L'Europa nella tempesta perfetta

 

di Jean-Dominique Giuliani  e  Pascale Joannin

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

 

L'Unione europea continua ad affrontare crisi e sorprese strategiche, ognuna più grande e più violenta.

La guerra russa in Ucraina è l'ultima in ordine di tempo. Non ci sono più crisi, c'è solo l'accelerazione di eventi imprevisti e di profondi cambiamenti. Dopo i subprimes, le finanze greche, i profughi siriani, la pandemia di Covid, ecco lo spettro della guerra che ritorna nel continente.

Tutte queste sfide minano la maggior parte delle politiche comunitarie, pur confermando l'importanza della costruzione europea.

Nelle crisi l'Unione europea ha fatto più progressi in pochi mesi che in trent'anni.

Ma paga in contanti per i suoi ritardi e le sue esitazioni.

Deve rivedere molte delle sue politiche e proiettarsi risolutamente in un mondo globale, nuovo e più brutale.

 

L'UNIONE EUROPEA HA GIÀ FATTO MOLTI PROGRESSI

Nella crisi sanitaria, sebbene il primo movimento di Stati sia stato nazionale – chiusura delle frontiere, competizione per gli strumenti antivirus – esso ha subito ceduto il passo a una reazione comune che si è manifestata nell'acquisizione e distribuzione dei vaccini, di cui l'Unione europea è divenuta rapidamente il principale produttore e il principale donatore nel mondo. Gli Stati membri poveri si sono rivolti alla cooperazione europea. Ha funzionato.

Il piano di risanamento che è seguito ha abbattuto una serie di tabù prima insormontabili. NextGenerationEU, finanziata per metà da prestiti congiunti, ha aperto la strada a sovvenzioni dirette degli Stati più colpiti dalla pandemia. Una cosa mai vista prima. Ha dato espressione concreta a una solidarietà europea che pensavamo stesse regredendo in tutti i campi.

Infine, la guerra russa in Ucraina è stata l'occasione per una reazione rapida e massiccia con l'adozione di severe sanzioni contro alcuni attori russi, a volte a scapito degli interessi economici immediati.

L'Unione europea si è dimostrata molto più reattiva di quanto non fosse stata finora. Di fronte all'emergenza si è espresso con forza il “riflesso europeo”, che non era sceso in campo per fronteggiare l'ondata migratoria del 2015. Le istituzioni comuni hanno compreso che il fattore tempo è una condizione per dimostrare la loro efficacia. La rapida adozione di nuove regole, a vocazione internazionale, è stata una sorpresa. Prima consentendo il controllo degli investimenti esteri, poi accettando prestiti congiunti e un ruolo fondamentale della Commissione europea come acquirente prima di vaccini, poi di gas. Il Digital Market Act e i futuri testi che regoleranno le attività digitali nel territorio dei 27 hanno scandito l'ora delle normative europee applicabili a tutti gli attori del settore, qualunque sia la loro nazionalità. In termini di difesa e di diplomazia, gli europei hanno saputo adottare una "bussola strategica", il primo passo verso una vera strategia globale. L'accelerazione – purtroppo ancora troppo lenta – della presa in considerazione, a livello europeo, del necessario riarmo dell'Europa è il più recente degli sviluppi verso una maggiore reattività ed efficacia della cooperazione e delle istituzioni europee.

A questo proposito, potremmo anche rilevare positivamente una svolta nell'azione congiunta degli europei, "ringiovanita" dal suo piano di ripresa, ma anche verso nuovi ambiti di competenza finora sopiti o inesplorati, ad esempio, il sostegno a tecnologie di rottura, la politica spaziale, il calcolo quantistico o la produzione di componenti elettronici (Chip Act).

Alcuni potrebbero considerare questi cambiamenti insufficienti, ma nessuno può contestare che si tratti di grandi rotture con le precedenti pratiche dell'Unione europea e con le sue regole, molte delle quali sono state sospese. Si noteranno anche iniziative individuali o bilaterali di Stati che fanno chiaramente parte di un'analisi europea, come l' "Airbus delle batterie", il Cloud europeo o i piani "Idrogeno",  più o meno concertati, in cui il ruolo della coppia franco-tedesca a volte si rivela decisivo.

Resta il fatto che l'Unione europea sta pagando in contanti per i suoi ritardi, le sue esitazioni e le sue divisioni. Ciò è particolarmente evidente in materia di energia e di difesa.

I ripetuti rifiuti di tutti gli Stati membri di costruire una politica energetica comune hanno generato danni che stanno venendo alla luce. La dipendenza dai suoi fornitori, troppo a lungo considerata un vantaggio per la cooperazione e il progresso dello stato di diritto nell'est o nel sud, costituisce ormai un notevole ostacolo al suo margine di manovra diplomatico.

In termini di difesa, il fatto di considerare la progressiva costruzione di un'autonomia strategica, vale a dire la libertà d'azione, come un attacco alla NATO, ha rallentato la volontà di fermare il disarmo europeo e di costruire insieme un vero pilastro europeo dell'Alleanza. Gli europei si sono trovati al seguito dei loro alleati transatlantici, non disposti a farsi coinvolgere in Europa in un equilibrio di potere con la Russia, ossessionati come sono dalla loro rivalità con la Cina. La guerra in Ucraina ha visto gli Stati Uniti e il Regno Unito in prima linea nella risposta alla guerra di aggressione, sia nell'intelligence e nell'analisi, sia nel sostegno tangibile all'Ucraina sotto attacco.

Questa situazione, inoltre, dimostra a contrario la complementarietà tra la NATO e l'Unione Europea. Quest'ultima ha i mezzi finanziari per assistere l'Ucraina sotto attacco, mentre la prima è potente a livello militare. Le consegne di armi finanziate dall'Unione europea dimostrano sia i limiti della sua azione sia l'evoluzione delle sue regole. Senza precedenti, trasgrediscono le regole comuni affidandosi all'azione degli Stati membri. Uno,la Francia, che detiene la Presidenza semestrale del Consiglio, mantiene l'unico canale di comunicazione occidentale con il dittatore russo, gli altri, con la Polonia e i paesi dell'Europa centrale e orientale, assicurano che l'Unione europea non farà cadere nel vuoto l’appello di un vicino che chiede aiuto.

 

LA REVISIONE, LO SVILUPPO O L'AVVIO DI POLITICHE COMUNI EUROPEE SONO QUINDI UN'OPERA ESSENZIALE PER L'UNIONE NEL PROSSIMO FUTURO

Ovviamente, il Green Deal europeo non resisterebbe a una guerra prolungata, e nemmeno a un conflitto che coinvolgesse maggiormente gli Stati membri. Il rischio è significativo. In tali circostanze, che antepongono l'urgenza alle politiche a lungo termine, vi è motivo di temere deroghe “forzate” e ripetute a disposizioni già contestate da alcuni Stati membri. L'Unione Europea deve adattare le sue politiche prima di essere costretta a un'economia di guerra.

 La “tassonomia”, tanto cara ad alcuni commissari e al Parlamento europeo, ha voluto escludere il nucleare e alla fine ha accettato di inserire il gas nelle energie di “transizione”. Questo zoppo compromesso non avrebbe mai dovuto riguardare l'energia nucleare, che contribuisce all'indipendenza energetica dell'Europa, né dovrebbe includere il gas di cui tutti ora vogliono liberarsi o per il quale intendono urgentemente cambiare fornitore. Le industrie della difesa che sono anche nella lista nera dovrebbero essere espressamente escluse dagli stessi tentativi.

In agricoltura, il destino dei pesticidi, senza uno studio di impatto, rischia di portare a una riduzione della produzione di cereali e ad un aumento della carenza e del prezzo dei generi alimentari di base in un momento in cui Russia e Ucraina, i due principali fornitori dei paesi in via di sviluppo, stanno riducendo drasticamente le loro esportazioni. L'Unione Europea ha una scelta: o perseguire la sua politica sviluppata sotto la pressione eccessiva delle lobby delle ONG militanti e contribuire a carestie e rivoluzioni, in particolare sulle sponde meridionali del Mare Mediterraneo, oppure, come hanno già fatto i ministri dell'agricoltura, riportare in coltura alcune aree, aumentare con urgenza la produzione di prodotti essenziali per evitare le conseguenze sociali e politiche di queste carenze. Rafforzerebbe così il suo ruolo geopolitico con gli Stati bisognosi.

Va da sé che un'effettiva solidarietà europea tra i suoi membri deve tenere conto anche della dimensione energetica. Gli Stati dipendenti devono poter fare affidamento sui loro partner per mettere in comune parte delle loro forniture o per beneficiare di un potere di contrattazione collettiva con nuovi fornitori. Sarà forse questa l'occasione per gettare le basi per una politica comune più realistica in questo settore chiave della sovranità europea?

Lo stesso vale per la difesa. Attualmente, l'Unione europea finanzia la distribuzione di armi all'Ucraina, cosa che questa non è in grado di fare internamente. Accelerare e rafforzare il finanziamento di industrie della difesa in Europa è una priorità richiesta sia dall'obiettivo dell'autonomia strategica sia dalle autorità della NATO. La politica delle sanzioni comuni ha impressionato per la sua portata. Tuttavia non può bastare né ora né in futuro. Dopo la bussola strategica adottata in primavera, il passo successivo è un vasto piano di finanziamento degli investimenti nel settore della difesa. Sarebbe meglio se esso fosse coordinato, gli annunci della Cancelleria tedesca in materia sembrano molto isolati.

 

LA GERMANIA SARÀ AL CENTRO DEI FUTURI PROBLEMI EUROPEI

Non avendo autonomia di difesa, non disponendo di una forza armata efficace, avendo fatto scelte energetiche unilaterali con poca solidarietà con i suoi partner, dipendendo dalle forniture russe, soffrendo per la chiusura dei mercati cinesi che potrebbe derivare dalla pandemia e dalle priorità politiche del partito comunista cinese, e dovendo gestire la riconversione del suo importante settore automobilistico, l'economia tedesca deve affrontare sfide formidabili.

Si evolverà verso un'integrazione europea rafforzata, come afferma, o continuerà con le sue politiche nazionali che non mancheranno di avere un impatto negativo sui suoi partner facendo loro sopportare alcuni dei suoi errori passati? Le risposte sono molto importanti per questo paese e per l'intera Unione europea.

La risposta migliore sarebbe perseguire con determinazione il completamento del mercato interno, dell'Unione bancaria e dell'Unione dei mercati di capitali. La Germania, come l'intera Unione, può trovare in questi progetti una soluzione parziale alle emergenze attuali e soluzioni durature a un'economia strutturalmente dipendente da paesi terzi.

Le soluzioni sono europee. I riflessi dei governi e dei cittadini stanno diventando sempre più europei. Gli Stati membri potrebbero trarne forza per nuove iniziative, che permettano  di cancellare le esitazioni, le lentezze, anche gli errori del passato, per volgersi risolutamente verso il futuro.

La “tempesta perfetta”, cioè violenta, quella che attraversa l'Unione europea è un'opportunità di revisione di alcune certezze, per adeguare le proprie politiche e conquistare un po' di più, attraverso l'efficienza e la reattività, il cuore dei cittadini europei.

 

Questo Rapporto Schuman sullo stato dell'Unione è stato ampiamente nutrito da contributi scritti prima dello scoppio della guerra russa in Ucraina. Ma rimane di grande attualità per le questioni a lungo termine che analizza e le proposte che contiene.

 

FONDAZIONE ROBERT SCHUMAN / QUESTION D’EUROPE N°634 / 30 MAGGIO 2022

JEAN-DOMINIQUE GIULIANI Presidente della Fondazione Robert Schuman

PASCALE JOANNIN Direttrice generale della Fondazione Robert Schuman