Non crediamo di dover dare una spiegazione storica sul tema del Santo Graal, in quanto una disamina filosofica o letteraria, seppur sotto un’angolazione esoterica, non farebbe altro che ripetere inutilmente la dotta vanità di uno studio profano.

Ciò che crediamo sia proficuo, dal nostro punto di vista iniziatico, è il considerare un problema squisitamente tradizionale come quello del Graal, alla luce della Grande Tradizione Universale, nella quale tutti i Simboli sono Archetipi che velano, sotto forme differenti, un significato analogico e costante valido “in toto” per la metodologia di ogni Scuola Iniziatica.

 

Simboli e significati universali, quindi.

Il Graal, come vedremo più avanti, è la rappresentazione di una comune ricerca che si riscontra, con tematiche e nomi differenti, in una parallela e continua identità con il mito, il simbolismo e l’allegoria dell’intero patrimonio tradizionale dell’Occidente e dell’Oriente.

Tanto per rinverdire le reminiscenze sulle origini dell’argomento di cui stiamo parlando, ricorderemo le principali fonti della saga del Graal:

  1. Ciclo di Robert de Boron, che comprende:
    • il Joseph de Arimathia
    • il Merlin
    • il Perlesvax
  2. Il “Conte du Graal” di Chretien de Troyes, con varie interpolazioni;
  3. Il cosiddetto “Grand Saint Graal”;
  4. “Il Perceval li Gallois” in prosa;
  5. La “Queste del Saint Graal”, penultima parte del Lancellotto in prosa;
  6. Il “Parzifal” di Wolfram von Eschenbach, a cui si può associare il Titurel di Albrecht von Scharffenberg e il Wartburgkrieg;
  7. La “Morte Darthur” di Thomas Malory;
  8. Il “Diu Crône” di Heinrich von dem Turlin.

Secondo Guénon1, il ”San Graal è la coppa che servì alla Cena, e dove Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sfuggivano dalla ferita aperta nel fianco di Cristo dalla lancia del centurione Longino.

Secondo la leggenda, questa coppa sarebbe stata trasportata in Gran Bretagna dallo stesso Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo; e bisogna scorgere qui l’indicazione di un legame stabilito tra la tradizione celtica ed il cristianesimo. La coppa, difatti, rappresenta una parte assai importante nella maggior parte delle tradizioni antiche, e senza dubbio questo era in particolare il caso dei Celti; si deve anche notare che essa è frequentemente associata alla lancia, due simboli che sono allora in qualche modo il complemento l’uno dell’altro... Ed ancora: ...Questa coppa sarebbe stata intagliata dagli Angeli in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero al momento della sua caduta.

Questo smeraldo ricorda in modo netto la perla frontale che, nel simbolismo Hindu, tiene spesso il posto del terzo occhio di Shiva”.

Aggiunge ancora Guénon che “...il Graal fu confidato ad Adamo nel Paradiso Terrestre ma Adamo lo perdette quando fu scacciato dall’Eden”.

Infatti, l’uomo, separato per sempre da quello che rappresenta il suo vero centro interiore, perde la coscienza che lo rende partecipe della Totalità, limitando la sua esperienza ad una dimensione puramente temporale.

Ecco perché, abbandonato lo Stato Primordiale, l’uomo abbandona il “centro del mondo”, il Paradiso Terrestre.

La leggenda non dice né dove, né da chi il Graal fu conservato fino all’epoca di Cristo, ma l’origine celtica dalla quale innegabilmente esso trae origine lascia presumere che i Druidi ebbero una parte non indifferente nel trasmettere la Tradizione.

Non ultima la storia dei “Cavalieri della Tavola Rotonda” costruita dal Re Artù sui piani di Merlino, che era destinata a ricevere il Graal quando uno dei Cavalieri fosse pervenuto a conquistarlo e l’avesse portato dalla Gran Bretagna in Armorica.

Naturalmente la Tavola Rotonda era costruita ad immagine del mondo, ed in essa l’intero universo avrebbe trovato riparo.

In alcuni testi si fa riferimento al corso degli astri e alla rotazione del cielo rispetto ad un centro immobile, dal che risulta chiaramente che i cavalieri che si assidono alla Tavola Rotonda (che sono dodici), sono altrettanti rappresentanti del potere centrale ordinatore.

Nella saga del Graal e di Re Artù si connette, oltre al numero dei dodici cavalieri, quello del Posto Pericoloso.

Esso è un posto2 lasciato vuoto nella Tavola Rotonda e riservato ad un cavaliere atteso e predestinato, superiore ad ogni altro, che appare talvolta essere il tredicesimo cavaliere e che allora manifestamente corrisponde alla stessa funzione suprema di centro, capo o polo dei dodici.

Al riguardo di un centro iniziatico, possiamo dire che si tratta di una dimensione metafisica che tuttavia viene rappresentata come luogo mitico in molte mitologie, ed anche nel Graal compare un preciso riferimento ad una contrada o isola, difficilmente accessibile a chi non sia prode ed abbia la necessaria qualificazione per tentare l’impresa3.

Nel “Perceval li Gallois” il Graal è posto nell’isola di Avallon in una casa posta al sommo di contrade avventurose, dove anche Artù e la regina Ginevra sono sepolti.

La denominazione di Avallon o Isola Bianca data alla Sede dove il Graal è custodito, nonché la posizione geografica della stessa, rivelano essere questa la Terra Iperborea o Terra dell’Età dell’Oro dei miti ario-europei.

Il preciso riferimento ad Avallon obbliga ad una serie di considerazioni sul senso dei racconti medievali del Graal, e sull’origine pre-cristiana degli stessi.

Avallon appare in tali narrazioni come la sede incorruttibile di un potere di ordine sovrannaturale legato al Graal, potere che coincide con la regalità suprema del Punto Interno di ogni cosa.

Le saghe irlandesi narrano che i Tuatha dé Danann, “la Gente della dea Dana”, stirpe solare che invase l’Irlanda sottomettendo i Fomori, provenivano da Avallon, da dove avevano acquisito la saggezza straordinaria che li contraddistingueva.

Dopo la morte i Tuatha dé Danann tornarono nella Terra di Avallon, o Isola dei Beati, divenendo invisibili ai mortali.

Avallon deriva dal cimbrico afal, “pomo”.

Avallon dunque, etimologicamente, significa “Terra” o “isola dei Pomi”.

Il nome Avallon si riporta da vicino ad Ablem o Belem, nome celtico di Apollo e designa, quindi, anche la terra del Sole.

Le donne incantate di Avallon possiedono il segreto della gioventù eterna e l’eroe che raggiunge l’isola ottiene “la corona di re della giovinezza perenne”.

La parola Graal è originaria del mezzogiorno della Francia, si trova nel provenzale grazal dal quale deriva il vecchio-francese graalz. Il termine sembra indicare un “vaso” in generale e, più dettagliatamente, un vaso largo e poco profondo, a volte munito di piede, nel quale si servivano vivande.

Hélinaud de Froidmont traduce Graal con “Scutella”.

Nel latino della bassa epoca gradalis, gradalus, gradale indicava una specie di vaso.

Quella che interpreta Graal come vaso o coppa é, insomma, di gran lunga l’etimologia più convincente.

In certe versioni dei racconti del Graal il senso di Coppa o Pietra e Scrittura si trovano accoppiati: una misteriosa iscrizione, ad esempio, compare sul Graal a designare gli eletti o il futuro re che lo possiederà.

Secondo il “Dizionario dei Simboli” di Chevalier-Gheerbrant4, il Santo Graal della letteratura medievale europea è l’erede, se non il continuatore, di due talismani propri della religione celtica precristiana: il crogiolo di Dagda. “Dio Efficace Signore della Scienza” che contiene non solo il nutrimento materiale per tutti gli uomini della terra, ma anche tutte le conoscenze di ogni tipo, e la coppa della Sovranità. Una delle immagini pre-cristiane, che ne è la migliore prefigurazione, è la lancia magica e pericolosa, che lancia scintille e uccide da sola - se non la si mantiene costantemente in un crogiolo pieno di sangue - e che è stata assimilata a quella del soldato romano che ferì il costato di Cristo.

La ricerca del Santo Graal esige delle condizioni di vita interiore che raramente risultano riunite in un’unica persona, poiché le attività esteriori impediscono la contemplazione necessaria e distolgono il desiderio: il Graal può essere vicinissimo, ma non si riesce a vederlo. Questo è il dramma dell’accecamento davanti alle realtà spirituali, tanto più intenso quanto più sinceramente si crede di ricercarle: in realtà si è più attenti alle condizioni materiali della ricerca, che alle sue condizioni spirituali.

La Ricerca dell’inaccessibile Graal è il simbolo dell’avventura spirituale che, da sola, può aprire la porta della Gerusalemme Celeste dove risplende il Divino Calice.

Il Graal viene talvolta qualificato come “santo”, talaltra come “ricco”: “E’ la cosa più ricca che da vivi si possa avere”, è detto nella Morte Darthur. Questo testo, come

molti altri dello stesso periodo, usa l’espressione Sangreal, suscettibile di queste tre interpretazioni: San Graal, Sangue Reale, Sangue Regale.

Ritornando al discorso puramente simbolico, che è all’origine di questa nostra serie di riflessioni, non è certo fuor di proposito indicare che cosa significa la “Cerca del Graal”: in tutte le tradizioni, infatti, esiste l’allusione a qualche cosa che, a partire da una certa epoca, sarebbe andata perduta o sarebbe stata nascosta.

Sir Lancillotto. Illustrazione da Pag.38 del libro "The Boy's King Arthur: Sir Thomas Malory's History of King Arthur and His Knights of the Round Table, Edited for Boys by Sidney Lanier" (New York, Charles Scribner's Sons, 1922).

È, per esempio, il Soma degli Hindu o l’Hàoma dei Persiani, od il Nettare dei Greci, la “bevanda d’immortalità”, la quale ha, precisamente, un rapporto molto diretto con il Graal, poiché questi è il vaso sacro che contiene il sangue di Cristo, che é pure una bevanda di immortalità.

Così, presso gli Ebrei, sia la pronuncia del gran Nome divino (che si è perduta) come la “Parola Perduta” della massoneria, (che simboleggia i segreti dell’iniziazione effettiva), altro non signifìcano che una diversa forma della “Cerca del Graal”.

La lotta più grande, per vincere il peggiore dei mostri, è quella da combattere contro noi stessi, contro i nostri fantasmi interiori.

La Luce calma, l’illuminazione che ci inonderà, infine, è la reintegrazione della nostra individualità nel Tutto, cioè il Graal dentro di noi.

Il Colpo Doloroso, è la caduta che ha fatto dell’Uomo, potenzialmente un Re, un re in esilio, ed ora questi attende nel suo palazzo, ricco di potere virtuale, di rientrare in possesso del suo Tesoro, che solamente un puro folle potrà restituirgli, con la Lancia che Guarisce. Il vecchio re, che ormai rappresentava l’umanità caduta dallo stato edenico a quello umano, lascia il campo al nuovo Re, al Re Re-Integrato.

Anche l’elemento femminile ha una notevole importanza nel simbolismo del Graal: la donna, Ginevra, che apparentemente tradisce Artù, è il mercurio doppio della nostra personalità, ovverossia la facoltà di vitalizzare la parte inferiore o superiore di noi stessi: ed infatti andrà in premio alla forza virile che la padroneggerà.

The Arming and Departure of the Knights (Preparazione e Partenza dei Cavalieri). Arazzo numero 2 del "Holy Grail tapestries" tessuto da Morris & Co. (1891-94) per Stanmore Hall. Questa versione fu tessuta da Morris & Co. per Lawrence Hodson di Compton Hall nel 1895-96. Lana e seta su ordito di cotone. Birmingham Museum and Art Gallery.

Infatti, se vincerà Artù, ovvero lo Spirito, sarà la “coniunctio” tra Sole e Luna, e se invece vincerà il traditore, ossia la personalità, sarà l’incesto.

Un altro simbolo interessante da ricordare è la Spada: infatti, Excalibur è forgiata nell’isola di Avallon da mano non umana, oppure esce dalle Acque in seguito ad una preghiera di Merlino.

Un colpo fatale la spezza ed un eroe dei Graal, spesso con l’aiuto di un fabbro dai tratti divini, deve rinsaldarne i tronconi. La spada rinsaldata rappresenta l’Opera Compiuta, poiché unisce due rive, come il Pontifex, facitore di ponti.

Prima di terminare, vi è ancora un simbolo curioso ed interessante, che si collega ad un altro aspetto della leggenda del Graal, e che merita una speciale attenzione: è quello di Montsalvat (Monte della Salute), il picco situato sulle lontane rive a cui nessun mortale può avvicinarsi, rappresentato come ergentesi in mezzo al mare, in una regione inaccessibile, e dietro il quale si leva il Sole.

A questo luogo simbolico si è ispirato anche Wagner nell’opera “Lohengrin”, il quale

viene da una terra lontana dove, nel castello di Montsalvat, risplende il Santo Graal. I Cavalieri del Graal, che lo custodiscono, sono dotati di poteri sovrumani e vanno spesso nel mondo a difendere l’onore e la virtù: ma se sono costretti a rivelare il loro mistero, devono allora sottrarsi agli occhi dei profani e ritornare al Montsalvat.

Cari Fratelli, fa piacere riposarsi un attimo ed immaginare, con gli occhi della fantasia, che quei Cavalieri siano i Compagni del nostro Rito, ed in particolare i Cavalieri Templari, e che il loro Mantello li riporti alla Solitudine del Tempio, dopo aver agito come sconosciuti nel mondo profano.

Lo storico Henri Martin, citato da Guénon5, afferma che:

“Nel Titurel, la leggenda del Graal raggiunge la sua ultima e splendida trasfigurazione, sotto l’influenza delle idee che Wolfram sembra aver attinte in Francia, e particolarmente dai Templari del Mezzogiorno di Francia. Non è più nell’isola di Bretagna, ma in Gallia, sui confini della Spagna, che il Graal è conservato.

Un eroe chiamato Titurel fonda un Tempio per deporvi il santo Vassello, ed è il profeta Merlino che dirige questa costruzione misteriosa, poiché è stato iniziato da Giuseppe d’Arimatea in persona al piano del Tempio per eccellenza, del Tempio di Salomone.

La Cavalleria del Graal diventa qui la Massenia, vale a dire una Massoneria ascetica, i cui membri si chiamano i Templisti e si può qui afferrare l’intenzione di collegare ad un centro comune, figurato da questo Tempio ideale, l’Ordine dei Templari e le numerose confraternite di costruttori che rinnovavano allora l’architettura del Medio Evo.

Si intravvedono qui tante aperture su ciò che si potrebbe chiamare la storia sotterranea di quei tempi, molto più complessi di quanto non lo si creda generalmente... Ciò che è ben curioso e di cui non si può affatto dubitare, è che la Massoneria moderna risale di scalino in scalino fino alla Massenia del San Graal”.

Con una affermazione suggestiva ma non troppo scientifica, infine Henri Martin aggiunge in una nota: “Perceval finì per trasferire il Graal e ricostruire il Tempio nell’India, ed è il Prete Gianni, questo capo fantastico di una cristianità orientale immaginaria, che eredita la custodia del santo Vassello”.

Anche Louis-Claude de Saint Martin, al termine di una sua preghiera, la nona6, implicitamente inserisce i temi del Graal, laddove parla della Città Santa, della Coppa, della Salute resa, e della Liberazione:

“È per questo che la coppa della salute mi sarà vantaggiosa: ed è allora che la mia lingua riprenderà la sua forza, ed io canterò i cantici della Città Santa.

Signore, quale sarà il mio primo cantico? Esso sarà interamente ad onore e gloria di Colui che mi avrà reso la salute ed avrà operato la mia liberazione.

Io canterò questo cantico dal levare del sole fino al suo tramonto: io lo canterò per tutta la terra, non solamente per celebrare la potenza e l’amore del mio liberatore, ma per comunicare a tutte le anime di Desiderio ed a tutta la famiglia umana, il mezzo certo ed efficace di recuperare per sempre la salute e la vita. Io insegnerò loro che per mezzo di ciò, lo spirito di saggezza e di verità riposerà sul loro proprio cuore, e li dirigerà attraverso tutte le loro strade. Amen”.

Chiudiamo con la parte finale del testo di Malory, quando Artù è ferito a morte, e dà ordine a Ser Bedivere di gettare nell’acqua la spada Excalibur, perché nessuno la possa usare, dopo di Lui.

Non sto qui a dilungarmi sul simbolo della regalità (Kether, la corona), o della Spada, che rappresenta il Verbo, il dovere e la coscienza dell’iniziato, o del lago che rappresenta le Acque Primordiali della creazione.

L’iniziato ha compiuto cavallerescamente il proprio dovere ma Ser Bedivere per ben due volte non ha avuto il coraggio di gettare la spada, ingannando così Artù.

La Damigella del Santo Graal. Dante Gabriele Rossetti.

Lasciamo a ciascuno la libera interpretazione di ciò che può significare il seppellimento della parola, al fine di evitarne la profanazione. Artù si accorge della duplice menzogna di Bedivere, e lo invia per la terza volta:

“Ah, mi hai ingannato ancora, sleale e traditore! - proruppe Artù - La tua fama di nobile cavaliere e l’amore che ti ho sempre portato non mi avrebbero mai fatto pensare che mi avresti tradito per il valore di una spada. Se non eseguirai adesso i miei ordini ti ucciderò con le mie stesse mani ovunque potrò incontrarti - Così Ser Bedivere tornò là dove aveva nascosto la spada, la raccolse con cautela e si avvicinò alla riva. Poi avvolse la cintura intorno all’elsa e la scagliò più lontano che poté.

Allora vide un braccio ed una mano sorgere dall’acqua, afferrarla stretta, brandirla tre volte e poi inabissarsi con l’arma7”.

Il tesoro interiore che è dentro di noi, e che cerchiamo di raggiungere nella Via Iniziatica, talvolta ci appare come un gioiello che ci sfugge nel medesimo momento in cui crediamo di possederlo. Esso è come lo strumento, l’esperienza, assimilabile alla zattera del Buddha: quando hai attraversato un fiume, non é saggio, giunti all’altra riva, caricarsi la zattera sulle spalle e proseguire.

Così è per la spada del Cavaliere, poiché ciò che deve rilucere è la lama dello Spirito.

Il metodo di realizzazione interiore è analogicamente rapportabile alla spada del Cavaliere: come la mente separa, delimita ed analizza, così la spada può dividere e separare, ma anche difendere; e Difendere e Trasmettere la Tradizione è il compito dell’iniziato. Egli combatte una guerra contro il proprio carattere e contro i propri istinti che, se ben condotta, non potrà che portare a quello stato interiore ineffabile, che accomuna tutto ciò che esiste in una condizione di Eterno Presente.

NOTE

1 René Guénon. Il re del mondo. Atanòr, Roma., s.d., capo V.

2 Julius Evola. Il Mistero del Graal, Mediterranee, Roma, 1972, pag. 38.

3 Mario Polia. I Quaderni di Avallon. Roma, n° 0, pagg. 19-22.

4 Jean Chevalier-Alain Gheerbrant. Il Dizionario dei Simboli, Rizzoli. Milano, Volume 1°, pag. 526.

5 René Guénon. L’esoterismo di Dante, Atanòr, Roma, 1971, pag. 36.

6 Louis-Claude de Saint Martin. Dix Prières, Cariscript, Paris, 1987, pag. 44.

7 Thomas Malory. Storia di Re Artù e dei suoi Cavalieri. Mondadori, Milano, 1985, Volume 2°, pag. 711.