? Pelle di animale? Di quale? Del serpente, che a quel punto della vicenda non era più tanto ben visto?

Secondo alcuni passaggi dello Zohar, capolavoro della mistica ebraica evocato dalla rabbina Horvilleur, una delle risposte – in effetti suggestiva – potrebbe essere questa: la tunica cucita da Dio per Adamo ed Eva altro non era che la pelle stessa dell’uomo. Nell’Eden, quindi, l’essere umano era luminosamente a- dermico, trasparente a se stesso e al suo Signore, ma quando l’armonia si infrange e la creatura deve lasciare il Giardino ecco che ha bisogno di coprirsi con qualcosa che la separi dal mondo e, avvolgendola, definisca i suoi limiti: una frontiera tra sé e il resto, sigillo di uno stato fusionale svanito.

 

Stato fusionale che, se dalla Genesi ci spostiamo a un altro “inizio”, mi sembra di ritrovare non dissimile nella condizione del neonato. Appena venuto al mondo, il bambino ha una coscienza assai rudimentale del proprio corpo: non sa dove inizi, non sa dove finisca, non sa che la pelle delle braccia che lo avvolgono e dei palmi che lo accarezzano non sono la sua pelle, ma una pelle altrui, l’altro da sé. Lo capirà dopo, e se potrà imparare le coordinate del proprio spazio corporeo sarà in buona parte grazie a quella pelle non sua, che percorrendo amorevolmente i suoi confini estremi glieli avrà rivelati. Insomma, una costruzione di identità personale che passa attraverso l’inatteso manifestarsi di un’epidermide che ci delimita.

Proprio come accaduto ai nostri progenitori biblici che, da diafani che erano, si ritrovano di colpo definiti e “opachi”: la condizione edenica di creature senza pelle, trasparenti l’uno all’altra e al loro creatore, perduta per sempre.

 

Simbolicamente, potremmo scorgere in questa narrazione scritturale anche una sorta di indicazione etica sui modi di stare al mondo: più la pelle è spessa – incallita da strati di indifferenza, cinismo, egolatria – più ci si allontana dall’originaria compiutezza dell’essere umano; mentre una pelle sottile, in quanto armatura meno divisiva, ci rende partecipi del reale e ci fa più vicini a una mirabile compiutezza, che è trasparenza empatica, relazione sempre esposta al bene quanto al male. Con tutto ciò che tale estroversione può comportare in termini di spiazzamenti, vulnerabilità, arricchimenti e trasformazioni.

Ma a ben guardare la pelle non è solo “opacità” che copre e nasconde. Anzi. L’epidermide rivela moltissimo di ciò che siamo: è archivio intimo, mappa e memoria, al punto che ogni traccia sulla nostra pelle – una ruga, un neo, un’impronta digitale, la mia cicatrice, un tatuaggio – è la marca di un’individualità, il palinsesto visibile che ci portiamo addosso. E non sarà un caso se in molte narrazioni essere privati dell'epidermide significa al tempo stesso essere privati della propria identità.

Nelle Metamorfosi di Ovidio il sileno Marsia è punito da Apollo con la tortura dello scorticamento e al culmine dello strazio esclama: perché mi strappi da me stesso? Di supplizio in supplizio, strappato da sé stesso è anche il martire San Bartolomeo, che Michelangelo rappresenta nel Giudizio Universale mentre stringe nella mano l’involucro penzolante della sua stessa pelle. Impressionante, ma meno della versione marmorea che si può contemplare nel Duomo di Milano, una figura di muscoli e tendini scoperti, avvolta in un drappeggio che a osservare meglio è un mantello di pelle scuoiata. Ma lasciamo da parte San Bartolomeo e osserviamo altri santi. Scopriremo un modo meno cruento di essere “strappati da sé stessi”: l’estasi. Etimologicamente estasi significa stare al di fuori di sé,

trascendersi, in un movimento che varca il confine naturale e ci porta letteralmente oltre l’abito della nostra pelle, a incontrare qualcosa che ci supera.

 

Tutto ciò per dire che se da un punto di vista puramente anatomico la pelle può sembrare l’organo più esteso ma meno complesso – quantomeno a un profano come me –, da un punto di vista sociale, psicologico, narrativo, simbolico e spirituale è invece quanto mai articolato: avvolge la persona, la incarna, la definisce, la distingue, la mette in relazione con gli altri e con il mondo fuori, perché è lì sulla pelle che la vita viene a incontrarci.

Ma in questo suo essere soglia, l’epidermide rinvia anche alla nostra interiorità. Quando, per dare conto di un’emozione profonda, diciamo che la tal cosa “ci ha toccati” stiamo alludendo proprio a questo: a una porosità che connette il fuori al dentro, a una membrana esterna che affonda e si imprime nel mondo interiore, e lo nutre. Diceva il poeta Paul Valéry che nell’uomo non c’è nulla di più profondo della pelle. Ossia, è nel confine estremo che riveliamo meglio ciò che siamo, perché è sulla superficie che le cose si espongono davvero alla luce. Sarà per questo, forse, che ancora oggi c’è chi suppone di poter leggere interi destini nelle linee di una mano.

 

E a proposito di mani... scrivevo poco fa del Giudizio Universale. Se ora voltiamo le spalle all’altare della Sistina e alziamo gli occhi al centro della volta ci troviamo a osservare quel frammento di spazio che separa il dito di Adamo dal dito di Dio. C’è chi legge nel mancato sfioramento la potenza del libero arbitrio: anche se Dio si protende, sta all’uomo scegliere se estendere l’ultima falange e chiudere il circuito affinché il divino circoli nella materia. Sia come sia, ciò che qui interessa è che il dito esita e lo spazio non si colma. Quanto doveva essere spavalda, invece, la falange di San Tommaso per insinuarsi tra i lembi di pelle lacera di Gesù.

Per come ce lo mostra Caravaggio, il discepolo sembra addirittura intento a frugare nella piaga per sincerarsi che non ci sia inganno, sempre più dentro alla pelle che è, appunto, quanto di più profondo ci sia. Due attitudini opposte, la ritrosia di Adamo e la spudoratezza di Tommaso, ma in fondo lo stesso messaggio: l’esperienza spirituale ha bisogno della mediazione tattile del corpo, e la sensibilità fine di cui è capace la punta delle mie dita serve anche a trovare il divino. Perché non ci rivolgiamo a un Dio distante, ma l’abbiamo sempre di fronte; e se capita di non vederlo può darsi che non sia perché è troppo lontano, ma perché è troppo vicino, a portata di pelle.

 

Sul finire degli anni Quaranta Curzio Malaparte scriveva: «Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la

 propria pelle. [...] È la civiltà moderna, questa civiltà senza Dio, che obbliga gli   uomini a dare una tale importanza alla propria pelle. Non c'è che la pelle che   conta, ormai» (La pelle, Adelphi, 2010).

 

Cambiano le guerre, mutano le circostanze ma il concetto mantiene la sua attualità. Non c’è che la pelle, la pelle tesa e perfetta che non ne vuole sapere di invecchiare, la pelle violata dalla ferita e la pelle sintetica, la pelle sottile, spessa, arrossata, ornata, tatuata, ustionata, la pelle specchiante degli ausili touch, la pelle coperta, quella impudica, quella che cambia, la pelle degli altri, la pelle uguale, la pelle diversa. Per questo è importante ragionarci su, e vale la pena farlo anche puntando a un orizzonte spirituale in cui “salvarsi la pelle” e “salvarsi l’anima” siano lembi che possono infine toccarsi.

 

Armando Buonaiuto,  curatore del festival Torino Spiritualità.

©DoppioZero, luglio 2022

Sto tornando

 

Se fosse come librarsi in volo, mi lascio andare al vento e perdermi nel cielo, accarezzato e accettato, finalmente atteso e liberato da tutti i pesi, da tutte le nebbie cerebrali, da tutti gli sguardi di improbabili moralisti, da tutte le illusioni mal riposte…

Se fosse come scendere nel blu ed essere leggeri e protetti, finalmente accolto dal liquido abbraccio degli abissi, perdermi nel ventre del mare che tanto mi fu caro finché fui libero, ed espandermi tra correnti e flutti, abbandonarmi tra Atlantide e gli incubi dei guerrieri, tra le percezioni e le elucubrazioni dei dubbiosi, fino a disfarmene, come di stracci logori…

Se fosse come aggrapparsi alla roccia nuda e fredda, tra ghiacci e nebbie scrutatrici, porre passo su passo, artigliare pietra su pietra con mani sanguinanti e guardare giù, verso la fine. Come solo gli uccelli notturni sanno fare, in un unico respiro, un unico sguardo sull’infinita cupola e sull’infinita amata terra…

Se fosse come amare con le vene gonfie ed il cuore proteso, pulsante e lieve come nubi che si rincorrono, come piume sollevate e sospese dai sospiri lenti. Come le corse a perdifiato, come solo un amore vero sa sanguinare e gioire insieme; senza fiato, senza respiro, senza tregua emozionale…

Se fosse come le notti africane, buie, lente e scintillanti, con il manto stellato che ti avvolge ed il ricordo di vite vissute al fuoco di coscienze perdute; in attesa del leopardo, in attesa del nemico, in perenne stato di subconscio. La savana sotto i piedi e tutto ciò che tocchi punge, brucia o taglia…

Se fosse tutto come prima che aprissi la porta, prima di cedere alle tentazioni ed alle pieghe della vita, allora sì… tornerei per ricominciare e ricominciare, fino a ritrovare quel masso comodo e bianco come marmo dove, sedutomi e addormentatomi, sognai di essere il tuo eroe…

©Alessandro Scuderi