Ariel Toaff, IL RINNEGATO.

A LIVORNO, martedì 31 maggio 2022, ore 18:30.

Caffè letterario "Le Cicale Operose", Corso Amedeo 101 (LI).

E prossimamente tradotto e pubblicato in lingua inglese, con il titolo THE OUTCAST, da CPL Press - New York - Centro Primo Levi.

 

 

IL RINNEGATO di Ariel Toaff - LA SCANDALOSA VITA DI UN KABBALISTA DEL XIX SECOLO

 

Ariel Toaff è un Rabbino e uno storico. Nato ad Ancona, figlio di Elio Toaff, già Rabbino capo di Roma, vive a Tel Aviv, dove è professore emerito all'Università Bar-Ilan. È noto principalmente per il suo controverso libro Pasque di Sangue, in cui indaga il tema del sacrificio umano anticristiano all'interno del giudaismo askenazita medievale, l’infame “accusa del sangue”. Pubblicato in Italia nel 2007, Pasque di Sangue è stato presto ritirato dall'autore a causa delle aspre polemiche seguite alla sua pubblicazione. Fu però ripubblicato l'anno successivo, con l'aggiunta di alcuni chiarimenti sulla sua ricerca storiografica e il tentativo dell’autore di spiegare le incomprensioni iniziali del suo lavoro.

 

Alessandro Cassin è il direttore della rivista online del Centro Primo Levi Printed Matter e CPL Editions – New York, che ha pubblicato oltre 15 libri dal suo debutto nel 2014. Proveniente da una tradizione editoriale — suo padre ha pubblicato la prima edizione di If This Is A Man in inglese — Cassin inizia a lavorare nel teatro sperimentale e vince il Premio Ruggero Rimini 1989 per Il Presidente Schreber. È stato giornalista culturale per testate tra cui L'Espresso e Diario. È collaboratore di The Brooklyn Rail. Il suo libro Whispers: Ulay on Ulay, di cui è co-autore con Maria Rus Bojan, ha ricevuto l'AICA Netherlands Award 2015. Ha coordinato la pubblicazione di The Art of Conduction di Laurence Butch Morris, a cura di Daniela Veronesi (Karma, 2017). È autore di The Scandal of the Imagination, film sulla vita e l'opera di Aldo Braibanti (2021.) Durante la pandemia ha scritto A Fiesole, bambino.

 

Una mattina di novembre del 1840, un ragazzo scopre il corpo di David Ajash, un Rabbino cabalista italiano di origine algerina, sotto un ulivo, alla periferia di Nablus. Omicidio o suicidio? Il dubbio rimane, anche alla fine de Il Rinnegato (Neri Pozza, Milano, 2021), l'accattivante esordio letterario, sotto forma di romanzo storico misterioso e meticolosamente documentato, di Ariel Toaff.

L'artificio letterario adottato è quello del figlio del Rabbino che s’immerge nella lettura del diario-testamento del padre, da cui è separato da tempo, ripercorrendo avventure e disgrazie consumate tra intrighi religiosi, potenti amuleti, massoneria, conversioni e tentativi di omicidio. Dalla Palestina ottomana, la storia di Ajash conduce il lettore alla Livorno dell'inizio del XIX secolo, un vitale centro ebraico che collegava il Nord Africa, l'Europa occidentale e la Palestina tramite l'editoria e il dibattito intellettuale.

Più che una biografia romanzata, Il Rinnegato fonde senza soluzione di continuità una ricchezza di domande e d’ipotesi storiche nel tessuto di un'opera di narrativa letteraria, ritraendo con vivide pennellate la Nazione Ebraica di Livorno nella sbalorditiva vitalità dei suoi giorni più belli.

Mentre la vita dissoluta del Rabbino libertino si svolge sullo sfondo di un mondo in rapido cambiamento, siamo proiettati nella piccola Comunità sefardita di Livorno, immergendoci in complessi dibattiti cabalistici, ortodossia religiosa, editoria ebraica, ma anche cibi, odori, bordelli e alleanze mutevoli.

Il Rabbino Ajash non crede né nel Giudaismo né nel Cristianesimo, ma solo nella Kabbalah: la sua bussola per orientarsi in una sconcertante realtà interiore ed esteriore. Ajash si comporta come se fosse convinto che si debba precipitare sino in fondo alla perdizione per accedere, solo allora, alle più alte sfere della conoscenza. Mentre lo si legge in maniera avvincente, Il Rinnegato guida il lettore oltre la trama per scoprire, su più livelli, le affascinanti complessità della vita ebraica dell'Ottocento sulle diverse sponde del Mediterraneo.

 

Il romanzo descrive l'esistenza umana come un insieme non lineare, costruito su colpi di scena inaspettati, vicoli ciechi, nuovi inizi e re-invenzioni. Quando tutto il resto fallisce, anche rinunciare al proprio nome e assumerne uno nuovo può essere un modo per deviare e scongiurare il destino. I cabalisti attorno al padre morente di David Ajash gli conferiscono un nuovo nome per dargli più vita; David stesso assume nuove identità, prima quando si converte al Cristianesimo e poi quando torna al Giudaismo. In definitiva, questa narrazione altamente coinvolgente pone molte domande importanti ed opportune, senza tentare risposte definitive, e conducendoci a un finale “aperto”.

 

Alessandro Cassin: Scrivere il tuo primo romanzo alla fine dei settant’anni mi sembra un segno di grande vitalità ed equilibrio. Che cosa ha spinto uno studioso e uno storico come te a evocare il mondo che ruotava attorno a un controverso Rabbino cabalista del diciannovesimo secolo attraverso un romanzo, piuttosto che dedicarti a scriverne un saggio?

Ariel Toaff: Penso che quando scriviamo un saggio siamo limitati dalla documentazione scritta. La ricerca storica può fornire lo sfondo della vita ebraica in una città multietnica, con una storia singolare come Livorno, ma non può aggiungere molto su questo specifico Rabbino cabalista. Il romanzo va oltre questi limiti e cerca di colmare le lacune della documentazione, affrontando nel regno dell'immaginazione le contraddizioni, le perplessità, i dubbi e il mondo interiore di questo Rabbino. In questo senso, possiamo forse avvicinarci a una comprensione della realtà probabile, o almeno possibile, di questo individuo.

A.C. Come te, il tuo protagonista, il Rabbino David Ajash, ha trascorso la sua vita tra l'Italia e il Medio Oriente. Nonostante sia nato alla fine del 1700, il Rabbino Ajash è un contemporaneo: un uomo irrequieto, contraddittorio, anticonformista, che si reinventa continuamente. Quanto sappiamo di David Ajash e quanto il tuo romanzo si prende delle libertà poetiche con la sua storia?

A.T. In una relazione dei massari (il governo) della Comunità Ebraica di Livorno del 17 maggio 1833 si legge che “David Ajash ha comportamenti condannabili per l'inosservanza dei precetti religiosi e per la scandalosa oscenità dei suoi costumi: è devoto alle donne e al più sporco dei vizi. È accusato di appropriazione indebita di denaro destinato a istituzioni e a comunità religiose della Terra Santa. È indegno di essere padre poiché ha abbandonato, per molti anni, moglie e figli. In breve, ha abbandonato la sua religione originaria per evitare gli impegni familiari e soddisfare più facilmente i suoi desideri lussuriosi”. Una settimana dopo, David Ajash chiese di essere battezzato, e la sua richiesta fu accolta con la raccomandazione che il suo catecumenato si tenesse a Pisa. Questo è ciò che si trova nei documenti scritti, ma non sappiamo fino a che punto tutto ciò sia stato colorato da giudizi tendenziosi e ostili sull'uomo. Nell'Archivio della Comunità Ebraica di Livorno esiste un corposo dossier riguardante David Ajash (Serie Minute 1833-34, folder. 18). Per molti anni, va notato che il suo rapporto con la Nazione Ebraica (Comunità) di Livorno si è rivelato non difficile o controverso ma amichevole e cordiale. Ne è prova una copia del suo commento cabalistico all'Haggadah di Pesach, intitolato Kol David, ‘La voce di David’ (Livorno, Molco e Sadun, 1825), in mio possesso, con dedica in caratteri ebraici dorati sulla copertina di colore verde di pelle marocchina. Il destinatario è uno degli anziani della Nazione Ebraica di Livorno, Moise di Salomone Coen Bacri.

A.C. Rabbino, figlio di un Rabbino e, infine, padre di un Rabbino – con il suo istinto, le contingenze della vita, la voglia di avventura, Ajash fa l'inimmaginabile per un uomo della sua tradizione: si converte al Cattolicesimo, dopo essersi scontrato con la leadership ebraica dell’epoca. Successivamente torna sui suoi passi e riabbraccia l'Ebraismo. Questo andirivieni tra le religioni avviene sullo sfondo di un mondo ebraico in rapido mutamento che temeva, dopo l'emancipazione, le insidie pericolose dell'assimilazione nel Cristianesimo. Cosa ti ha attirato di questa figura controversa che finì per essere considerata “un rinnegato” sia dagli Ebrei sia dai Cattolici?

A.T. David Ajash esprime la sua intenzione di divenire cristiano e, infatti, si converte a Pisa. Ma non fa questo passo serio con convinzione e a cuor leggero. Vuole chiaramente vendicarsi della Comunità Ebraica che l’ha bandito, emarginato e considerato un eretico. In fondo, David è un uomo che manca di fede in Dio e negli uomini che pretendono di rappresentarLo. Non crede nella religione, in nessuna religione in quanto tale. Pertanto, non ha problemi ad alternare Ebraismo e Cristianesimo, tornando, disincantato, all'Ebraismo alla fine dei suoi giorni. Il fatto che sia considerato un traditore e un rinnegato sia dagli Ebrei sia dai Cristiani non lo induce ad adattarsi e ad aderire alla legge del più forte, ma, anzi, rafforza il suo scetticismo e il suo disprezzo per i leader ebrei e cristiani. La sua libertà di pensiero e di scelta è assoluta e non soggetta a calcoli. È la strada che ha scelto e che, nonostante le contraddizioni e i passi falsi, non abbandona mai, a qualunque costo. E che gli costerà la vita.

A.C. Il romanzo segue gli eventi avventurosi e talvolta picareschi del protagonista, che conduce incautamente un'esistenza dissoluta di libertà illimitate, con un comportamento libertino e pochi scrupoli morali. Eppure, tra pericoli costanti, insidie, violente opposizioni e risultati imprevedibili, il cammino da lui scelto non riesce a fornirgli l'appagamento che cercava. Allora, perché, nonostante tutta la sua audacia, gli è negata la pienezza della felicità?

A.T. David non è mai appagato né soddisfatto di se stesso. È costantemente alla ricerca di nuove emozioni, eventi inaspettati e avventure, spesso pericolose e con poche prospettive. Si aggrappa ai talismani e agli amuleti della Kabbalah come unica ancora di salvezza in una tempesta di eventi che non riesce a controllare, schivando gli ostacoli che lo minacciano, spesso creati da lui stesso. Improvvisi pericoli lo attendono dietro l'angolo. Nel migliore dei casi, le sue scelte gli portano una gioia momentanea; e lui ne è pienamente consapevole. Eppure continua a cercare risposte, pur sapendo che non ne troverà. Sa che una morte improvvisa e violenta lo attende alla fine del suo viaggio accidentato, ma non fa nulla per evitarla o ritardarla. È il destino di quell’uomo senza pace che ammette di essere.

A.C. Il Rinnegato è forse il primo thriller storico ambientato nel mondo ebraico italiano. Opera su più livelli: può essere letto come un thriller avvincente, una finestra sul frammentato mondo dell'Ebraismo sefardita del diciannovesimo secolo e, in una certa misura, come una riflessione autobiografica. Non mi soffermerò sulla complessità della trama, per non rivelare troppo ai lettori. Suggerisco, invece, di concentrarci su alcuni dei tanti temi sottesi: la dinamicità geografica all'interno di quel mondo — Algeria, Livorno, Ferrara, Salonicco, Gerusalemme, Nablus; lo sconvolgimento religioso e l'impatto dei movimenti messianici da Sabbatai Zevi a Jacob Frank; la storia dell’editoria ebraica italiana e la centralità di Livorno; il rapporto tra Massoneria ed Ebraismo, solo per citarne alcuni.

Forse possiamo partire dai movimenti tra mondi diversi, non solo dal punto di vista geografico ma anche ideologico, politico e religioso, che mi sembra sia il filo conduttore del romanzo. Il padre del protagonista, un cabalista di origine algerina, si era scontrato con gli Ebrei filo giacobini di Ferrara, era divenuto Rabbino a Siena, e in seguito aveva dissentito dalla rigida ortodossia della Nazione Ebraica di Livorno. Seguendo suo padre, David Ajash impara a muoversi in mondi diversi con disincanto ed ironia...

A.T. David Ajash vive in un mondo in rapida evoluzione. Ci spalanca una finestra sulla vita ebraica italiana e, in primo luogo, su quella di Livorno, città che ha sempre rappresentato un'eccezione. A differenza di altri centri ebraici in Italia, Livorno non ha mai avuto un ghetto. Fondata nel Rinascimento, quindi più tardi di molte altre città, essa ha una sua fisionomia originale. Livorno rappresenta un ponte tra la Terra Santa e l'Oriente, tra il Maghreb e la Penisola Iberica, tra le Comunità Ebraiche tedesche e francesi e gli Ebrei che si erano stabiliti in Italia secoli prima e che avevano storie differenti e identità particolari. A Livorno gli studi ebraici erano intrisi delle tradizioni della Kabbalah. Lo Zohar è considerato l'interpretazione più accreditata della Torah e della Bibbia in generale. Gli insegnamenti e le credenze dei Rabbini e dei saggi livornesi sono ben lontani da una visione razionalista dei precetti e dei rituali ebraici. Il “dialetto” degli ebrei livornesi, né ebraico né italiano, è un vernacolo giudeo-ispanico, ricco di italianismi, chiamato “bagito” o “bagitto”. La Comunità era formata da ondate etniche di diversa origine, Ebrei di altre parti d'Italia, Roma in particolare, del Maghreb, dei Balcani, della Spagna e del Portogallo, e del Medio Oriente. Livorno fu anche un importante centro editoriale ebraico (con macchine da stampa gestite congiuntamente da Ebrei e da Cristiani) che servì le ​​Comunità del bacino del Mediterraneo dal Seicento alla metà del Novecento, fornendo testi liturgici e rituali.

A Livorno vi furono aspri scontri e dibattiti all'interno dell'ortodossia rabbinica, radicata nelle sue istituzioni, nei tribunali religiosi e nelle commissioni di censura. I Rabbini locali erano strenui difensori della tradizione religiosa e dei costumi locali e del loro diritto esclusivo di eleggere i “massari” (governatori) incaricati di guidare la Nazione Ebraica. Gli stessi Rabbini non esitarono ad aderire alla Massoneria. Alcune delle principali logge avevano tra i loro membri numerosi Ebrei, tra cui Rabbini, principalmente di origine nordafricana, come David Ajash, e i famosi cabalisti Chaim Yosef David Azulay, noto come il Chidah, l'enigma, dalle iniziali del suo nome, e il filosofo Elia Benamozegh. Per inciso, mio ​​nonno Alfredo Sabato Toaff, Rabbino di Livorno nella prima metà del Novecento, fu un discepolo di Benamozegh.

A.C. Nell'era di internet, non è facile immaginare i rapporti, le modalità di circolazione delle idee, gli scambi tra gli Ebrei nordafricani, le Comunità Ebraiche italiane, le yeshivot in Palestina e, in lontananza, quelle più aperte del mondo ebraico francese, o la predicazione di un ebreo ottomano come Sabbatai Zevi. Di là dagli eventi del libro, puoi descrivere la natura e i modi di quegli scambi?

A.T. Gli shadarim, come erano chiamati gli inviati delle yeshivot di Terra Santa (Gerusalemme, Hebron e Safed), vennero in Italia per raccogliere fondi, preferendo le Comunità sefardite più ricche e numerose, come Livorno, Ferrara e Venezia. La cultura francese, la sua lingua e la sua letteratura attirarono e influenzarono gli intellettuali ebrei livornesi, molti dei quali erano di origine marocchina, tunisina o algerina e talvolta scrivevano le loro opere in francese. Elia Benamozegh non fu un caso isolato, come sappiamo.

A.C. Poi, come oggi, uno degli strumenti più formidabili per la circolazione delle idee è il libro. David Ajash torna in Italia per pubblicare un libro. Non si trattava di un'impresa commerciale ma di un modo per esprimere il suo specifico rapporto con l'ebraismo. Stampare un libro ebraico significava ricevere l'imprimatur, se non proprio il permesso, dal rabbinato, oltre che trovare una notevole somma per far fronte alle spese di stampa. In quegli anni gli editori/stampatori livornesi erano un collegamento fondamentale tra i vari mondi di cui parli...

A.T. Il nonno di David Ajash, Jehudah, si era trasferito da Algeri a Livorno, rimanendo in città per un paio d'anni, dall'inizio del 1756 alla fine del 1757, e pubblicando sette opere sulla Kabbalah e sul rituale. Anche il padre di David, Moisé Giacobbe, aveva curato un testo liturgico stampato a Livorno nel 1790 e ripubblicato qualche anno dopo dallo stampatore Lazzaro Sadun. A Livorno c'erano a quell’epoca cinque tipografie ebraiche, gestite congiuntamente da Ebrei e da Cristiani. Una di queste, “Tipografia Sadun e Molco” stampò Kol David di David Ajash, “la voce di David”, il commento cabalistico alla Haggadah di Pesach, che reca un ringraziamento ai generosi sostenitori del libro, gli imprenditori triestini Vita Sabato Vivanti e Clemente Minerbi.

A.C. Per pubblicare il suo libro, Ajash deve accettare di apportare rilevanti modifiche imposte dal rabbinato.

Il pretesto è che la sua descrizione/interpretazione del rituale di Pesach enfatizza aspetti che il mondo cattolico poteva interpretare come premonitori o confermanti il ​​dogma della trinità. Ajash accetta di modificare il testo ma cade in una trappola. Le critiche e i pregiudizi nei suoi confronti (unitamente all'insufficiente erudizione dei suoi censori) impediscono la lettura serena del suo libro, e quindi la sua circolazione. In questo, sono evidenti i parallelismi con gli eventi che hanno accompagnato la pubblicazione del tuo Pasque di Sangue (Passover of Blood). Un autore ebreo (Rabbino, figlio di un Rabbino) deve per forza essere vincolato dalle considerazioni che un libro sia "buono per gli Ebrei" prima di pubblicarlo? Che cosa pensi ti abbia insegnato la polemica intorno a Pasque di Sangue? Cos'altro ci suggerisce Il Rinnegato, a questo proposito?

 

A.T. Questa è una domanda insidiosa, cui non è facile rispondere. David Ajash fu costretto a modificare il suo testo, piegandosi alle pressioni, o meglio, alle imposizioni dei tre Rabbini, membri della commissione dei permessi e dei divieti, issur ve'hetter, che fungeva da vero e proprio organo di censura. Essi decidevano quali libri erano idonei alla pubblicazione, quali erano vietati e quali dovevano essere parzialmente o radicalmente modificati per essere stampati.

Voglio fare riferimento a una storia personale della quale sono stato protagonista mio malgrado e della quale porto ancora le cicatrici. È noto il linciaggio mediatico cui sono stato sottoposto in seguito alla pubblicazione di Pasque di Sangue nel febbraio 2007; pertanto non è qui il caso di riassumere. I censori erano generalmente i cosiddetti “giusti”, che in rari casi avevano letto il libro e lo avevano giudicato per sentito dire. Tuttavia, la triste vicenda ha rafforzato nella mia mente quello che credo sia il dovere di un intellettuale serio e indipendente: coerenza e fedeltà ai princìpi in cui crede, senza piegarsi alle pressioni, agli espedienti o alle facili vie d'uscita dai vincoli.

A.C. Hai scritto la storia di un uomo colto, cosmopolita, pieno d’iniziativa e di risorse interiori, eppure estremamente vulnerabile e forse psicologicamente fragile. Un uomo che sembra non credere al Giudaismo quando è Ebreo, e nemmeno al Cristianesimo quando si battezza; la sua fragilità è causata dalla sua mancanza di fede?

A.T. Come dice Don Abbondio ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, il coraggio, uno da solo non se lo può dare. Così anche gli atei convinti, come Ajash, non possono dotarsi di fede, se non applicandola come intonaco ornamentale quando sembra loro che ciò possa essere d'aiuto.

A.C. Per molto tempo, in Italia, come in molti altri paesi, gli Ebrei hanno abbracciato la Massoneria. La loggia che descrivi nel romanzo comprende (come molte in realtà) non solo Ebrei e atei, ma anche Cattolici praticanti e persino membri del clero. Uno degli argomenti a favore del fascino della Massoneria per gli Ebrei era la sua componente anticlericale. Inoltre, il suo sistema di sostegno reciproco era percepito come prezioso dagli Ebrei, il cui status all'interno della società cristiana era spesso precario. Hai altre spiegazioni per la grande adesione degli Ebrei alla Massoneria del XIX secolo, e pensi che oggi, in una certa misura, questo fascino persista ancora?

A.T. Nella mia giovinezza, a Livorno, ricordo molti massoni, anche tra i Rabbini e tra coloro che frequentavano regolarmente le funzioni in via Micali. Leggendo gli epitaffi sulle lapidi del cimitero dei Lupi, il Cimitero Ebraico di Livorno, in alcuni casi troviamo espliciti riferimenti all'appartenenza del defunto alla Massoneria. L'adesione ebraica alle logge massoniche aveva le sue radici, di là da motivazioni anticlericali, nella convinzione, ampiamente condivisa, che l'Ebraismo, nella sua interpretazione cabalistica, parlasse lo stesso linguaggio della Massoneria. Condivideva con la Massoneria i suoi valori e gli ideali di umanità e di sostegno reciproco, e un sistema organizzativo simile. Essere massone non era in contrasto con la fede ebraica, ma la confermava, aggiornandola e rendendola più pregnante. Oggi ho la netta impressione che la Massoneria appartenga al passato, per gli Ebrei in particolare.

A.C. C'è molto sul rapporto padre/figlio nel romanzo e sulla forza e difficoltà di comunicazione tra generazioni. Da ragazzo, con un gesto protettivo nei confronti del padre Moisé, David provoca la morte violenta di un prete massone che lo aveva minacciato. Il figlio maggiore di David, che si chiama anche lui Moisé, accetterà il compito di riportare il padre battezzato all'Ebraismo, ma non potrà mai capirlo o perdonarlo. Potresti approfondire la visione del romanzo sulla complessità del rapporto tra padre e figlio?

A.T. Oltre che porre in luce il rapporto tra padre e figlio, io direi che il romanzo intende sottolineare i legami, sia manifesti sia sottesi, all'interno della famiglia.

Di là dalle sue tensioni e dai suoi inevitabili contrasti, la famiglia è vista come un'unica entità, comprese le generazioni passate, che influenza il presente e aiuta a comprenderlo nei suoi vari aspetti. Di conseguenza, esistono una responsabilità reciproca all'interno della famiglia e un senso di appartenenza che ne caratterizzano l’aspetto, anche nei momenti più difficili e problematici. Così, gli Ajash sono sempre consapevoli dei legami indistruttibili che uniscono tutti loro: Moisé, suo padre David, e i loro antenati, giunti a Livorno dall'Algeria.

 

A.C. In mare, tra Salonicco e la Palestina, in mezzo a una tempesta, quando il naufragio sembra inevitabile, il reprobo David Ajash estrae un potente amuleto massonico e calma i venti e le onde. L'episodio ricorda la storia di Giona, forse il profeta più anticonformista della Torah e del Corano. Talismani, amuleti, simboli massonici, pensiero magico. Con l'avvento della scienza e dell'Illuminismo, tutto questo fu messo da parte sia dagli Ebrei sia dalla società occidentale. Eppure, parte di questo ha lasciato un vuoto che difficilmente riusciamo a colmare. Vuoi commentare?

A.T. L'uso del pensiero magico, dei talismani e degli amuleti portafortuna sembra essere stato accantonato dagli Ebrei nel mondo occidentale. Ma non è così semplice come sembra, o almeno non è sempre così. Nella mia casa di Tel Aviv, come prima a Roma, tre amuleti cabalistici in ebraico sono appesi al muro, e appartenevano a mio padre e un tempo a mio nonno. Uno, in particolare, lo porto sempre con me in tutti i miei viaggi. Non so se mi protegge, ma amo credere che lo faccia.

 

[Traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari, 6 maggio 2022]

 

Alessandro Cassin (New York) the director of Centro Primo Levi’s online magazine Printed Matter and CPL Editions interviews Ariel Toaff (Tel Aviv) rabbi and a historian. Born in Ancona, the son of Elio Toaff the former chief Rabbi of Rome Elio Toaff, he lives in Tel Aviv, where he is professor emeritus at the Bar-Ilan University.

 

IL RINNEGATO,  Ariel Toaff

 THE SCANDALOUS LIFE OF A 19TH CENTURY KABBALIST

 

Ariel Toaff is a rabbi and a historian. Born in Ancona, the son of Elio Toaff the former chief Rabbi of Rome Elio Toaff, he lives in Tel Aviv, where he is professor emeritus at the Bar-Ilan University. He is known mainly for the controversial Passovers of Blood, where he investigates the theme of anti-Christian human sacrifice within medieval Ashkenazi Judaism, the infamous “blood libel.” Published in Italy in 2007 Passovers of Blood was soon withdrawn by the author due to the fierce controversies that followed its publication. However, it was republished the following year with the addition of some clarifications on his historiographical research and the authors’ attempt to explain the initial misunderstandings of his work.

 

Alessandro Cassin is the director of Centro Primo Levi’s online magazine Printed Matter and CPL Editions which published over 15 books since its debut in 2014. Coming from a tradition of publishing —his father published the first edition of If This Is A Man in English—Cassin began working in experimental theater and was awarded the Premio Ruggero Rimini 1989 for Il Presidente Schreber. He has been a cultural reporter for publications including L’Espresso and Diario. He is a contributor of The Brooklyn Rail. His book Whispers: Ulay on Ulay co-authored with Maria Rus Bojan received the 2015 AICA Netherlands Award. He coordinated the publication of Laurence Butch Morris’ The Art of Conduction edited by Daniela Veronesi (Karma, 2017). He is the author of The Scandal of the Imagination a film about  the life and work of Aldo Braibanti ( 2021.) During the pandemic he wrote A Fiesole, bambino.

On a November morning in 1840, a young boy discovers the body of David Ajash, an Italian kabbalist rabbi of Algerian origin, under an olive tree, in the outskirts of Nablus. Homicide or suicide? The doubt remains, past the end of Il Rinnegato (Neri Pozza, Milano, 2021) (The renegade), the captivating literary debut in the form of a meticulously documented historical-mystery novel by Ariel Toaff.

The literary device is the son of the Rabbi immersing himself in his estranged father’s diary-testament, retracing adventures, and misfortunes consumed amidst religious intrigues, powerful amulets, Freemasonry, conversions, and murder attempts. From Ottoman Palestine, Ajash’s story transports the reader to early 19th Century Livorno, a vital Jewish center connecting North Africa, Western Europe, and Palestine through publishing and intellectual debate. 

More than a fictionalized biography, Il Rinnegato seamlessly merges a wealth of historical questions and hypotheses into the fabric of a work of literary fiction. All of this while portraying in vivid brushstrokes The Jewish Nation of Livorno in the staggering vitality of its hay day. 

As the dissolute life of the libertine rabbi unfolds against a background of a rapidly changing world. We are propelled into the small Sephardic Community Livorno, navigating complex cabalistic debates, religious orthodoxy, Hebrew printing, as well as foods, smells, brothels, and shifting alliances.

Rabbi Ajash neither believes in Judaism or Christianity, only in Kabbalah: his compass for understanding a bewildering inner and outer reality. 
Ajash behaves as if he were convinced that one must plunge to the bottom of perdition only then to access the highest spheres of knowledge. While reading like a page-turner, Il Rinnegato drives the reader beyond the plot to discover — on multiple levels— the fascinating complexities of 19th Century Jewish life on the different shores of the Mediterranean.

The novel depicts human existence as nonlinear but built upon unexpected twists, dead ends, new beginnings, and re-invention. When all else fails, giving up one’s name and assuming a new one can be a way to divert avert destiny. The kabbalists around David Ajash’s dying father bestow him a new name to give him more life; David himself assumes new identities first when he converts to Christianity and later when he returns to Judaism. Ultimately, this highly engaging narrative poses many important and timely questions without attempting definitive answers, leading us to the open ending.

Alessandro Cassin: Writing your first novel in your late seventies seems to me a sign of great vitality and aplomb. What prompted a scholar and historian like yourself to evoke the world around a controversial nineteenth-century cabalist rabbi through a novel rather than an essay?

Ariel Toaff: I think that when writing an essay we are limited by written documentation. Historical research can provide background on Jewish life in a multi-ethnic city with a singular history like Livorno but not much on this specific cabalist rabbi. The novel goes beyond these limits and tries to fill the gaps in the documentation, addressing in the realm of the imagination the contradictions, perplexities, doubts, and the inner world of this Rabbi. In this sense, we can perhaps approach an understanding of this individual’s probable, or at least possible, reality.

A.C. Like you, your protagonist, Rabbi David Ajash, spent his life between Italy and the Middle East. Although born in the late 1700s, Rabbi Ajash is a contemporary: a restless, contradictory, nonconformist man who continually reinvents himself. How much do we know about David Ajash, and how much does your novel take poetic liberties with his story? 

A.T. In a report by the massari (the governance) of the Jewish Community of Livorno on May 17, 1833, we read that “David Ajash has condemnable conduct for the non-observance of religious precepts and the scandalous obscenity of his customs: he is devoted to women and to the filthiest of vices. He is accused of the embezzlement of money destined to religious institutions and communities of the Holy Land. He is unworthy to be a father as he has abandoned, for many years, his wife and children. In short, he has abandoned his native religion to avoid family care and more easily satisfy his lustful desires.” A week later, David Ajash asked to be baptized, and his request was accepted with the recommendation that his catechumenate be held in Pisa. This is what one finds in the written records, but we do not know to what extent this is colored by tendentious and hostile judgment on the man. In the Archive of the Jewish Community of Livorno, there is a substantial file concerning David Ajash (Serie Minute 1833-34, folder. 18). For many years, it should be noted that his relationship with the Jewish Nation (Community) of Livorno turned out not to be problematic or controversial but friendly and cordial. Proof of this is a copy of his kabbalistic commentary on the Haggadah of Pesach, entitled Kol David, “The voice of David” (Livorno, Molco and Sadun, 1825) in my possession with a dedication in golden Hebrew characters on the cover of green Moroccan leather. The recipient is one of the Jewish Nation of Livorno elders, Moise di Salomone Coen Bacri.

A.C. A rabbi, son of a rabbi and, later, father of a rabbi –his instinct, the contingencies of life, a desire for adventure Ajash does the unimaginable for a man of his tradition: he converts to Catholicism, after clashing with the Jewish leadership. Later he retraces his steps and re-embraces Judaism. This to and fro between religions occurs against the backdrop of a rapidly changing Jewish world that feared, after emancipation, the treacherous dangers of assimilation into Christianity. What drew you to this controversial figure who ended up being considered “a renegade” by both Jews and Catholics? 

A.T. David Ajash expresses his intention to become a Christian and, in fact, converts in Pisa. But he does not take this serious step with conviction and a light heart. He clearly wants to take revenge on the Jewish Community that banned him, marginalized him, and considered him a heretic. At heart, David is a man who lacks faith in God and in the men who claim to represent Him. He has no faith in religion, in any religion as such. Therefore, he has no problem alternating between Judaism and Christianity, returning, disenchanted, to Judaism at the end of his days. The fact that he is considered a traitor and a renegade both by Jews and Christians does not induce him to adapt and adhere to the law of the strongest but rather strengthens his skepticism and contempt for Jewish and Christian leaders. His freedom of thought and choice is absolute and not subject to calculations. It is the path he has chosen, and, despite contradictions and missteps, he never abandons, whatever the cost. And it will cost him his life.

A.C. The novel follows the protagonist’s adventurous and sometimes picaresque events, as he recklessly leads a dissolute existence of unbound freedoms, libertine demeanor, and few moral qualms. Yet, among constant dangers, pitfalls, violent opposition, and unpredictable outcomes, his chosen path fails to deliver the fulfillment he was seeking. So why, despite all his daring, is he denied the fullness of happiness? 

A.T. David is never fulfilled nor satisfied with himself. He is constantly searching for new emotions, unexpected events, and adventures, which are often dangerous and with little prospect. He clings to the talismans and amulets of the Kabbalah as the only lifeline in a storm of events that he cannot control, dodging obstacles that threaten him, often set in motion by himself. Sudden perils await him around the corner. In the best cases, his choices lead to a momentary joy; he is fully aware of this. Yet, he continues to search for answers, knowing he won’t be able to find them. He knows that a sudden and violent death awaits him at the end of his bumpy journey, but he does nothing to avoid or delay it. It is the fate of a man without peace, which he admits to being. 

A.C. Il Rinnegato is perhaps the first historical thriller set in the Italian Jewish world. It operates on many different levels: it can be read as a compelling thriller, a window into the fragmented world of nineteenth-century Sephardic Judaism, and to some extent as an autobiographical reflection. I will not dwell on the intricacies of the plot so as not to reveal too much to future readers. I suggest, instead, that we focus on some of the many underlying themes: the geographical mobility within that world— Algeria, Livorno, Ferrara, Thessaloniki, Jerusalem, Nablus—; the religious upheaval and the impact of messianic movements from Sabbatai Zevi to Jacob Frank; the history of the Italian Jewish book and the centrality of Livorno; the relationship between Freemasonry and Judaism, to name but a few. 

Perhaps we can begin from the movements between different worlds, not only geographic but also ideological, political, and religious, which seems to me a through-line of the novel. The father of the protagonist, a kabbalist of Algerian origin, had clashed with the pro-Jacobin Jews of Ferrara, become a rabbi in Siena, and later dissented with the rigid orthodoxy of the Jewish Nation of Livorno. Following his father, David Ajash learns to navigate different worlds with disenchantment and irony… 

A.T. David Ajash lives in a rapidly changing world. He opens a window for us onto Italian Jewish life and, in the first place, on that of Livorno, a city that has always represented an exception. Unlike other Jewish centers in Italy, Livorno never had a ghetto. It was founded in the Renaissance, thus later than many other cities, and has its own and original physiognomy. Livorno constitutes a bridge between the Holy Land and the East, between the Maghreb and the Iberian Peninsula, between the German and French Jewish communities and the Jews who had settled in Italy centuries earlier and had different histories and particular identities. In Livorno, Jewish studies are steeped in the traditions of the Kabbalah. The Zohar is considered to be the most accredited interpretation of the Torah and the Bible in general. The teachings and beliefs of Livorno’s rabbis and sages are a far stretch from a rationalist vision of Jewish precepts and rituals. The “dialect” of the Jews of Livorno, neither Hebrew nor Italian, is a Judeo-Hispanic vernacular, full of Italianisms, called bagito or bagitto. The Community was formed by ethnic waves of different origins, Jews from other parts of Italy, Rome in particular, the Maghreb, the Balkans, Spain and Portugal, and the Middle East. Livorno was also an important Hebrew publishing center (with printing presses managed jointly by Jews and Christians) that served the communities of the Mediterranean basin from the seventeenth century to the mid-twentieth century, providing liturgical and ritualistic texts. 

In Livorno, there were fierce clashes and debates within the rabbinic orthodoxy, entrenched in its institutions, religious courts, and censorship commissions. The local rabbis were strenuous defenders of the religious tradition and local customs and their exclusive right to elect the massari (governors) entrusted with leading the Jewish Nation. The rabbis themselves did not hesitate to adhere to Freemasonry. Some of the main lodges had among their members numerous Jews, including rabbis, mainly of North African origin, such as David Ajash, and the famous kabbalists Chaim Yosef David Azulay, known as the Chidah, the enigma, from the initials of his name, and the philosopher Elia Benamozegh. Incidentally, my grandfather Alfredo Sabato Toaff, Rabbi of Livorno in the first half of the twentieth century, was a disciple of Benamozegh.

A.C. In the age of the internet, it is not easy to imagine the relationships, the modes for the circulation of ideas, the exchanges between North African Jews, the Italian Jewish Communities, the yeshivot in Palestine, and on the horizon, the more open French Jewish world, or the preaching of an Ottoman Jew like Sabbatai Zevi. Beyond the events of the book, can you describe the nature and modalities of those exchanges? 

A.T. The shadarim, as the envoys of the yeshivot of the Holy Land (Jerusalem, Hebron, and Safed) were called, came to Italy to raise funds, favoring the wealthiest and most consistent Sephardi communities, such as Livorno, Ferrara, and Venice. French culture, its language, and literature attracted and influenced the intellectual Jews of Livorno, many of whom were of Moroccan, Tunisian or Algerian origin and who sometimes wrote their works in French. Elia Benamozegh was not an isolated case, as we know.

A.C. Then as of now, one of the most formidable tools for the circulation of ideas is the book. David Ajash returns to Italy to publish a book. It was not a commercial enterprise but a way to express his specific relationship with Judaism. Printing a Hebrew book meant receiving the imprimatur, if not precisely the permission, from the rabbinate as well as finding a significant sum for the printing expenses. In those years, the publishers/printers in Livorno were a vital link between the various worlds you are talking about … 

A.T. David Ajash’s grandfather, Jehudah, had himself moved from Algiers to Livorno, remaining in the city for a couple of years, from the beginning of 1756 to the end of 1757, and publishing seven works on Kabbalah and ritual. David’s father, Moise Giacobbe, had also edited a liturgical text printed in Livorno in 1790 and re-issued a few years later by the printer Lazzaro Sadun. At that time, there were five Hebrew printing presses in Livorno, managed jointly by Jews and Christians. One of them, “Tipografia Sadun e Molco” printed David Ajash’s Kol David, “the voice of David,” the cabalistic commentary on the Pesach Haggadah, which bears an acknowledgment to generous backers of the book, the Trieste entrepreneurs Vita Sabato Vivanti and Clemente Minerbi.

A.C. In order to publish his book, Ajash must accept to make significant changes imposed by the rabbinate. The pretext is that his description/interpretation of the Pesach ritual emphasizes aspects that the Catholic world may construe as foretelling or confirming the trinity dogma. Ajash agrees to edit the text but falls into a trap. The curses and prejudices against him (together with the insufficient scholarship of the censors) prevent a serene reading of his book, and therefore of its circulation. In this, there are obvious parallels with the events that accompanied the publication of your Pasque di Sangue (Passovers of Blood). Should a Jewish author (a rabbi, son of a rabbi) be bound by considerations on whether a book is “good for the Jews” before publishing it? What do you think the controversy around Pasque di Sangue has taught you? What else does Il Rinnegato suggest to us in this regard? 

A.T. This is an insidious question, not easy to answer. David Ajash was forced to modify his text, bending to the pressures or rather to the impositions of the three rabbis, members of the commission of permits and prohibitions, issur ve’hetter, which functioned as a real censorship body. They decided which books were fit for publication, which ones were prohibited, and which needed to be partially or radically modified to be printed. 

I want to refer to a personal story in which I was the protagonist despite myself and of which I still bear the scars. The media lynching to which I was subjected following the publication of Passovers of Blood in February 2007 is well known; therefore, I do not need to summarize. The censors were generally the self-appointed “righteous people” who, in rare cases, had read the book and judged it by hearsay. Nevertheless, the sad story has reinforced in my mind what I believe is the duty of a serious and independent intellectual: consistency and faithfulness to the principles in which he believes, without bending to the pressures, expediencies, or easy ways out of the bind.

A.C. You have written a story of a cultured, cosmopolitan man, full of initiative and inner resources, yet extremely vulnerable and perhaps psychologically frail. He does not seem to believe in Judaism when he is a Jew, nor in Christianity when he gets baptized; is his frailty caused by his lack of faith? 

A.T. As Don Abbondio says in Alessandro Manzoni’s  The Bethrothed, one cannot give oneself courage. So even those who are convinced atheists, like Ajash, cannot provide themself with faith if not by applying it as an ornamental plaster when it seems to them that it may be helpful.

A.C. For a long time in Italy, as in many other countries, Jews have embraced Freemasonry. The lodge you describe in the novel includes (like many in reality) not only Jews and atheists but also practicing Catholics and even clergy members. One of the arguments for the appeal of Freemasonry to Jews was its anticlerical component. Further, its system of mutual support, perceived as precious by Jews whose status within Christian society was often precarious. Do you have other explanations for the large Jewish adherence to Freemasonry of the 19th century, and do you think that today to some extent, this appeal persists still today?

A.T. In my youth in Livorno, I remember many Masons, even among the rabbis and those who regularly attended services in Via Micali. Reading the epitaphs on tombstones at cimitero dei Lupi, the Jewish Cemetery in Livorno, in some cases, we find explicit references to the deceased’s belonging to Freemasonry. The Jewish adhesion to the Masonic lodges had its roots, aside from anticlerical motivations, in the widely shared belief that Judaism, in its kabbalistic interpretation, spoke the same language of Freemasonry. It shared with Freemasonry its values ​​and ideals of humanity and mutual support, and a similar organizational system. Being a Mason was not in contrast with the Jewish faith but confirmed it by updating it and making it more relevant. Today I have the clear impression that Freemasonry belongs to the past, for Jews in particular.

A.C. There is a lot about the father/son relationship in the novel and the strength and difficulties of communication between generations. As a boy, in a protective gesture for his father Moisè, David causes the violent death of a Freemason priest who had threatened his father. David’s eldest son, also called Moise, will accept the task of returning his baptized father to Judaism but will never be able to understand or forgive him. Could you elaborate on the novel’s take on the complexities of the father and son relationship?

A.T. In addition to illuminating the relationship between father and son, I would say the novel intends to underline the bonds, both manifest and subterranean, within the family. 
Beyond its tensions and inevitable contrasts, the family is viewed as a single entity, including the past generations, which have influenced the present and help understand it in its various aspects. As a result, there is a mutual responsibility within the family and a sense of belonging that characterize its countenance, even in the most challenging and problematic moments. Thus, the Ajashs are always aware of the indestructible bonds that unite them, all of them: Moise, his father David, and their ancestors who arrived in Livorno from Algeria.

A.C. At sea, between Thessaloniki and Palestine, amid a storm, when shipwreck seemed inevitable, the reprobate David Ajash extracts a powerful Masonic amulet and calms the winds and high waves. The episode echo’s the story of Jonah, perhaps the most unconventional prophet of the Torah and the Koran. Talismans, amulets, Masonic symbols, magical thinking. With the advent of science and the Enlightenment, all this was put aside by both Jews and Western society. And yet, some of this has left a void that we can hardly fill. Would you like to comment? 

 

A.T. The use of magical thinking, talismans, and good luck charms seem to have been shelved by Jews in the Western world. But it is not as simple as that, or at least it is not always like that. At my home in Tel Aviv, as before in Rome, there are three kabbalistic amulets in Hebrew hanging on the wall, which belonged to my father and formerly my grandfather. One, in particular, I always carry with me on all my trips. I don’t know if it protects me, but I love to believe that it does.

 

 

 

https://primolevicenter.org/printed-matter/il-rinnegato-the-scandalous-life-of-19th-century-kabbalist/?fbclid=IwAR11i7f-7jrfQtTO2GiZccBBSPn40waldxI8_5ziVcpBgZvTXRrBzZzWRGs

Thalità, kum...

 

Il Grande Inquisitore è alto e diritto, con il volto scarno e occhi incavati, da cui tuttavia si sprigiona, ancora, quasi una scintilla infuocata, un lucente bagliore.

 

Un giorno, vestito non con gli abiti da cardinale ma con il suo vecchio saio monastico, si trova a passare davanti alla cattedrale proprio mentre un uomo pronuncia parole a lui note, “Thalità kum, fanciulla alzati”, facendo tornare in vita una bambina di cui si stava celebrando il funerale.

 

Il Grande Inquisitore riconosce all’istante che quell’uomo è Yehoshu'a tornato sulla terra, e non esita a ordinare alle guardie di catturarlo e di condurlo nel carcere dell’Inquisizione.

Siamo in Spagna, a Siviglia, l’aria della sera profuma di lauri e di limoni, non è rimasta traccia dell’odore di carne bruciata del rogo del giorno prima, su cui erano stati giustiziati i nemici della fede di Roma.

 

La notte stessa il Grande Inquisitore si fa aprire la cella del prigioniero, lo fissa per due lunghi minuti con una fiaccola in mano, poi posa la fiaccola e inizia un lungo discorso, in cui può finalmente rivelare tutto ciò che negli anni si è portato dentro.

 

Il suo sapere consiste nella consapevolezza che gli esseri umani, sia a livello di singolo sia a livello di comunità, sono mossi da un eterno, angoscioso interrogativo: “dinanzi a chi inchinarci?”.

Per l’uomo, dice il Grande Inquisitore, non esiste preoccupazione più grande e più penosa che cercare al più presto qualcuno dinanzi cui inchinarsi.

E aggiunge: “La preoccupazione di queste misere creature non consiste soltanto nel trovare ciò di fronte cui io o un altro possiamo inchinarci, ma nel trovare qualcuno in cui credano tutti gli altri, che tutti venerino e, condizione imprescindibile, tutti insieme.

Questa esigenza di un culto comune è, fin dal principio dei secoli, il massimo tormento di ogni individuo, così come dell’umanità nel suo insieme.

 

Segue il rimprovero, sarcastico e insieme feroce, rivolto al prigioniero: “Questa è la verità, ma che cosa è accaduto?

Invece di impossessarti della libertà degli uomini, Tu l’hai resa ancora più grande!

Invece di impossessarti della libertà umana, l’hai moltiplicata, aggravando in eterno, con i tormenti della libertà, il regno spirituale dell’uomo”.

 

Prendendo atto della dinamica delle masse, il Grande Inquisitore si rivolge al prigioniero con il seguente cristallino pensiero: “Esistono sulla terra tre forze, le uniche tre forze capaci di vincere e soggiogare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli al fine di renderli felici – sono il miracolo, il mistero, l’autorità.

Tu hai rifiutato la prima, la seconda, la terza”.

Ti sei appellato alla libertà ed era inevitabile che finisse male: “Ignoravi che l’uomo, rifiutato il miracolo, subito dopo rifiuterà anche Dio, giacché non è tanto Dio che l’uomo cerca, quanto i miracoli”.

 

“Noi avevamo dunque il diritto di predicare il mistero e di insegnare agli uomini che non la libera decisione dei cuori né l’amore sono importanti, ma il mistero, cui devono assoggettarsi ciecamente, anche contro la propria coscienza.

Così abbiamo fatto.

Abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità”.

 

“Domani stesso io ti condannerò e ti farò bruciare sul rogo come il peggiore degli eretici”.

Alla fine del discorso, però, il Grande Inquisitore vorrebbe che l’altro gli dicesse qualcosa, fosse anche qualcosa di crudele, di tremendo.

 

Ed ecco che all’improvviso il prigioniero gli si avvicina, senza dir nulla, e, sempre in silenzio, lo bacia, sulle labbra esangui.

È questa tutta la sua risposta.

Il Grande Inquisitore sussulta.

Gli angoli delle sue labbra sono scossi da un fremito; si dirige verso la porta, la apre, e dice al prigioniero: “Vattene, e non venire più… non venire mai… mai più!”.

E lo fa uscire per le strade buie della città…

 

FËDOR DOSTOEVSKIJ, I FRATELLI KARAMAZOV, 1880.

La Leggenda del Grande Inquisitore.

 

https://youtu.be/hN3EUvyI5NE

 

 

 

Condividiamo con voi "The Letter": il testo straziante scritto da Ilse Weber a Theresiandstadt a suo figlio (che riuscì a mandare in salvo), e meravigliosamente musicato da Bente Kahan che canta anche.

A Wroclaw, in Polonia, arrangiamento di Ronen Nissan.

Musicisti della NFM Leopoldinum Chamber Orchestra guidata da Christian Danowicz.

Dedicato alla memoria di tutte le vittime dell'Olocausto.

Registrazione prodotta dalla Bente Kahan Foundation e dalla NFM Wroclaw.

 

https://soundcloud.com/ronen-nissan/the-letter?fbclid=IwAR2WftnnyqHj3QCyC2nXvNPVbbtc9NHAnXT0sVibW6WTy5FW-j8xt4OF3wM

 

Commemoriamo Viktor Ullmann attraverso la sua musica, e attraverso di lui tutte le vittime di Theresienstadt, Auschwitz e degli altri campi di concentramento. Mantenere viva la loro musica, significa mantenere viva la loro Memoria.

Primo movimento dell'ultima Sonata per pianoforte di Viktor Ullmann, composta a Theresienstadt nel 1944, pochi mesi prima di essere assassinato dai nazisti ad Auschwitz.

Il direttore Ronen Nissan ha arrangiato il lavoro per orchestra d'archi, combinando così la portata di un'orchestra con l'intimità di un pianoforte.

Esecuzione della Spirit of Europe Chamber Orchestra, Austria, nel 2008 in Israele.

 

https://www.youtube.com/watch?v=nofvCKTuqvs

Inoltre proponiamo: “Unfinished Lives”, un progetto musicale unico che riporta in vita la musica e i testi di musicisti, compositori e scrittori ebrei che, nonostante fossero perseguitati dai nazisti, continuarono a creare ed esibirsi nei ghetti e nei campi di concentramento.

Bente Kahan e Ronen Nissan hanno unito le forze per portare questo lavoro artistico al posto giusto, quello di un palcoscenico da concerto, non solo come atto di ricordo, ma anche per il suo intrinseco valore artistico.

 

“Unfinished Lives” è un progetto in corso che continua ad evolversi e svilupparsi, portando così questa importante musica ad un pubblico il più ampio possibile.

Il concerto “Unfinished Lives” nasce dalla collaborazione tra The Bente Kahan Foundation, il National Forum of Music in Wroclaw (NFM) e la città di Wroclaw, ed è legato all'omonima mostra realizzata da Bente Kahan per la White Stork Synagogue ( Fundacja Bente Kahan, Wroclaw, Polonia).

https://www.youtube.com/watch?v=ehfdJ42V1Oc 

GENESIS

 

https://www.youtube.com/watch?v=mgAi_oQtKyE  

CAINO E ABELE

 

 

CURRICULUM VITAE

 

Alain de KEGHEL, né le 23 septembre 1940 à Arcueil (Paris), marié à Dominique MIJOULE a quatre enfants.

Il a fait des études à la Faculté de Droit et de Sciences économiques et politiques de Strasbourg et à l’Université de Heidelberg (Allemagne) puis a conduit une longue carrière diplomatique du 1968 à 2015 dans d'importantes Ambassades en Allemagne, Etats-Unis d'Amérique, Pays-Bas , Amérique latine, Sénégal , Japon après avoir servi dans des Consulats généraux y compris à Washington, DC, Stuttgart et Anvers. Ancien sous-directeur de l'information au Ministère Français des Affaires Etrangères, il a conduit également une carrière de communication (Expert au comité mass-médias du Conseil de l’Europe (1978), Haute Autorité de la Communication Audiovisuelle (1982-86), ancien directeur délégué de la Radiotélévision outre-mer, co-initiateur de la TV francophone par satellite TV5). Diplomate retraité depuis octobre 2005, il a été consultant en stratégies internationales de 2005 à 2015.

Président de l’ONG «Société Européenne d’Etudes et de Recherches S.EU.RE » crée en 2007, il est membre de plusieurs société savantes aux Etats-Unis, en Allemagne, en Autriche et en Belgique.

:                  Parcours maçonnique

                    Membre du Grand Orient de France depuis le 21 janvier 1962 dans la R.L. "Les Enfants de Gergovie", Or. de Clermont Fd, a occupé de nombreuses charges maçonniques en France et à l'étranger (notamment V.M. de la Loge La Fayette 89, O. de Washington, de la Loge "La Fraternelle francophone", O. de Tokyo) et a créé plusieurs Loges au Japon et aux Etats-Unis ; Grand Maître d’honneur/Refondateur de l’obédience américaine «George Washington Union». Membre à vie, depuis 1998, de la Société d’Etudes et de Recherches de la Juridiction Sud du REAA des USA et Ancien Grand Commandeur du Suprême Conseil au GODF (2002-2008). Ancien Secrétaire général du Conseil Européen des Grands Commandeurs (2007-2017). Membre émérite de la Juridiction du REAA-GODF et membre actif de plusieurs sociétés savantes maçonniques françaises et étrangères. Membre de la Loge de recherche Quatuor Coronati (Bayreuth). Ancien président de l’Aréopage de recherche «SOURCES». Co-fondateur de la loge de recherche AD EUROPAM. Membre de jury et du conseil scientifique (Faculté des sciences humaines ) à l’université d’Innsbruck, (Autriche).

                       

                    Publications 

                    Deux siècles de REAA en France (Dir.) (2004); La Franc-maçonnerie en Amérique du Nord (EDIMAF 2000), La Fayette franc-maçon (Dir.), 2007; Géopolitique maçonnique à travers les temps (2009) et de très nombreux articles notamment dans «La Chaine d’Union». Direction éditoriale de la revue européenne d’étude et de recherche KILWINNING. Nombreuses conférences en France et à l’étranger. Dernières publications : «L’Europe des Francs-maçons en marche» Véga, Paris 2009, «La Massoneria in Europa»  (Atanor, Rome, Italie 2010) et «La Masoneria, una Perspectiva geopolitica» (Ed. masonica.es, Madrid 2013); en français, anglais, espagnol, italien et allemand: «Le Défi maçonnique américain» (Editions DERVY février 2015). «La sfida Massonica Americana» édition italienne, (ETICA Edizioni, Turin, octobre 2016). Edition américaine: «American Freemasonry, its Revolutionary History and Challenging Future», (Inner Traditions, Rochester, VT, 2017); «L’Amérique latine et la Caraïbe des Lumières» (Dervy mai 2017 et édition hispanique «La Francmasoneria en América Latina» MASONICA.es., 2019, Madrid). «Panorama mondial de Maçonnerie 1717-2017» (Conform, 2016, Paris). Plusieurs ouvrages également édités en allemand à Leipzig (Editions Salier Verlag, Leipzig), en espagnol (FASCREAA, Montevideo et Madrid) et en italien ( ETICA Edizioni, Turin). «Penser la Franc-maçonnerie au XXIe siècle» (2019) Editions Champs-Elysées-Deauville.

 

Décorations

Chevalier de la Légion d’Honneur; Officier de l’Ordre National du Mérite; Chevalier des Arts et des Lettres; Officier de l’Ordre d’Orange-Nassau; Croix du  Mérite de la République fédérale d’Allemagne. Médaille des opérations AFN (Algérie 1962). Croix du combattant. Officier de l’ordre Caballeros de Aguilar (Mexique).