NON STO IN UNA TORRE D’AVORIO

 

"Non sto in una torre d'avorio", ma il mio pensiero lo dico in contesti ufficiali e non in "occasioni informali". Sergio Mattarella entra nella 'tana del lupo', la cittadella della Sapienza dove da giorni le tende degli studenti pro Palestina presidiano il pratone davanti al rettorato per chiedere che l'ateneo boicotti gli accordi con le università di Israele. "Cosa pensa di Gaza?" chiedono i ragazzi mentre il capo dello Stato legge il loro striscione con attenzione al suo arrivo. Poco prima gli studenti avevano scandito al megafono una lettera in cui gli chiedevano di prendere una posizione chiara sul conflitto in Medio Oriente. Il Presidente sceglie anche questa volta una sede istituzionale, come ritiene che richieda il suo ruolo, ma non intende sottrarsi al confronto di merito, anzi fa notare che quel che aveva da dire l'ha detto laddove gli compete, e senza timidezze: all'Assemblea generale dell'Onu e in una lettera al presidente d'Israele. Serve il "cessate il fuoco immediato" dichiara di nuovo nell'aula magna della Sapienza, nel corso di una cerimonia di premiazione dei laureati. Fuori i manifestanti proseguono con slogan e musica, ma senza superare i limiti indicati dalla sicurezza. Il capo dello Stato ripete, con un lungo elenco, tutto quello che andrebbe sanato in un mondo in cui i conflitti si moltiplicano invece di diminuire. Con una regola ben precisa in testa, guarda caso scritta nella Carta: "Tutto quel che riguarda la dignità delle persone, di ogni persona, la loro libertà, l'esigenza di rispettare il diritto umanitario è indicato nella nostra Costituzione ed è quindi doveroso per la Repubblica italiana".

Ma innanzitutto il Presidente ci tiene a far capire che non si vuole sottrarre al confronto, anzi: "una lettera mi ha sollecitato a non rinchiudermi in quella che è stata definita la 'torre d'avorio' del Rettorato. Venendo ho visto un cartello che sostanzialmente mi chiedeva cosa penso di quanto avviene a Gaza. Non voglio lasciare questa domanda senza risposta". E la risposta è articolata. Per quel che riguarda il Medio Oriente esistono due diritti che dovrebbero coesistere: "il diritto all'esistenza in sicurezza di Israele, i diritti del popolo palestinese e, tra questi diritti, quello di avere uno Stato in cui riconoscersi". "È una questione che la comunità internazionale avverte con grande preoccupazione e non da oggi. E non soltanto da quando l'assassino di tante persone inermi ad opera di Hamas ha innescato una spirale di spaventosa violenza".

Del resto, vuole precisare, "quel che penso su quanto avviene a Gaza l'ho detto pubblicamente, e non in circostanze fortuite o informali, ma in occasioni pienamente significative, come nell'intervento che ho fatto otto giorni fa all'Assemblea generale dell'Onu. O con la lettera che, l'altro ieri, ho inviato per la festa di quella repubblica, al Presidente della Repubblica di Israele, reiterando la richiesta di un immediato cessate il fuoco".

Ma la difesa dei diritti non ha confini, non è possibile circoscriverla al pur martoriato territorio di Gaza: "Questo vale in ogni direzione. Come per Gaza, come per il popolo palestinese, con migliaia di vittime, con molti orfani, con un gran numero di persone senza casa. Vale per i ragazzi e le ragazze uccise e stuprate mentre ascoltavano musica in un rave, il 7 ottobre in Israele. Vale pensando ai bambini sgozzati quel giorno". E ancora vale per il rapper iraniano condannato all'impiccagione, per Mahsa Amini e per le tante ragazze iraniane che sono state incarcerate, torturate, sovente uccise, per le ragazze cui è proibito frequentare l'università e addirittura la scuola in Afghanistan".

Insomma, "per la nostra Repubblica, tutte le violazioni dei diritti umani vanno denunciate e contrastate. Tutte, ovunque, sempre, perché la dignità umana, la rivendicazione della libertà, la condanna della sopraffazione, il rifiuto della brutale violenza non cambiano valore a seconda dei territori, a seconda dei confini tra gli Stati, a seconda delle relazioni internazionali tra parti politiche o movimenti".

Quanto al merito della richiesta dei manifestanti, il boicottaggio degli accordi con le università israeliane, Mattarella mette in guardia da un pericolo ben preciso: "Il potere, quello peggiore, desidera che le università del proprio Paese siano isolate, senza rapporti né collaborazioni con gli Atenei di altri Paesi, perché questa condizione consente al peggiore dei poteri di controllare le università, di comprimerne il livello culturale, di comprimere la cultura e di impedirne il grido e la spinta di libertà". È il dialogo che aiuta la pace, e nelle istituzioni come nelle università il dialogo deve essere a doppio senso, non a senso unico, "senza che alcuno ritenga di poter esigere di imporre valutazioni o decisioni ma nel rispetto delle altrui opinioni, perché in questo rispetto risiede la libertà".

16 MAGGIO 2024