EDITORIALE - KILWINNING 14 - luglio 2022

Dopo l'offensiva contro l'Ucraina

 

L'Europa, spazio di pace duratura, anche se purtroppo non era sfuggita ai conflitti regionali nella ex- Jugoslavia, si è svegliata il 24 febbraio nelle morse di un'offensiva militare russa su larga scala contro l'Ucraina. Nonostante le crescenti tensioni dal 2014 nel Donbass e l'annessione russa della Crimea, pochi credevano alla temuta ipotesi. Lo stupore si è impadronito del mondo e l'Assemblea generale dell'Onu ha adottato una risoluzione chiedendo "che la Russia metta immediatamente fine all'uso della violenza in Ucraina". Nessuno sa, nel momento in cui scriviamo, quali saranno le ripercussioni planetarie di questo conflitto, né la sua durata né la sua estensione, tanto l’incertezza ha lasciato il posto agli equilibri sinora riconosciuti dalla comunità internazionale dalla fine della Seconda Guerra mondiale e dalla fine dell'U.R.S.S. nel 1991. "L'Europa dovrà accettare di pagare il prezzo della pace, della libertà e della democrazia" ci ha ricordato il Capo di Stato francese alla presidenza attuale dell'Unione europea. L'immediato riscontro della Commissione Europea e le decisioni vigorose che ha saputo prendere senza indugio con il sostegno unanime dei Ventisette testimoniano una presa di coscienza collettiva senza precedenti e contestualmente l'affermazione della volontà politica di dotarsi di nuove prerogative.

 

Non sta a noi qui speculare su strategie geopolitiche che ci sfuggono, ma riaffermare con vigore il nostro attaccamento alla pace e ai valori umanistici che pongono l'uomo al centro della nostra attenzione.

L'Europa, quella che corrisponde giustamente a una griglia di lettura plurale, umanista e rispettosa degli alti valori che noi sosteniamo collettivamente, purtroppo continua, per usare un eufemismo, a incontrare venti contrari. Ma mostra segni della sua capacità di potersi affermare quando sarà indispensabile ristabilire un dialogo per mantenere un equilibrio di forze. Nel giro di pochi giorni, l'UE ha dimostrato la sua capacità di superare le proprie divisioni e di unirsi su decisioni unanimi che aprono nuove prospettive, alimentando la speranza nei momenti più pericolosi per la pace nel mondo.

Questa sfida senza precedenti non può eclissare il disastro, la tragedia che abbiamo vissuto lo scorso novembre nella Manica con l'annegamento di ventisette migranti. Questo dramma senza precedenti e sconcertante ha sollevato la consapevolezza di fronte a una sfida incommensurabile posta sia dagli effetti del regolamento europeo di Dublino sia dai trattati bilaterali franco-britannici del 2003. "Il confronto tra due paesi che sono ancora in qualche modo rivali, ma molto simili nel loro passato coloniale, la loro pretesa di influenza internazionale, il loro potere economico e militare è sempre stato complesso", ha ricordato un importante quotidiano nazionale francese, osservando che la Brexit ha danneggiato in modo permanente i loro rapporti. Una “Brexit senza fine” dunque, come molti di noi temevano. Lo status quo non è più un'opzione di fronte a questa tragedia umana nel cuore o sui gradini del nostro vecchio continente, culla dell'umanesimo illuminista.

Questa osservazione da sola non può soddisfare noi, noi che proclamiamo come un mantra, come James Anderson nel 1723, la nostra vocazione consustanziale e universale a riunire coloro che altrimenti sarebbero rimasti eternamente dispersi. Non si tratta di "raccogliere tutta la miseria del mondo" per usare la formula sconvolgente di un politico di qualche anno fa sui movimenti migratori. Tuttavia, qui e ora, ci dobbiamo confrontare con le nostre coscienze e con l’imperativo categorico enunciato da Emmanuel Kant. Sta a ciascuno di noi assumere la propria parte nell'opera di risveglio e contribuire all'essenziale rinnovarsi di un interrogativo richiesto da una sfida che trova le proprie origini nei centri regionali di instabilità, nei regimi dittatoriali e nell’estremo disagio umano che ne risulta. Non si tratta solo di rispondere all'urgenza immediata di un momento politico e sociale, ma di essere all'altezza delle sfide che ci rendono eredi del passato e orfani del futuro, senza mai rassegnarci ad alcuna fatalità. L'Europa è oggi soggetta a una pressione migratoria che è solo un assaggio di quella incomparabilmente più potente che si imporrà alle generazioni future come un'esplosione quasi irresistibile, con il corollario di una più equa condivisione delle scarse ricchezze. Guardiamo certamente con grande apprensione alle sfide climatiche, ma ancora trascuriamo o sottovalutiamo gli effetti che ci si attende dalla crescita demografica esponenziale che ci metterà di fronte domani, con 9 o 10 miliardi di esseri umani, a movimenti migratori senza misura rispetto a quelli attuali. Non è costruendo muri che ci proteggeremo da questo. I ponti saranno essenziali per costruire e l'accoglienza del massiccio afflusso di profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, fortunatamente, ha già dimostrato la nostra capacità collettiva di rispondere a questa esigenza.

La Società Europea di Studi e Ricerche e il lavoro svolto dai suoi membri a livello dell'Europa dei ventisette, pur non potendo né proporre né lavorare su soluzioni che non rientrino nel suo campo, conserva tuttavia più che mai l'ambizione di riparare e lavorare per il progresso dell'umanità. Centro di riflessione o "think tank", come dicono i nostri amici anglosassoni, i nostri storici, ricercatori e collaboratori continuano a condividere un approccio esigente e rigoroso. Essi ci consegnano in questo volume N°14 della nostra raccolta annuale di opere, una nuova testimonianza della vitalità e dello slancio sempre vivo, attestante che, lungi dal capitolare di fronte all’ampiezza del compito, continuano con talento a scavare il loro solco per condividere con noi il loro lavoro, gli studi e le riflessioni feconde.

                                                                            Filippe BUSQUIN

Presidente Onorario della S.EU.RE

Membro dell'Accademia Reale del Belgio

 

Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari