Sabato sera a Tel Aviv, tra speranze e contraddizioni. Di Giuseppe Kalowski corrispondente da Tel Aviv – 18 maggio 2024

 

Tel Aviv, 18 maggio – La piazza che conduce al museo di Tel Aviv non è mai stata un punto caldo della città. Ma oggi tutti la conoscono per essere divenuta l’epicentro del movimento a sostegno delle famiglie degli ostaggi detenuti da Hamas, dal 7 ottobre scorso.

Il Forum delle famiglie è un gruppo che si è creato spontaneamente l’8 ottobre; gestisce le attività nella piazza, ribattezzata il 24 ottobre dal consiglio comunale “Piazza degli ostaggi”.

Qui ora viene gente da tutto il Paese, a volte anche dall’estero. Tra bancarelle che vendono vari articoli, i volontari guidano gruppi, scuole, visitatori, li presentano ai parenti degli ostaggi. La piazza offre uno spazio alle famiglie per condividere le loro storie, agli artisti per esporre le loro opere, è un luogo libero per ogni attività di solidarietà: pullman di persone da tutto il Paese vengono qui per incontrarci, per vedere cosa succede qui, per identificarsi con le famiglie ed è per questo che è così importante per noi. Il nostro obiettivo è essere con le famiglie, stare con loro ed essere sempre nella mente e nel cuore della gente, in ogni momento. È importante, è rassicurante, vedere persone, ricevere abbracci, sentire frasi come ‘siamo con voi, non dimentichiamo, veniamo alle manifestazioni, per sostenervi’… È molto rassicurante.

 

Questo sabato sera siamo qui, come tutti gli altri sabato sera dopo il 7 ottobre, e si respira un’aria tesa, dolente e contraddittoria. Il vento umido che soffia dal mare agita lentamente le nostre bandiere, ma i cartelli con i volti dei nostri ostaggi sono fermi e bene issati. I loro volti ci guardano, sereni e sorridenti, dai cartelloni, ma i volti delle persone che mi circondano esprimono dolore e incredulità, sconforto, e sono tesi – mentre il portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, annuncia in conferenza stampa che i militari hanno recuperato il corpo di un altro ostaggio: Ron Benjamin, ucciso il 7 ottobre, vicino a Mefalsim, e il cui corpo era stato portato in ostaggio a Gaza.

Quasi contemporaneamente, il ministro senza portafoglio Benny Gantz fissa l’8 giugno come scadenza per il piano di Gaza e minaccia di lasciare il governo se le richieste non verranno soddisfatte… e l’ufficio di Netanyau risponde un’ora dopo con un ultimatum. Gantz sostiene che si deve scegliere tra sionismo e cinismo, tra unità e divisione, tra responsabilità e negligenza, tra la vittoria e il disastro.

 

… Ma i nostri ostaggi non hanno la tranquillità necessaria per aspettare fino all’8 giugno che si decida se riportarli a casa o meno…

 

E su tutto questo l’affermazione, in merito a Gaza, di Itamar Ben Gvir,  ministro della sicurezza, e leader di destra radicale: “È morale, razionale, giusto, è la Torah ed è l’unico modo. E sì, è anche – ha aggiunto, il leader di ‘Potere ebraico’ – umanitario”, e invoca la cacciata di Benny Gantz (e di Gallant) dal gabinetto di guerra.

 

Tre settimane per cambiare strategia, alla scadenza di otto mesi dal 7 ottobre, altrimenti alla guerra si aggiungerà la crisi politica. È l’ultimatum che il centrista Benny Gantz ha dato ieri a Benjamin Netanyahu. La richiesta si articola in sei punti: restituire gli ostaggi; demolire Hamas e smilitarizzare la Striscia di Gaza; fornire un’alternativa di governo “americano-europeo-arabo-palestinese” nella Striscia, che “non sia Hamas e il presidente dell’autorità palestinese”; riportare i residenti del nord entro il 1° settembre e riabilitare il Negev occidentale; promuovere la normalizzazione con l’Arabia Saudita; creare un servizio nazionale israeliano standardizzato…

Queste mosse, che potrebbero aggravare la tensione politica ai più alti livelli di governo, ci inquietano – naturalmente – e appesantiscono gli animi, perché la nazione dovrebbe sentirsi protetta con uno spirito buono e forte e dare ai combattenti al fronte la sensazione di essere sostenuti da un destino condiviso.

 

Viviamo momenti di grande emozione quando sui maxi schermi scorrono le immagini in diretta, in collegamento, con gli interventi dell’ambasciatore austriaco, dell’ambasciatore tedesco, dell’ambasciatore inglese, dell’ambasciatore americano e di Hilary Clinton – a nome anche del Presidente Biden.

L’Ambasciatore austriaco colpisce favorevolmente per la sua totale partecipazione alla tragedia che stiamo vivendo; e ammette senza mezzi termini che l'antisemitismo si è di nuovo affacciato brutalmente in Europa e in Austria dopo il 7 ottobre.

L’Ambasciatore tedesco invece, parlando in un ebraico quasi perfetto, sostiene la necessità di un accordo e di un cessate il fuoco e l’importanza di sostenere con aiuti  umanitari la popolazione di Gaza, che non è Hamas. Per lui non ci sono alternative per liberare gli ostaggi. Ha detto che a Berlino c'è una Piazza degli Ostaggi analoga a quella di Tel Aviv

L’Ambasciatore inglese legge un messaggio di Cameron, attuale ministro degli esteri. Esprime la totale partecipazione al dolore dei parenti degli ostaggi e a voce alta rassicura il pubblico e Israele: “Non vi abbandoneremo, non vi lasceremo soli. Mai!”.

L’Ambasciatore americano ricorda che: “Dal 7 ottobre stiamo quotidianamente cercando una soluzione per il rilascio di tutti gli ostaggi. Gli USA sono con voi. Serve assolutamente qualcosa che sblocchi la situazione”.

(È chiaro l'intento non detto della necessità di un accordo e non di un'azione militare).

Hilary Clinton invia un messaggio dagli Usa, breve ma significativo: “Totale vicinanza, sono sconvolta dagli avvenimenti del 7 ottobre”. Lei e Biden chiedono il rilascio immediato di tutti gli ostaggi, ricordando che hanno più nazionalità e sono di più fedi religiose.

 

Prima della Hatikva, si esibisce per la prima volta in Israele da quando è tornata dall' Eurovision,  Eden Golan, che canta la sua canzone nella versione originaria non accettata “October rain”.

Le sue parole e quelle della Hatikva ci leniscono gli animi, anche il vento si è calmato ed è scesa la notte, scura e profonda.

Dalla Redazione di Torino mi scrivono, in diretta: “Troveremo solo corpi, alla fine…”; “Esattamente…”, rispondo.

Poi ci dispiace di esserci scritti queste parole: “Fintanto che nell'intimo del cuore freme l'anima ebraica e l'occhio guarda a Sion, là nell'oriente lontano, non è ancora perduta la nostra speranza, due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme” – così recita la Hatikva. Ma, per questa notte, ci permettiamo il lusso di essere politicamente scorretti. Domani, ricominceremo a sperare.