CURRICULUM VITAE

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

 

Alain de KEGHEL, nato il 23 settembre 1940 ad Arcueil (Parigi), sposato con Dominique MIJOULE, ha quattro figli.

Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza ed Economia e Scienze Politiche di Strasburgo e presso l'Università di Heidelberg (Germania), poi ha condotto una lunga carriera diplomatica dal 1968 al 2015 nelle Ambasciate di Germania, Stati Uniti d'America, Paesi Bassi, America Latina, Senegal, Giappone, dopo aver prestato servizio nei Consolati Generali tra cui Washington, DC, Stoccarda e Anversa. Ex vicedirettore dell'informazione presso il Ministero Francese degli Affari Esteri, ha anche svolto una carriera nel campo della comunicazione.  Esperto presso il comitato mass-media del Consiglio d'Europa (1978), Alta Autorità per la Comunicazione Audiovisiva (1982-86), ex Vicedirettore delegato della Radiotelevisione d'Oltremare, co-Promotore della TV satellitare in lingua francese TV5. Diplomatico in pensione dall'ottobre 2005, è stato consulente in strategie internazionali dal 2005 al 2015. Presidente della ONG “Société Européenne d'Etudes et de Recherches S.EU.RE” creata nel 2007, è membro di diverse società di studiosi in Stati Uniti, Germania, Austria e Belgio.

Percorso massonico:

Membro del Grande Oriente di Francia dal 21 gennaio 1962, nella R.L. "Les Enfants de Gergovie", Oriente di Clermont-Ferrand, ha ricoperto numerosi incarichi massonici in Francia e all'estero (in particolare M.V. della Loggia "La Fayette 89", Oriente di Washington; della Loggia "La Fraternelle francophone", Oriente di Tokyo) e ha creato numerose Logge in Giappone e negli Stati Uniti. Gran Maestro Onorario/Rifondatore dell'Obbedienza americana "George Washington Union". Membro a vita, dal 1998, della Society for Studies and Research of the Southern Jurisdiction of the REAA degli USA ed Ex Gran Commendatore del Supremo Consiglio del GODF (2002-2008). Ex Segretario Generale del Conseil Européen des Grands Commandeurs (2007-2017 ). Membro emerito della Giurisdizione del REAA-GODF e membro attivo di diverse società massoniche di saggi, francesi e straniere. Membro della Loggia di Ricerca Quatuor Coronati (Bayreuth). Ex Presidente dell'Areopago di Ricerca "SOURCES". Co-Fondatore della loggia di ricerca AD EUROPAM. Membro della giuria e del consiglio scientifico (Facoltà di scienze umane) dell'Università di Innsbruck, (Austria).

Pubblicazioni:

                    «Deux siècles de REAA en France» (Dir.) (2004); «La Franc-maçonnerie en Amérique du Nord» (EDIMAF 2000); «La Fayette franc-maçon» (Dir.), 2007; «Géopolitique maçonnique à travers les temps» (2009) et très nombreux articles notamment dans « La Chaine d’Union ». Direction éditoriale de la Revue européenne d’étude et de recherche «KILWINNING». Nombreuses conférences en France et à l’étranger. Dernières publications: «L’Europe des Francs-maçons en marche » Véga, Paris 2009; «La Massoneria in Europa »  (Atanor, Roma, Italia 2010) e «La Masoneria, una Perspectiva geopolitica»  (Ed. masonica.es, Madrid 2013); in francese, inglese, spagnolo, italiano e tedesco: «Le Défi maçonnique américain» (Editions DERVY février 2015). «La sfida massonica americana» edizione italiana, (ETICA Edizioni, Torino, ottobre 2016). Edizione americana: «American Freemasonry, its Revolutionary History and Challenging Future», (Inner Traditions, Rochester, VT, 2017); «L’Amérique latine et la Caraïbe des Lumières» ( Dervy Mai 2017 e edizione spagnola «La Francmasoneria en América Latina»  MASONICA.es., 2019, Madrid).  «Panorama mondial de Maçonnerie 1717-2017» (Conform, 2016, Paris).  Svariate opere parimenti pubblicate in tedesco a Leipzig (Editions Salier Verlag, Leipzig),  in spagnolo (FASCREAA, Montevideo e Madrid) e in italiano ( ETICA Edizioni, Torino). «Penser la Franc-maçonnerie au XXIe siècle» (2019) Editions Champs-Elysées-Deauville.

Decorazioni:

Cavaliere della Legion d'Onore; Ufficiale dell'Ordine Nazionale al Merito; Cavaliere delle Arti e delle Lettere; Ufficiale dell'Ordine di Orange-Nassau; Croce al merito della Repubblica federale di Germania. Medaglia operazioni AFN (Algeria 1962). Croce del combattente. Ufficiale dell'ordine Caballeros de Aguilar (Messico).

 

 

 

 

 

 

 

Europa, maglietto o scalpello per l'assoluta libertà di coscienza?

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

 

La domanda che viene sottoposta alla nostra riflessione collettiva: Europa, maglietto o scalpello per l'assoluta libertà di coscienza? rimanda alla concezione o alla percezione che noi abbiamo del ruolo, della funzione, delle potenzialità, anche degli effetti perversi dell'Europa rispetto alla libertà di coscienza e al suo esercizio.

Si tratta di un dibattito tutt'altro che banale per noi che poniamo l'assoluta libertà di coscienza al vertice della nostra Costituzione.

I due termini che catturano immediatamente la nostra attenzione sono gli effetti che ci si aspetta da strumenti quali il maglietto e lo scalpello. Intendiamo qui che, ben di là dalla loro funzione meccanica, nel senso in cui potrebbero comprenderla dei tagliatori di pietre così come i loro lontani antenati simbolisti, essi evocano due opzioni molto diverse ma verosimilmente complementari che oggi ci proponiamo di analizzare.

Iniziamo quindi considerando la possibilità del maglietto. Tutto dipende già dal significato che gli attribuiamo. Il simbolismo è però una materia in cui la lettura libera resta soggetta a infinite interpretazioni, proprio per l'assoluta libertà di coscienza che è il nostro mantra.

L'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri definisce il maglietto in base alle discipline o ai mestieri che lo utilizzano[1].

Per noi massoni il significato varia secondo gli autori. Così, per Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, nel dizionario dei simboli, il maglietto è il simbolo dell'intelligenza che agisce e persevera, che dirige il pensiero e anima la meditazione di chi, nel silenzio della propria coscienza, cerca la verità. Nell’opera Pensare la Massoneria del 21° secolo[2], due autori hanno proposto una lettura del lavoro massonico sul dubbio che ci rimanda alla libertà assoluta di pensiero: «Il lavoro principale del massone, sgrossare la pietra grezza e scoprire il Due, là dove credeva di vedere solo l'Uno. Porre la domanda con un maglietto direbbe Nietzsche» ... «poi, partendo dai pezzetti lasciati dal maglietto, arriva il momento della ricostruzione»... «ogni cosa trovata, ogni ricomposizione presenta un nuovo aspetto, un'altra dimensione fino allora insospettata». «La ricerca del Due non può accontentarsi del soffice cuscino del dubbio, come dirà Montaigne".  Il nostro compianto Fratello Georges Lerbet, come Edgar Morin[3], ben versato nell’arte del pensiero complesso, ci ha lasciato in eredità considerazioni dello stesso ordine. Noi chiediamo infatti al pensiero di dissipare la nebbia e l'oscurità, di portare ordine e chiarezza nella realtà, di rivelare le leggi che la governano. La parola “complessità” non può che esprimere il nostro imbarazzo, la nostra confusione, la nostra incapacità di definire in modo semplice, di nominare chiaramente, di ordinare le nostre idee. La sua definizione primaria non può fornire alcuna delucidazione: è complesso ciò che non può essere riassunto in una parola chiave, ciò che non può essere ricondotto a una legge o ridotto a un’idea semplice. La complessità è una parola che porta problemi, non una parola che porta soluzioni.

Edgar Morin, come il nostro F:. Georges Lerbet, riconosciuto epistemologo, propone un modo di pensare per affrontare la complessità del mondo che ci circonda. Ne trarremo ispirazione qui.

 

Per quanto riguarda l'uso del maglietto, la sua definizione forse meno “amabile” è la sua definizione di utensile: «Il maglietto, composto di un manico e di una testa simmetrica, si distingue dalla mazza e dal martello per il materiale di cui è composta questa testa, tradizionalmente in legno, ma anche in gomma, plastica, etc. Questa particolarità permette all'utensile che colpisce (ad esempio uno scalpello) di penetrare nel materiale lavorato (pietra, legno, etc.) senza onde d'urto dannose».

Il colpo di maglietto del magistrato avrà un senso, si può sperare, più magnanimo, e talvolta anche equo, poiché il giudice si appoggia a un codice e a regole di Diritto stabilite per pronunciare il suo verdetto. La parte del libero arbitrio è necessariamente “inquadrata”e quindi limitata.

Non è escluso, nel caso di specie, che si alluda al maglietto del Massone. Ma potrebbe anche essere quello del banditore e quindi, simbolicamente, quello nel caso dell'aggiudicazione di un grande mercato europeo... Potremmo vedervi anche un'allusione evidente o subliminale alla spietata scure che si abbatte, quando se ne fa un uso istituzionale o addirittura burocratico, per troncare e decidere la sorte di normative comunitarie o di altre disposizioni vincolanti che s’impongono a ognuno nello spazio dell'Europa dei Ventisette da Strasburgo, dal Lussemburgo da Bruxelles, da uffici la cui legittimità democratica è messa in discussione e che, a torto o a ragione, è spesso criticata per aver disatteso le libertà individuali di scelta dei cittadini.

Infatti, se l'Europa fa un uso eccessivo del maglietto, ne consegue l'imposizione brutale di decisioni perentorie. Una possibilità che noi Massoni, fondamentalmente legati all'assoluta libertà di coscienza, ovviamente non possiamo accettare, in quanto difendiamo con la massima energia questa libertà. Non ci si può assoggettare senza dibattito al dettato di nessuno, fosse anche una perizia, poiché non sarebbe discutibile o negoziabile. In linea di principio, quindi, sarà confutato e chiederemmo il dibattito contraddittorio, quello il cui principio è stato eretto a cardine universale dello Stato di diritto da Montesquieu, nella sua celebre opera precursore De l'esprit des lois, che ha ispirato la stesura della Costituzione francese del 1791. Il dibattito che agita e divide i fautori di un'Europa federale e coloro che vi si oppongono passa proprio per questo. Ci rimanda ai trattati di Maastricht e di Lisbona, e alla loro controversa applicazione, ma anche alle diverse sensibilità che devono avere, ciascuna, voce in capitolo, proprio in nome dell'assoluta libertà di coscienza. Non ne tratteremo qui, poiché ciascuna delle possibilità merita il proprio spazio di libera espressione.

Osiamo piuttosto, qui, insieme, un momento di trasgressione e riferiamoci alle parole di Orwell di fronte alla disumanità cui ci troviamo di fronte. Philippe Dagen[4] ha recentemente citato l'autore di 1984 per il quale «il rapporto tra il modo di pensare totalitario e la corruzione del linguaggio costituisce un problema importante che non è stato oggetto di sufficiente attenzione». Philippe Dagen aggiungeva: «Sarebbe facile attualizzarlo, sostituendo “totalitario”con altri aggettivi, tanto i fondamentalismi sia religiosi sia ideologici – aggiungiamo noi, a volte anche massonici – si riconoscono… dall'uso di poche figure retoriche e dal semplicismo che divide il mondo in un “noi”e in un “loro”», definitivamente divisi e separati. Segno di un'epoca, sembra, che ci rimanda alla violenza sistemica dissezionata da René Girard.

 

La nostra Obbedienza, il Grande Oriente di Francia, essendo ricca di talenti non sempre messi solo al servizio delle cause più pure, coltiva anche, al proprio interno, dobbiamo ammetterlo, un microcosmo vibrante che potrebbe alimentare l'illusione di un pianeta massonico in perpetuo ribollire e in rivoluzione contro se stesso, piuttosto che in cerca di un’evoluzione verso il progresso. Forse è questo l'omaggio da rendere alla nostra cultura dell'assoluta libertà di coscienza, il bene più prezioso se mai altro ce n'è stato. Effetto del maglietto?

Consideriamo ora lo scalpello.

Lo scalpello è lo strumento del cavatore, dello scalpellino e del muratore. Consente lo spostamento di pietre, di materiali e il loro posizionamento... Per l'iniziato lo scalpello non è un semplice strumento ma un simbolo, perché in Massoneria tutto è simbolo. È in grado di compagno che il massone scopre lo scalpello. Nel Cinquecento si parlava di «util», per «strumento», in associazione con l'aggettivo “utile”. In quanto tale, lo strumento è un prolungamento della mano. Questa interviene come agente di esecuzione dello spirito sulla materia e riveste un carattere di collegamento, di tratto di unione, tra l'uno e l'altro.

 Lo strumento permette alla mano di regolare il gesto, di migliorarlo, quindi di organizzare e padroneggiare la materia, attraverso l'intervento preventivo e nevralgico della mente. Lo spirito governa la materia, come la luce cerca di dissipare le tenebre. A partire da questa affermazione, dobbiamo quindi ammettere che lo scalpello ci aiuta a vedere più chiaramente, quindi a mettere in gioco la nostra capacità di discernimento la quale implica il libero arbitrio.

Lo scalpello segna il dominio dell'Uomo sulla cosa, l'oggetto, la macchina, attraverso le conoscenze acquisite e sempre da sviluppare...

Gli permette di sfruttare al meglio ciò che trasforma e costruisce. In una prospettiva di costruzione europea, possiamo stimare che l'uso dello scalpello dovrebbe consentirci una migliore conoscenza o comprensione dell'argomento, facendo lo sforzo di soppesare gli argomenti, i vantaggi e gli svantaggi delle scelte da compiere.

Questo è l'esercizio in cui abbiamo scelto collettivamente e massicciamente di impegnarci durante il Convento di Rouen nel 2019, dove il 91,7% dei Delegati delle logge del GODF ha votato a favore dell'inizio dei lavori di quello che è divenuto, nel corso di mesi di lavoro collettivo di oltre sessanta logge, compresa la nostra, il grande progetto obbedienziale della "Fratellanza Europea", consistente nel partecipare attivamente alla costruzione di un'Europa massonica senza frontiere.

È prematuro commentare l'esito di questo grande progetto, anche se stiamo lavorando per farlo prosperare con ardore e nel miglior modo possibile. Tuttavia esiste, e mobilita un numero e una quantità crescente di talenti fraterni che, senza essere presuntuosi, ci permette oggi di dire che è promettente. In questo senso possiamo affermare che fino ad ora abbiamo saputo fare buon uso dei nostri strumenti, il maglietto e lo scalpello. Possa questo lavoro massonico contribuire, con tutti quelli che operano in varie altre configurazioni massoniche, ad affermare l'assoluta libertà di coscienza nel nostro vasto spazio dell'Unione Europea sfidato come mai, dal 24 febbraio 2022, dall'offensiva contro l'Ucraina.

Ho detto.

 

R :.Loge "Les Enfants de Gergovie" Or.di Clermont-Ferrand,

18 aprile 2022

Prolusione in occasione del Giubileo del 60° anniversario dell'iniziazione del F:. Alain de KEGHEL

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] arti meccaniche, fontaniere, architettura, artificiere, gioielliere, falegname, sellaio, cartiere, cinturaio, carraio, lavoratore dellardesia, lattoniere, pellicciaio, idraulico, incisori, bottaio, cristalleria, stemma. In chirurgia viene utilizzato un martello di piombo e in marina un martello per calafataggio. Inoltre, il martello è un termine specifico dei mulini ad acqua che servono per la fabbricazione della carta.

[2] Penser la FM du 21 siècle, Alain de Keghel et Philippe Liénard, Editions ECE-D, Paris 2020 p.130 et 131

 

[3] Introduction à la pensée complexe, Poche, Paris 2014, Edgar Morin

[4] Philippe DAGEN, Université Paris 1 Panthéon -Sorbonne; Professeur des universités. Histoire et civilisations: histoire des mondes modernes, histoire du monde contemporain.

 

 

MANIFESTO RUSSELL - EINSTEIN - 1955

 

Nella tragica situazione cui l’umanità si trova di fronte noi riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi in conferenza per accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del progetto annesso. Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella Nazione, Continente o Fede, ma come esseri umani, membri della razza umana, la continuazione dell’esistenza della quale è ora in pericolo.
Il mondo è pieno di conflitti e, sopra tutti, i conflitti minori, c’è la lotta titanica tra il comunismo e l’anticomunismo. Quasi ognuno che abbia una coscienza politica ha preso fermamente posizione in una o più di tali questioni, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia importante e della quale nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello a un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono in pericolo e se questo pericolo è compreso, vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più altri passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: “Quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?”. L’opinione pubblica e anche molte persone in posizione autorevole non si sono rese conto di quali sarebbero le conseguenze di una guerra con armi nucleari. L’opinione pubblica ancora pensa in termini di distruzione di città. Si sa che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie e che mentre una bomba atomica ha potuto distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere le città più grandi come Londra, New York e Mosca. È fuori di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno le grandi città sarebbero distrutte; ma questo è solo uno dei minori disastri cui si andrebbe incontro.
Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse sterminata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi dal colpo; ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la distruzione su un’area molto più ampia di quanto non si supponesse. È stato dichiarato da fonte molto autorevole che ora è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima.
Una bomba all’idrogeno che esploda vicino al suolo o sott’acqua invia particelle radioattive negli strati superiori dell’aria. Queste particelle si abbassano gradatamente e raggiungono la superficie della terra sotto forma di una polvere o pioggia mortale. Nessuno sa quale ampiezza di diffusione possano raggiungere queste letali particelle radioattive, ma le maggiori autorità sono unanimi nel ritenere che una guerra con bombe all’idrogeno potrebbe molto probabilmente porre fine alla razza umana.
Si teme che, qualora venissero impiegate molte bombe all’idrogeno, vi sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza, mentre per la maggioranza sarebbe riservata una lenta tortura di malattie e disintegrazione.
Molti ammonimenti sono stati formulati da personalità eminenti della scienza e da autorità della strategia militare. Nessuno di essi dirà che i peggiori risultati sono certi: ciò che essi dicono è che questi risultati sono possibili e che nessuno può essere sicuro se essi non si verificheranno. Non abbiamo ancora constatato che le vedute degli esperti in materia dipendano in qualsiasi modo dalle loro opinioni politiche e dai loro pregiudizi. Esse dipendono solo, per quanto hanno rivelato le nostre ricerche, dall’estensione delle conoscenze particolari del singolo. Abbiamo riscontrato che coloro che più sanno sono i più pessimisti. Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l’umanità dovrà rinunciare alla guerra?
È arduo affrontare questa alternativa poiché è così difficile abolire la guerra. L’abolizione della guerra chiederà spiacevoli limitazioni della sovranità nazionale, ma ciò che forse più di ogni altro elemento ostacola la comprensione della situazione è che il termine “umanità” appare vago e astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il pericolo è per loro, per i loro figli e i loro nipoti e non solo per una generica e vaga umanità. È difficile far sì che gli uomini si rendano conto che sono loro individualmente e i loro cari in pericolo imminente di una tragica fine.
E così sperano che forse si possa consentire che le guerre continuino purché siano vietate le armi moderne. Questa speranza è illusoria.
Per quanto possano essere raggiunti accordi in tempo di pace per non usare le bombe all’idrogeno, questi accordi non saranno più considerati vincolanti in tempo di guerra ed entrambe le parti si dedicheranno a fabbricare bombe all’idrogeno non appena scoppiata una guerra, perché se una delle parti fabbricasse le bombe e l’altra no, la parte che le ha fabbricate sarebbe inevitabilmente vittoriosa.
Sebbene un accordo per la rinuncia delle armi nucleari nel quadro di una riduzione generale degli armamenti non costituisca una soluzione definitiva, essa servirebbe ad alcuni importanti scopi.
In primo luogo, ogni accordo fra Est e Ovest è vantaggioso poiché tende a
diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, se ognuna delle parti fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso del tipo di Pearl Harbour che attualmente tiene entrambe le parti in uno stato di apprensione nervosa.
Saluteremo perciò con soddisfazione un tale accordo, anche se solo come un primo passo. La maggior parte di noi non è di sentimenti neutrali, ma come esseri umani dobbiamo ricordare che affinché le questioni fra Est e Ovest siano decise in modo da dare qualche soddisfazione a qualcuno, comunista o anticomunista, asiatico, europeo o americano, bianco o nero, tali questioni non devono essere decise con la guerra.
Desideriamo che ciò sia ben compreso sia in oriente sia in occidente. Se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo progresso in benessere, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte perché non siamo capaci di dimenticare le nostre controversie?
Noi rivolgiamo un appello come esseri umani a esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale.

RISOLUZIONE


In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono in pericolo la continuazione stessa dell’esistenza dell’umanità, noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse tra loro.

* Albert Einstein
* Bertrand Russell
* Max Born – Premio Nobel per la Fisica
* Percy W. Bridgman - Premio Nobel per la Fisica
* Leopold Infeld – Professore di Fisica teorica
* Frédéric Joliot-Curie – Premio Nobel per la Chimica
* Herman J. Muller – Premio Nobel per la Fisiologia e Medicina
* Linus Pauling – Premio Nobel per la Chimica
* Cecil F. Powell – Premio Nobel per la Fisica
* Józef Rotblat – Professore di Fisica
* Hideki Yukawa – Premio Nobel per la Fisica

 

Il Manifesto di Russell-Einstein è la dichiarazione presentata il 9 luglio 1955 (a inizio della Guerra fredda) a Londra in occasione di una campagna per il disarmo nucleare e che aveva avuto come promotori Bertrand Russell ed Albert Einstein (morto nell'aprile dello stesso anno). Nel documento – controfirmato da altri 11 scienziati e intellettuali di primo piano – Einstein e Russell invitavano gli scienziati di tutto il mondo a riunirsi per discutere sui rischi per l'umanità prodotti dall'esistenza delle armi nucleari.

Tra i redattori del Manifesto vi fu anche Józef Rotblat, che fu l'unico degli scienziati coinvolti nel progetto Manhattan ad abbandonare il lavoro a causa di contrasti di natura morale. Dopo aver appreso di Hiroshima, Rotblat affermò di essere "preoccupato sull'intero futuro dell'umanità". Rotblat diresse la conferenza stampa di presentazione del Manifesto a Caxton Hall, a Londra. Fu sua la celebre frase (citata anche quando Rotblat ritirò il Nobel per la Pace nel 1995):

 

Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto.

 

Il Manifesto invitava a tenere al più presto una conferenza internazionale, che originariamente nei progetti di  Jawaharlal Nehru doveva tenersi in India. In seguito alla Crisi di Suez, questo progetto fu abbandonato. Aristotele Onassis si offrì di finanziare un incontro a Monaco, ma la proposta fu rifiutata. Infine, Cyrus Eaton, un imprenditore canadese che conosceva Russell dal 1938, si offrì di finanziare una conferenza nella sua cittadina di Pugwash, in Nuova Scozia. La Conferenza di Pugwash per la Scienza e gli Interessi del Mondo nel 1995 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'Europa, sola di fronte al proprio destino - 13 marzo 2022

di  Jean-Dominique Giuliani

Laurea in Giurisprudenza - Laureato dell'Istituto di Studi Politici, Revisore dei conti presso l'Istituto di Studi Avanzati della Difesa Nazionale - 44a sessione

Cavaliere della Legion d'Onore, Ufficiale dell'Ordine Nazionale al Merito, Gran Croce Federale al Merito della Germania, Commendatore dell'Ordine di Gediminas (Lituania), del Servizio Nazionale della Romania, della Repubblica di Ungheria e titolare di altre decorazioni.

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

Fonte: FONDAZIONE ROBERT SCHUMANN – Parigi, Bruxelles

L'Ucraina è sola e gli Ucraini pagheranno un prezzo molto alto per questa rinuncia.

Ma ora anche l'Europa è sola.

Per paura delle conseguenze, non ha immaginato di usare la forza a scopo dissuasivo e i suoi alleati dell'Alleanza non hanno mostrato alcun desiderio di essere coinvolti in questa nuova lacerazione del continente.

Sta quindi a lei dire se accetta di vedere le sue frontiere gradualmente erose dalla forza.

Anni di rifiuto di organizzare una difesa collettiva e autonoma rischiano di trascinarla dove non vuole tornare – un conflitto armato – e dove i suoi alleati esiterebbero a seguirla. Per il momento, convinta, forse a torto, della sua relativa debolezza, essa fa affidamento su di loro, anche se sono lontani dal teatro delle operazioni e sembrano paralizzati dall'idea di una guerra più globale, dalla cui minaccia non è riuscita a dissuadere il trasgressivo aggressore russo.

L'Europa vede dunque aumentare ogni giorno il prezzo da pagare per fermare questo atto ingiustificabile. Inoltre, aumenta la probabilità che venga trascinata in un conflitto che, un giorno, potrebbe riguardarla direttamente.

Gli Europei sarebbero allora vincolati dal Trattato dell'Unione europea (articolo 42.7) alla reciproca solidarietà, in termini molto più imperativi rispetto all'articolo 5 del Trattato Atlantico: "Nel caso in cui uno Stato membro sia oggetto di un'aggressione armata sul suo territorio, gli altri Stati membri gli devono aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro potere”.

Riuscirà questo impegno a convincerli a prendere le decisioni necessarie per opporsi a chi vuole riscrivere la già tragica storia dell'Europa?

Rispetto al passato, è però solo con la loro determinazione e la loro essenziale unità, con un massiccio riarmo e un coordinamento rafforzato, con una reazione forte e tempestiva, che essi potrebbero fermare una tragedia che, altrimenti, potrebbe chiamarne altre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando gli autocrati affascinano i democratici - 07 marzo 2022

di  Jean-Dominique Giuliani

Laurea in Giurisprudenza - Laureato dell'Istituto di Studi Politici, Revisore dei conti presso l'Istituto di Studi Avanzati della Difesa Nazionale - 44a sessione

Cavaliere della Legion d'Onore, Ufficiale dell'Ordine Nazionale al Merito, Gran Croce Federale al Merito della Germania, Commendatore dell'Ordine di Gediminas (Lituania), del Servizio Nazionale della Romania, della Repubblica di Ungheria e titolare di altre decorazioni.

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

Fonte: FONDAZIONE ROBERT SCHUMANN – Parigi, Bruxelles

È sempre più sorprendente quanto gli autocrati affascinino i democratici.

Come tra le due guerre mondiali del XX secolo, un dittatore che usa menzogne ​​e violenza, nonostante il rifiuto della sua parola, trova difensori, anche promotori, all'interno di paesi di libertà.

Dopo essere stato messo in scena, pescando, cacciando, nuotando, pregando, ballando, volando, etc. per scopi di propaganda interna in seno a un Paese che ha sempre mitizzato l'immagine dello zar, Putin, sbarcato da un altro mondo, ha riportato la guerra in l'Europa e ha ricevuto il sostegno di una parte – certamente minoritaria – delle élite del continente.

Certamente stimola il sogno di alcuni di un potere forte, possibilmente maschio e dominante, seguace della forza bruta e brutale, della virilità muscolare. Quest’attrazione per l'autocrate lo rende, a torto, il protagonista del momento e l'argomento di tutte le conversazioni. Questo personaggio, tuttavia, non è uno stratega. È un opportunista di medio profilo. Come gli autocrati del secolo scorso, con un passato spesso criminale, la sua storia professionale è piuttosto segnata da fallimenti e mediocrità. I suoi rapporti con il denaro sono opachi e sospetti. Il semplicismo del suo discorso seduce le menti deboli, il suo antiamericanismo lusinga gli amareggiati dell'Occidente. Gli estremisti di tutte le convinzioni se ne compiacciono. La violenza che incarna, unita al suo passato di spia, sembra ipnotizzare gli ignoranti o commuovere alcuni cinici, che sono felici di diffondere la paura che egli desidera suscitare nell'Europa democratica.

Questo è tutt'altro che giustificato.

Sebbene la situazione sia grave, con gli Ucraini presi in ostaggio che stanno pagando un prezzo esorbitante per la loro resistenza, la verità meriterebbe più attenzione. Il suo isolamento è già una sconfitta. L'immagine del suo paese è danneggiata per lungo tempo, la sua economia ancora più a lungo. Le difficoltà del suo esercito ci ricordano che è ben lungi dall'eguagliare le forze europee. Se non possiamo ancora dire che è impantanato, è ovvio che stia affrontando un'opposizione forte e coraggiosa che gli Europei sosterranno nel tempo.

Nulla potrebbe quindi giustificare questo quasi-fascino per un personaggio di cui la cui storia condannerà sicuramente l'azione. Nel XX secolo, fu dopo l'attuazione delle loro politiche che l'obbrobrio generale cadde su dittatori che si chiamavano Stalin, Hitler, Mussolini, Mao. Nel XXI secolo ciò avviene non appena essi compaiono.

La tanica o la libertà - 20 marzo 2022

di  Jean-Dominique Giuliani

Laurea in Giurisprudenza - Laureato dell'Istituto di Studi Politici, Revisore dei conti presso l'Istituto di Studi Avanzati della Difesa Nazionale - 44a sessione

Cavaliere della Legion d'Onore, Ufficiale dell'Ordine Nazionale al Merito, Gran Croce Federale al Merito della Germania, Commendatore dell'Ordine di Gediminas (Lituania), del Servizio Nazionale della Romania, della Repubblica di Ungheria e titolare di altre decorazioni.

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari

Fonte: FONDAZIONE ROBERT SCHUMANN – Parigi, Bruxelles

Come fermare la guerra? Abbandonando l'Ucraina, ancor prima che fosse attaccata, la NATO e i suoi alleati hanno rinunciato a cercare di dissuadere Putin dall'attaccare il suo vicino. Poche truppe, anche in esercitazione, avrebbero potuto essere sufficienti...

Per le democrazie, la domanda è sempre la stessa: come contrastare i dittatori, le loro spudorate bugie, la loro paranoica ubriachezza e il loro cinismo? Ci servono sempre lo stesso cocktail che gioca sulla paura della guerra, l'ingenuità, l'innocenza, cioè l'onestà e la buona fede delle democrazie di fronte agli autocrati. Questo spesso porta al peggio, alla guerra, alla miseria, persino al genocidio e sempre alla sofferenza delle popolazioni.

Come fermarli quando minacciano l'ordine internazionale e fino a quando accetteremo di vedere i bambini ucraini soccombere sotto le bombe, le città d'Europa che crollano sotto gli obici e i diritti più elementari di un paese continentale violati?

È vero che gli Europei si sono mobilitati rapidamente e con forza. Quasi un migliaio di persone o di entità ora cadono sotto le loro sanzioni, le più severe mai assunte sino ad oggi. Ma solo la forza, la sconfitta o il timore di subirla possono far retrocedere Putin. In caso contrario, il ristabilimento di un vero equilibrio di potere può obbligarlo ad accettare vere trattative e porre fine ai combattimenti. Ma gli Europei esitano. Non sono ancora arrivati ​​a immaginare misure più forti perché esse danneggerebbero il modo di vivere dei loro cittadini.

Poiché ci rifiutiamo di utilizzare mezzi militari, la cosa più efficace sarebbe fermare qualsiasi acquisto di energia dalla Russia, il cui bilancio e le cui armi sono finanziati dalle entrate del gas e del petrolio. Gli obici che uccidono gli Ucraini vengono pagati con i proventi delle importazioni europee di petrolio e gas.

In questo caso, il prezzo della nostra libertà è il prezzo delle privazioni. E finché gli Europei non avranno il coraggio di arrivare al punto di privarsi di queste risorse, le loro grandiose dichiarazioni di sostegno all'Ucraina sono un po' sospette, comunque non abbastanza efficaci di fronte alla brutalità degli eserciti russi.

Si può capire la cautela delle autorità tedesche, italiane, ungheresi o bulgare, che le cattive scelte mercantiliste o politiche hanno reso quasi interamente dipendenti dai loro acquisti energetici in Russia. Ma qui potrebbe trovare espressione la solidarietà europea. Il rafforzamento del mercato e del commercio interno potrebbe rimediare a queste mancanze e potrebbe solo anticipare il calo del commercio internazionale in arrivo.

Allo stesso modo, è probabile che l'Unione europea si trovi di fronte alla necessità di rivedere con urgenza molte delle sue politiche, a cominciare dai suoi rapporti commerciali con terzi, e la sua politica agricola non potrà chiudere gli occhi di fronte alla prossima crisi alimentare o ai numerosi vincoli che si è imposta per essere esemplare, ad esempio, in materia di ambiente.

E, questa volta, saranno piuttosto i paesi del nord e del centro Europa ad aver bisogno della solidarietà degli altri! Un'altra buona occasione per dimostrare la solidarietà europea.