Tra Storia e Pregiudizio –

OLTRE IL SAMBATION

Storia dell’immaginario ebraico

 

di Barbara de Munari

 

 

       Scrivere di Storia, avendo il coraggio di rischiare anche contro se stessi, è cosa complessa.

       Scrivere di Storia, adottando l’autodisciplina dell’analisi contestuale diacronica dei fatti storici, dell’immaginario ebraico e del pregiudizio antiebraico, lo è ancora di più, perché inevitabilmente – o probabilmente – si rischierà di vedersi attribuire ogni genere di etichette, non importa.

       Importa però essere consapevoli che saranno etichette tese ad inficiare un lavoro, quello storiografico, che è invece «politico» ma che non vuole «riscrivere la Storia».

       Si tratta di etica della responsabilità e di uno sguardo ben addestrato a guardare nella realtà della vita e dei fatti, si tratta di coltivare la Memoria e la Memoria è una pianta antica e preziosa, che necessita di cure costanti, di acqua pulita e di luce. Così si muove Ariel Toaff nel suo libro “OLTRE IL SAMBATION – Storia dell’immaginario ebraico” (© Edizioni Ester, 2023, in stampa), da raffinato storico del Medioevo e del Rinascimento qual è, oltre che come Rabbino.

       Senza quell’anamorfismo intellettuale che proietta immagini e idee su un piano distorto, rendendo il soggetto originale irriconoscibile, osservandolo solo da un preciso punto di vista, e creando una sorta di «buio a mezzogiorno».

       Ma non si tratta solo di questo.

       Si tratta, qui, di un approccio non tanto storiografico – cioè una riflessione critica sui princìpi metodologici e sui presupposti ideologici con cui viene elaborata e scritta, in modo selettivo a fini interpretativi, la storia dei fatti accaduti in epoche passate, quanto storiosofico – e dunque con una prospettiva sugli eventi considerati alla luce di precisi significati religiosi, in quanto inseriti in una catena di azioni umane sempre «sotto l’occhio divino», per così dire.

       Ariel Toaff è Rabbino, discendente da una famosa stirpe di Rabbini sefarditi, e nel suo scritto (o meglio, in tutti i suoi scritti) è sotteso sempre anche il concetto che questi significati possono essere palesi o nascosti, ma appaiono anche tracciare l’alveo di una presenza divina nella storia ebraica che permette di comprendere (o quanto meno interpretare) i fatti.

       Scrive Ariel Toaff nella sua Premessa al libro: «… È stato sostenuto da più parti che la ricerca sull’immaginario ebraico è ancora allo stato iniziale, se non embrionale. Non so se dietro questa constatazione, apparentemente innocua, si nasconda una sfida, intesa a sottolineare le grandi difficoltà che il tema senza dubbio presenta, anche volendo prescindere dall’apparente penuria di fonti ebraiche sull’argomento. Ma il discorso va pure iniziato…».

       E più avanti:

       «… In questo lavoro ho cercato quindi di cogliere alcune rappresentazioni dell'immaginario nella società ebraica, presente e operante nel mondo cristiano occidentale dal Medioevo alla prima età moderna. Si tratta di proiezioni esotiche, di desideri, fantasmi e mostri, che sono legati naturalmente alla visione religiosa dell'ebraismo, pur non rivelandosi affatto impermeabili agli apporti esterni…».

 

       Si tratta di realtà a volte scomode, di contesti storici difficili con relativi contrappesi onirici, di meravigliosi sedimenti di eredità precedenti e di provenienza eterogenea, nell’Occidente medioevale, nell’India misteriosa, nell’Europa della diaspora ebraica, e poi nella Controriforma, con le tematiche e i percorsi dell'immaginario nella società ebraica che, diversi a seconda dei tempi e dei luoghi, erano inevitabilmente permeati dalle inquietudini e dalle angosce che la storia imponeva loro.

       Paradossalmente, in questa storiosofia ebraica l’ordine del reale si sottopone all’ordine dell’ideale, e il positivo o il negativo si misurano sulla base della vicinanza o della lontananza tra i due ordini. E in quest’ottica il senso degli eventi scaturisce non tanto (o non solo) dalla ricostruzione «scientifica» degli eventi stessi, ma gli eventi sono tali a partire dai significati che la fede attribuisce loro.

       Così è anche per la storia dei fatti, delle idee e dell’immaginario ebraico tracciata in questo libro; oltre le «magnifiche sorti e progressive» di alcune narrazioni storiografiche, oltre le loro varie interpretazioni, Ariel Toaff individua il substrato della storia dell’immaginario ebraico dal Medioevo alla prima età moderna e non sempre tutto quello che vede e che narra è bello o confortante: muovendosi con maestria tra fatti, eventi, credenze e pregiudizi, descrive epoche, altrove o altrimenti celebrate, e le rilegge alla luce del pregiudizio antiebraico.

 Il Medioevo più tormentato, popolato di mostri, di prodigi, di esotismi che possiedono radici profonde, ripristina e sviluppa al proprio interno un Medioevo evangelico e umanista che, con i suoi improvvisi sussulti, con le sue inquietudini nello spirito e nelle forme, crescerà fino al declino.

       Si tratta di un’epoca differenziata, contraddittoria e tutt’altro che omogenea, dall’oscurità solo presunta, che si forma fra dolori cui poche nazioni sfuggono: guerre terribili, carestie, epidemie, rivolte soffocate nel sangue.

       È questa l’epoca del Prete Gianni, del Messia nero, del Sambation, di racconti di viaggi in terre leggendarie abitate da creature fantastiche, dei bestiari e dei codici miniati, della ricerca delle tribù disperse di Israele, ma anche, in ambito cattolico, del commercio delle indulgenze e del traffico delle reliquie sacre.

       Nella letteratura del Talmud e del Midrash compare per la prima volta il mitico fiume Sambation, il fantastico corso d'acqua indoafricano di là dal quale si sarebbero rifugiate le dieci tribù di Israele in attesa dell'era messianica che le avrebbe riportate trionfalmente a Gerusalemme. Nel Talmud (Sanhedrin 65b) si narra che «il fiume Sambation trascina sassi per tutti i giorni della settimana, ma di Sabato riposa».

       Si riteneva che il tempo della redenzione fosse  prossimo a venire. Il cristianesimo occidentale vacillava sotto i colpi impietosi dell'Islam e di Bisanzio, mentre le valorose tribù di Israele, attestate di là dal fiume Sambation, attendevano il momento propizio per prendersi la giusta vendetta su chi le opprimeva.

       Nel XII secolo nasce la leggenda del Prete Gianni, il sovrano cristiano del paese dei neri, che si svolge parallela a quella ebraica delle dieci tribù. Era il sogno cattolico dell'Oceano Indiano che aveva generato il Prete Gianni, il quale peraltro mostrava un timore reverenziale nei confronti degli ebrei delle dieci tribù e del loro re Daniel e si raccomandava ai potenti della cristianità perché lo salvassero da una disfatta umiliante e inevitabile

       Tra la fine del Quattrocento e gli esordi del Cinquecento, infatti, andava facendosi sempre più strada nel mondo ebraico occidentale la persuasione che quelle genti di Israele di ceppo originale, schiette e incontaminate, asserragliate in luoghi impervi, dove anche la natura osservava le regole della Torah, fossero irrefutabilmente di pelle nera. E, paradossalmente, erano quegli ebrei di pelle nera, fieri e bellicosi, che reprimevano e terrorizzavano i cristiani del Prete Gianni, preparandosi a riscattare l'onore delle comunità ebraiche d'Occidente, asservite e umiliate, e proclamando la tanto attesa redenzione messianica.

       Era a questo punto che compariva sulle sponde del Mare Nostrum David Reubeni, «figlio del re Salomone e fratello del re Yosef, che siede sul trono nel deserto di Habor e regna su trecentomila ebrei, appartenenti alle tribù di Gad, di Reuben e di metà della tribù di Manasse». Gli ebrei consideravano quell'uomo delle dieci tribù alla stregua di un vero e proprio messia.

       La drammatica e tragica fine di David Reubeni e il fallimento della missione salvifica, che gli era stata affidata o attribuita, segnavano in un certo senso, se non il definitivo tramonto della storia delle dieci tribù e del Sambation, in ogni caso l'abbandono dell'orientamento che l'aveva caratterizzata fino ad allora e della logica messianica e provvidenziale (non soltanto compensativa) che l'aveva accompagnata, resa sempre più urgente dal tracollo della condizione ebraica nell'Europa cristiana.

       Il Rinascimento fu un periodo di grandi sconvolgimenti economici, politici, religiosi e sociali, con espansioni coloniali che allargarono a dismisura l'orizzonte del mondo europeo, e con enormi trasformazioni in Europa, accompagnate da squilibri e contraddizioni. In ambito religioso avviene la Riforma protestante, con lo scisma fra Chiesa cattolica e Chiesa protestante, ma anche la grande tragedia dell'espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492, e dalla Sicilia nello stesso anno, un preludio a un'ulteriore stretta di vite, espressa da una politica di conversioni forzate, sprezzante e aggressiva, che avrebbe trovato nei papi di metà Cinquecento la guida trainante e irriducibile.

       È questa l’epoca di Lutero, di Girolamo Savonarola e di Giordano Bruno, mentre l'età dei ghetti si preannuncia minacciosa.

       Fino alla Controriforma, epoca in cui l'ebreo si trasformò (sarebbe più opportuno dire «venne trasformato») agli occhi della società cristiana in un «mostro» dalle fattezze ridicole e patetiche, che praticava costumi stolti e grotteschi, espressi nelle «empie» dottrine del Talmud.

       Con la decadenza politica ed economica in Italia, il Rinascimento entrò nella sua fase discendente, e si spensero quelle forze creative che gli avevano dato vigore.

       Le vicende politiche fecero vacillare la fede nelle capacità dell'individuo, facendo riaffiorare la superstizione e la speranza nel miracoloso, il senso della precarietà, le assillanti domande sul lecito e sull'illecito.

       Nel frattempo il pensiero politico rifuggiva dalla chiarezza lineare di Machiavelli. Sullo scorcio del XVI secolo prevaleva ormai lo stato d'animo della Controriforma e il tormento dell'uomo, nuovamente attanagliato dall'angoscia del peccato, lasciava segni profondi sull’immaginario ebraico e nella polemica antiebraica: viene abbandonato lo scontro frontale con il giudaismo e la sua tematica tradizionale, con le sue motivazioni trascendentali giustificative, e i «perfidi giudei, deicidi e corruttori della morale, parassiti, maledetti in eterno e refrattari alla vera fede», lasciano il posto a patetici personaggi tragicomici, colpiti nel fisico e nella psiche dalla sorte, risibili zimbelli, volontariamente oppressi da minuziose e incomprensibili prescrizioni religiose, meschini attori di culti e cerimonie che appaiono come la parodia di un passato lontano, immaginato grandioso.

 

       Appare dunque chiaro in questo libro che il «luogo della ricomprensione» degli eventi non è solo il racconto degli storici o la decifrazione e comparazione dei documenti, quanto il bisogno di riflettere sul dramma dell’esilio, anzi dell’esilio dall’esilio, ed è questo che spinge a cercare di capire cosa è successo e perché.

       Mentre, per le ferite che l’ebraismo ha riportato nei secoli, lo storico può essere nella migliore delle ipotesi un patologo, ma non può certo suggerire «la cura».

       Yosef Hayim Yerushalmi nel suo Zakhor, «Ricorda!», parla dell’infelice dialettica dell’esistenza ebraica con la quale gli ebrei della diaspora hanno cercato, perennemente e ovunque, un’alleanza con i poteri dominanti, provocando così ulteriormente l’odio di masse già pericolose: un infelice modello di come la Memoria e la storia ebraica non riuscissero a comunicare fra di loro.

       Hannah Arendt fece, a sua volta, un’utile distinzione fra il concetto greco di storia e il rifiuto ebraico di un tale concetto.

       La storiografia greca, come del resto la poesia greca, infatti, è interessata alla grandezza:

        «Attraverso la storia gli uomini diventavano quasi uguali alla natura, e solo quegli eventi, quelle imprese, o le parole che da sole si levavano verso la sempre presente sfida all’universo naturale erano ciò che definiremmo storici».

       Contro questa storiografia è la memoria ebraica, basata «sull’insegnamento completamente diverso degli ebrei, che hanno sempre ritenuto che la vita stessa è sacra, più sacra di ogni altra cosa al mondo, e che l’uomo è l’essere supremo sulla terra». 

      La Memoria, come Hannah Arendt teorizza, può essere un potente modo di conoscenza, ed è con questo insegnamento che si può iniziare a leggere la Storia.

       Perché tutto, veramente tutto, scrive altrove Ariel Toaff, avvenne Oltre il Sambation.

 

Barbara de Munari, Torino, agosto 2023