Itzehoe - Ottobre 2021 - L'imputata entra in aula come una diva sbagliata. È vestita interamente di bianco, il volto scavato è nascosto dietro a un paio di occhiali scuri, indossa un basco frivolo. Una mitragliata di flash la immortala davanti a un microfono che non accenderà mai. Irmgard Furchner ha 96 anni e ne ha passati due, tra il 1943 e il 1945, in un campo di concentramento vicino a Danzica a battere meticolosamente a macchina le atrocità che i nazisti infliggevano agli ebrei. L'ex segretaria del lager di Stutthof si aggiusta l'auricolare un paio di volte e poi tace ostinatamente. Furchner era la zelante tuttofare del comandante delle SS Paul Werner Hoppe; contava gli ebrei gasati, bruciati, fucilati o torturati e trasmetteva quei numeri, quegli ordini, al quartier generale delle SS. È la grande accusata a Itzehoe, città nella regione dello Schleswig-Holstein, di uno degli ultimi processi contro i criminali della Shoah. E non mostra il minimo segno di pentimento.

A settembre, quando era scappata da casa per evitare la prima udienza, le sue gambe, appoggiate adesso su una sedia a rotelle, erano sembrate sanissime. I poliziotti l'avevano riacchiappata vicino all'aeroporto. Era fuggita a piedi e aveva dichiarato, indispettita, di non volersi  far "umiliare" da un processo che potrebbe incriminarla per complicità nell'omicidio di 11mila ebrei sterminati a Stutthof. Da allora, l'ex segretaria nazista è sempre apparsa in aula, ma con un braccialetto elettronico attaccato alla caviglia. E sempre con quell'aria da diva offesa. Parafrasando Hannah Arendt su Adolf Eichmann, più che un mostro, una buffona. E le sue apparizioni da viale del tramonto difficilmente possono far dimenticare che, quando aveva diciassette anni, Furchner divenne una delle miriadi di rotelle nell'ingranaggio dello sterminio.

Quest'udienza, però, è diversa. È carica di tensione. Poco prima delle dieci di mattina, a un metro e mezzo dall'ex segretaria nazista, il giudice invita a sedere Josef Salomonovic, nato in Cecoslovacchia ottantatré anni fa, sopravvissuto a otto lager, tra cui Auschwitz. È arrivato da Vienna "per mio fratello e mia madre" ed è il primo testimone, il primo sopravvissuto a parlare al processo. Quando passò da Stutthof, aveva sei anni. Ogni tanto sua moglie gli sussurra qualcosa, "Pepek" lo chiama. E lui sventola in aula una foto del padre, a un certo punto la alza istintivamente in direzione dell'imputata, alla sua sinistra, senza mai guardarla in faccia. Lei non reagisce. Anzi, a un certo punto Furchner si addormenta. Il giudice è costretto a fare una pausa.

Quando l'udienza riprende, Salomonovic racconta dell'assassinio di suo padre. "Era in fila con altri prigionieri quando le SS chiesero se qualcuno avesse bisogno di un medico. I prigionieri polacchi non si mossero. Mio padre fece un passo in avanti, ma un polacco gli sibilò: "È una trappola!". Mio padre gli rispose: "Un ufficiale tedesco non mente". I tedeschi lo presero, lo portarono in una stanza e gli fecero una puntura di benzene dritta nel cuore".
Josef ricorda le umiliazioni del lager. La madre spogliata e rasata: "Quando mi girai a cercarla per farmi allacciare una scarpa mi prese il panico, non la riconoscevo più in mezzo a tutte quelle donne senza capelli". Fu lei a trovarlo, si chinò ad aggiustargli il laccio. Se lo teneva spesso tra le gambe per riscaldarlo. "Ricordo la fame, ma soprattutto il freddo" mormora.

Era la prima volta che incontrava Irmgard Furchner. "È stato orribile, avrei preferito che ci separassero", confessa. Al giudice, Salomonovic ha portato il certificato di morte del padre. Quello "probabilmente timbrato da lei". Salomonovic ha dormito male, ha preso un sonnifero prima di partire, "spero che anche lei abbia dormito male". E sulla sua colpevolezza non ha dubbi: "Era seduta in ufficio, indirettamente lo è". Sulle dichiarazioni ai magistrati della segretaria nazista non è trapelato nulla. "Posso dirle solo questo", dichiara l'avvocato di Salomonovic, Christoph Rueckel, "quando Furchner ha visto che la notizia della sua fuga era su tutti i giornali, ha gongolato". Tanti sopravvissuti, invece, non se la sono sentiti neanche di tornare in Germania, sopraffatti dai ricordi.

Furchner sembra confermare l'impressione che Hannah Arendt ebbe di Eichmann: "Colpiva la sua totale incapacità di vedere le cose dal punto di vista degli altri". E la totale mancanza di ogni senso di colpa.

"Non voglio esser messa alla gogna dell'umanità" aveva dichiarato l'anziana donna pochi giorni fa. Quello in corso ad Itzehoe in Germania non è l'ultimo processo a carico di persone coinvolte con i misfatti del Terzo Reich. Un processo è in corso anche nei confronti di un uomo di cent'anni, che dal 1942 al 1945 era impiegato come guardiano delle SS nel campo di concentramento di Sachsenhausen, non lontano da Berlino. L'accusa è simile a quella nei confronti della Furchner: complicità nelle operazioni di omicidio di massa.

 

 

Il lager di Stutthof in Polonia è stato il primo realizzato al di fuori dei confini tedeschi e  l'ultimo ad essere liberato dalle forze russe nel 1945. Gli storici stimano che in questo lager siano morte 65mila persone. All'inizio del conflitto qui veniva internata soprattutto l'intellighentia polacca. Le deportazioni iniziarono dal 1942, ma  solo due anni dopo, nel 1944, nel lager le SS deportarono donne ebree da Auschwitz e dai campi di lavoro dei Baltici. Le più frequenti cause di morte furono determinate da camere a gas, fucilazioni, impiccagioni, iniezioni letali, maltrattamento e malattie. Molti detenuti furono spinti dagli uomini delle SS contro le recinzioni elettrificate.

 

 

 

 

 

 

http://www.ilfalcone.com/audio/LA%20MIN%20MONTATO%2002.mp3

Bach, concerto in la min 1041 - Adagio. Eseguito con il Cannone, violino appartenuto a N. Paganini, da F. H. Cipriani e l’Ensemble Il Falcone.

 

 

 

STRUMENTI

(MIQQETS – מקץ )

 

Yossef/Giuseppe è uomo di sogni.

All’inizio del suo complesso percorso di vita egli concentra la propria attenzione sull’espressione dei propri sogni, dove simbolicamente tutta la famiglia si inchina e si sottomette davanti a lui.

Questo comportamento egocentrico e privo di empatia causerà l’odio dei fratelli che tenteranno di liberarsene.

Più tardi però, dopo l’esperienza della violenza subìta da parte dei fratelli, poi della persecuzione ingiusta e della prigione, Yossef inizierà ad ascoltare e interpretare i sogni altrui, prima dei propri compagni di prigionia, poi del faraone.

Questa capacità, che salverà l’Egitto ma anche il suo clan, gli aprirà le porte di una vita nuova, dove egli si realizzerà ma soprattutto saprà elaborare il suo passato di sofferenza e riconciliarsi con la sua famiglia.

La maturità è anche una dimensione in cui, come Yossef, usciamo da noi stessi e sviluppiamo ascolto ed empatia per la vita interiore degli altri, accettando di essere anche strumento attraverso cui essi accedono alla loro verità interiore.

Proprio come lo Shammash, il “servitore”, la candela supplementare di Hanuccà il cui ruolo è di servire ad accendere le luci principali della festa.

In questa ultima sera di Hanuccà, un augurio per tutte e tutti noi di saper essere anche strumenti.

Strumenti di ricerca, di scoperta, strumenti di luce e di amore attraverso cui coloro che incrociano i nostri cammini possano avvicinarsi al loro centro e portare a loro volta luce nel mondo.

 

A questo link la trasmissione televisiva della Radiotelevisione Svizzera Italiana dedicata:

https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/segni-dei-tempi/Haim-Cipriani-un-rabbino-e-il-suo-violino-14804988.html?fbclid=IwAR2P7uxf3z5AM2CGejwVYikfDPaMxWMarGSsWmUgu4UHmCn235inxHGRtLg

 

ATTIVITÀ ONLINE DI ETZ HAIM, il movimento per un ebraismo senza mura, APERTO A TUTTI: 

 

Mercoledì 8 dicembre ore 21 (online) – Studio del Midrash.

 

Domenica 19 dicembre ore 21 (online) – Studio di Talmud: Trattato Moed Qatan, la piccola festa.

 

Venerdì 24 dicembre ore 16 (online) – Qabbalat Shabbat, ufficiatura di Shabbat.

 

Domenica 26 dicembre ore 21 (online) – Lezione di ebraico.

 

 

Haïm Fabrizio Cipriani

 

 

Remerciements particuliers à Alain de Keghel, qui nous a apporté ce livre, l'autobiographie de Patrick Kessel, le plus jeune Grand Maître de l'histoire du Grand Orient de France.

Les souvenirs d’un homme qui fut membre de cabinets ministériels sous présidence socialiste, qui se retrouve en prison au Mexique, échappe à l’attentat de la rue des Rosiers à Paris, qui conduit une délégation de plusieurs centaines de francs-maçons à Auschwitz avec son père rescapé de ce camp de la mort, qui à Santiago du Chili ouvre clandestinement sous Pinochet la première loge de la résistance maçonnique, suit les traces du jeune Tchang arrêté par la dictature maoïste, couvre au Portugal la Révolution des Œillets dont certains dirigeants du Mouvement des Capitaines devinrent d’éminents francs-maçons, parcourt l'Iran en quête des derniers francs-maçons pourchassés par la République islamique…

 

Ce texte, pour l’essentiel, reprend la Préface de Marianne toujours ! de Gérard Delfau, sénateur honoraire, directeur de la collection Débats laïques, Edition L’Harmattan:

Avec Marianne toujours! Patrick Kessel, journaliste et ancien Grand Maître du Grand Orient de France, nous offre un ouvrage, dont la profondeur et la richesse ne sauraient être résumées en quelques lignes. Comment qualifier son entreprise ? À première vue, ce sont des mémoires, le récit d’une vie d’une étonnante plénitude et d’une grande unicité de pensée, ou plutôt d’idéal: 50 ans d’engagement laïque et républicain, nous dit-il lui-même, dans le sous-titre. Et, de fait, les chapitres consacrés à son action en faveur de la liberté de conscience, en France, alternent avec les incessants voyages qu’il effectue de la Chine à Santiago-du-Chili, en passant par Prague, Jérusalem, Gaza, Moscou, Cotonou, Buenos Aires, entre autres, afin d’y promouvoir les idéaux de la Franc-Maçonnerie et de rencontrer des militants, tantôt persécutés, tantôt tolérés, rarement reconnus, par les gouvernements de ces pays. « Tribulations », dit-il joliment dans le texte pour suggérer, sans vouloir l’expliciter, combien nombre de ces missions comportaient des risques… Mais il raconte aussi 50 ans d’engagement en faveur d’une gauche, dont il partage les espoirs et, plus souvent, les déceptions. En raison de ses fonctions, il est généralement proche des dirigeants politiques, les conseillant ou les admonestant, sans jamais vouloir être lui-même en situation d’élu, malgré plusieurs propositions qui lui sont faites. Ainsi déroule-t-il sous nos yeux une longue histoire. Depuis « l’aventure gauchiste » durant sa jeunesse, puis « mitterrandienne », suivie de ce que j’ai appelé « la déception Jospin[1] », il nous conduit, après l’intermède Sarkozy, jusqu’à l’effacement actuel du PS et du « socialisme à visage humain », auquel il consacre quelques-unes de ses analyses. Mais qu’on ne se méprenne pas ; il ne s’agit pas d’un manifeste ni de la prise de position d’un chef de parti, mais seulement du témoignage d’un militant qui ne veut pas baisser les bras malgré l’adversité du moment. Chemin faisant, son récit nous fait revisiter des épisodes peu ou mal connus, comme la candidature de Jean-Pierre Chevènement, à la présidentielle de 2002, pour laquelle il s’engage et s’oppose à sa composante droitière notamment lorsqu’elle refuse d’appeler à voter pour Jacques Chirac, au second tour, afin d’éliminer Jean-Marie Le Pen. Et on lira, bien sûr, avec intérêt sa description, par petites touches, d’un personnage hors du commun, François Mitterrand, qu’il a accompagné depuis les années 1980. On y verra un mélange d’admiration, et même de fascination, mais aussi des prises de distance, des désaccords, et des regrets concernant la faible implication du président de la République en faveur de la laïcité, notamment lors du douloureux abandon de la loi Savary, durant le premier septennat. En revanche, on verra apparaître des noms célèbres comme celui de Manuel Valls, alors Premier Ministre, dont l’intervention puissante et émouvante à l’Assemblée Nationale au lendemain de l’attentat barbare de Charlie hebdo demeure dans les mémoires. Cette chronique d’un demi-siècle d’histoire de la gauche sera désormais indispensable à tous ceux qui voudront faire revivre une période injustement traitée par l’opinion publique.

Pourtant, l’essentiel n’est pas là. Sa démarche est d’un autre ordre : ce qui compte vraiment pour lui, c’est son engagement maçonnique. Ayant adhéré très jeune au Grand Orient, suivant l’exemple de son père, il voue sa vie à cette cause. Il veut faire connaître cette organisation, son histoire interne, la signification de l’initiation dans la pratique des loges, et le rôle discret, mais important, que joue cette institution, au sein de la République, depuis la fin du XIXe siècle et dans le prolongement des Lumières. On peut même dire que son accession à la charge de Grand Maître, en 1994-1995, sa tentative pour rénover le fonctionnement de la structure, spécialement en préconisant la possible adhésion des femmes, et la levée de boucliers qu’elle a suscitée, sont au cœur de l’ouvrage. On le sent encore meurtri, et, néanmoins, toujours aussi déterminé à soutenir l’effort de ceux qui, dans l’esprit de Fred Zeller, peintre de talent, militant politique et remarquable Grand Maître, font vivre, à tous les niveaux, le Grand Orient de France. Il y consacre de nombreuses et belles pages dans lesquelles il évoque des scènes cocasses et des personnages connus et inconnus rencontrés au cours de ses pérégrination de par le monde qui donnent une image inattendue de francs-maçons.

Son récit sera utile pour tous ceux qui accueillent des jeunes recrues dans les loges, et qui ont la charge de transmettre l’héritage. Et il stimulera la réflexion collective dans cette période de confusion et de doute. Voilà pour la dimension mémoires, ou chronique d’un maçon militant. Mais ce rappel des qualités autobiographiques du récit est loin d’en épuiser la richesse.

À vrai dire, ce qui me frappe surtout, c’est la défense passionnée du principe de Laïcité-Séparation, inscrit dans la loi de 1905 et consubstantiel à la République. L’auteur en dénonce les dérives actuelles, qui conjuguent les accommodements d’une laïcité prétendument ouverte avec les thèses décoloniales et racialistes, venues d’Outre-Atlantique. Au nom de l’égalité des droits des femmes et de la liberté de conscience, il refuse la tentation communautariste, sur fond d’identité ethnique et/ou religieuse, et les risques qu’elle fait courir à la paix civile. Et il prend fermement position contre l’islamisme politique. Cela nous vaut un récit circonstancié, depuis l’affaire du voile de Creil, en 1989, marquée par les errements d’une partie de la gauche, jusqu’aux attentats terroristes de 2015, en passant par le soutien à la Commission Stasi et au vote de la loi interdisant le port de signes ostensibles à l’école, en 2004.Avec cette affirmation, qui résume sa philosophie et éclaire le titre de l’ouvrage : « Mais les islamistes ne savent probablement pas que l’acacia, symbole des maîtres maçons, refleurit toujours. »

Il ne se borne, d’ailleurs, pas au combat d’idées. Il entend être un acteur à part entière. Dans ce but, il fonde avec d’autres personnalités, fin 1990, le Comité Laïcité République, qui occupe aujourd’hui une place éminente dans le débat public. Et il crée, en 1992, la loge République, qui demeure au premier rang de cette bataille dans l’obédience. Ces engagements, nous les avons partagés.

Enfin, au terme d’un long périple et pour prendre congé, il évoque le souvenir du chant de la Marseillaise, qui a jailli de la bouche de ses Frères chiliens, au cours d’une tenue clandestine à Concepción, peu après la mort de Salvador Allende, et il tient ces propos, en forme de conclusion : « Depuis ce jour l'idéal d'une République universaliste, laïque et sociale occupe la place centrale dans mon Panthéon. Un idéal commun à la Franc-Maçonnerie et à la République. Une conscience qui est un combat de tous les instants. Il fut et demeure le mien dans mon engagement philosophique, politique et maçonnique. Le fil rouge d'une vie. » Il est aussi le nôtre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cf. Gérard Delfau, Martine Charrier, Je crois à la politique, Éditions L’Harmattan, 2020.

Un ringraziamento particolare ad Alain de Keghel, che ci ha segnalato questo libro, autobiografia di Patrick Kessel, il più giovane Gran Maestro nella storia del Grande Oriente di Francia.

I ricordi di un uomo che è stato membro dei gabinetti ministeriali sotto la presidenza socialista; finisce in prigione in Messico; sfugge all'attentato di rue des Rosiers a Parigi; conduce una delegazione di diverse centinaia di massoni ad Auschwitz insieme a suo padre, un sopravvissuto di questo campo di sterminio;  a Santiago del Cile apre segretamente la prima loggia della resistenza massonica sotto Pinochet; segue le orme del giovane Chang arrestato dalla dittatura maoista; copre la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo; viaggia attraverso l'Iran alla ricerca degli ultimi massoni braccati dalla Repubblica Islamica…

 

Il testo seguente, per la maggior parte, ripete la Prefazione di Marianne toujours! di Gérard Delfau, senatore onorario, direttore della collezione Débats laïques, Edition L'Harmattan:

Con Marianne toujours! Patrick Kessel, giornalista ed ex Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, ci propone un'opera la cui profondità e ricchezza non si può riassumere in poche righe. Come definire la sua opera? A prima vista si tratta di ricordi, il racconto di una vita di stupefacente pienezza e di una grande unicità di pensiero, anzi di ideale: 50 anni di impegno laico e repubblicano, ci dice lui stesso, nel sottotitolo. E, infatti, i capitoli dedicati alla sua azione a favore della libertà di coscienza, in Francia, si alternano agli incessanti viaggi che compie dalla Cina a Santiago del Cile, passando per Praga, Gerusalemme, Gaza, Mosca, Cotonou, Buenos Aires, tra l'altro, al fine di promuovere gli ideali della Massoneria e incontrare gli attivisti, a volte perseguitati, a volte tollerati, raramente riconosciuti, dai governi di questi paesi. "Tribolazioni", dice lui simpaticamente nel testo per alludere, senza volerlo spiegare, a quante di queste missioni implicassero rischi... Ma racconta anche di 50 anni di impegno a favore di una sinistra, di cui condivide le speranze e, più spesso, delusioni. Per le sue funzioni, è generalmente vicino ai leader politici, consigliandoli o ammonendoli, senza mai voler essere lui stesso in una posizione elettiva, nonostante diverse proposte che gli sono state fatte. Così si dispiega davanti ai nostri occhi una lunga storia. Da "l'avventura di sinistra" della sua giovinezza, poi "mitterandiana", seguita da quella che ho chiamato "la delusione Jospin[1] ", ci conduce, dopo l'intermezzo di Sarkozy, all'attuale cancellazione del PS e del "socialismo dal volto umano", a cui dedica alcune sue analisi. Ma che non si equivochi; non si tratta di un manifesto o della presa di posizione di un leader di partito, ma solo la testimonianza di un militante che non vuole arrendersi nonostante le avversità del momento. Lungo il percorso, la sua storia ci fa rivisitare episodi poco o mal conosciuti, come la candidatura di Jean-Pierre Chevènement, alle elezioni presidenziali del 2002, per la quale si impegna e si oppone alla sua componente di destra, in particolare quando rifiuta l' appello al voto per Jacques Chirac, al secondo turno, per eliminare Jean-Marie Le Pen. E leggeremo, ovviamente con interesse, la sua descrizione, a piccoli tratti, di un personaggio straordinario, François Mitterrand, che ha accompagnato fin dagli anni '80. Vi si vedrà un misto di ammirazione, e anche di fascino, ma anche prese di distanza, disaccordi e rimpianti per il debole coinvolgimento del Presidente della Repubblica a favore della laicità, in particolare durante il doloroso abbandono della legge Savary, durante i primi sette anni. Vedremo invece apparire nomi illustri come quello di Manuel Valls, allora Primo Ministro, il cui intervento potente e commovente all'Assemblea Nazionale all'indomani del barbaro attacco a Charlie Hebdo rimane nel ricordo. Questa cronaca di mezzo secolo di storia della sinistra sarà d'ora in poi indispensabile per chiunque voglia rivivere un periodo ingiustamente considerato dall'opinione pubblica.

Peraltro, l'essenziale non è questo. Il suo approccio è di un altro ordine: ciò che conta davvero per lui è il suo impegno massonico. Entrato giovanissimo nel Grande Oriente, seguendo l'esempio del padre, dedica la sua vita a questa causa. Vuole far conoscere questa organizzazione, la sua storia interna, il significato di iniziazione nella pratica delle logge, e il ruolo discreto, ma importante, che questa istituzione svolge all'interno della Repubblica dalla fine del XIX secolo e nel proseguimento del secolo dei Lumi. Possiamo anche dire che il suo accesso alla carica di Gran Maestro, nel 1994-1995, il suo tentativo di rinnovare il funzionamento della struttura, soprattutto propugnando la possibile adesione delle donne, con la levata di scudi che ha suscitato, siano al centro del libro. Lo si percepisce ferito e, tuttavia, ancora determinato a sostenere gli sforzi di coloro che, secondo lo spirito di Fred Zeller, pittore di talento, militante politico e notevole Gran Maestro, fanno vivere, a tutti i livelli, il Grande Oriente di Francia. Gli dedica molte belle pagine in cui evoca scene divertenti e personaggi noti e sconosciuti incontrati durante i suoi viaggi in giro per il mondo che danno un'immagine inaspettata dei massoni.

La sua storia sarà utile a tutti quelli che accolgono le giovani leve nelle logge, e che hanno il compito di tramandare l'eredità. E stimolerà la riflessione collettiva in questo momento di confusione e di dubbio. Questo per quanto riguarda la dimensione di memoria, o cronaca di un massone militante. Ma questo richiamo alle qualità autobiografiche della storia è ben lungi dall'esaurirne la ricchezza.

Infatti, ciò che più mi colpisce è l'appassionata difesa del principio di Laicità-Separazione, sancito dalla legge del 1905 e consustanziale alla Repubblica. L'autore denuncia le derive attuali, che coniugano gli accomodamenti di una presunta laicità aperta con tesi decolonialiste e razziste, provenienti da oltre Atlantico. In nome della parità di diritti per le donne e della libertà di coscienza, rifiuta la tentazione comunitaria, sullo sfondo dell'identità etnica e/o religiosa, con i rischi che essa comporta per la pace civile. E prende una posizione ferma contro l'islamismo politico. Questo ci è valso un resoconto dettagliato, dall’affaire del velo di Creil del 1989, segnato dagli errori di una parte della sinistra, agli attentati terroristici del 2015, compreso il sostegno alla Commissione Stasi e il voto della legge che vieta di indossare segni visibili a scuola, nel 2004. Con questa affermazione, che riassume la sua filosofia e getta luce sul titolo del libro: Ma gli islamici probabilmente non sanno che l’acacia, simbolo dei maestri muratori, rifiorisce sempre.

Non si limita, inoltre, alla lotta per le idee. Vuole essere un attore a tutti gli effetti. A tal fine ha fondato, con altre personalità, alla fine del 1990, il Comité Laïcité République, che oggi occupa un posto eminente nel dibattito pubblico. E ha creato, nel 1992, la loggia République, che rimane in prima linea in questa battaglia nell’obbedienza. Abbiamo condiviso insieme questi impegni.

Infine, al termine di un lungo viaggio e per congedarsi, evoca il ricordo del canto de la Marsigliese, uscito dalle bocche dei suoi Fratelli cileni, durante una rappresentazione clandestina a Concepción, poco dopo la morte di Salvador Allende, e fa queste osservazioni in forma di conclusione: “Da quel giorno l'ideale di una Repubblica universalista, laica e sociale ha occupato il posto centrale nel mio Pantheon. Un ideale comune alla Massoneria e alla Repubblica. Una coscienza che è una lotta continua. Era e rimane mio, nel mio impegno filosofico, politico e massonico. Il filo conduttore di una vita”.  Che è anche il nostro.

 



[1] Cfr. Gérard Delfau, Martine Charrier, Je crois à la politique, Éditions L’Harmattan, 2020.

 

martedì 7 dicembre ore 19

CIRCOLO DEI LETTORI


Opening della PERFORMANCE ARTISTICA

BIOMAPS


PROGETTO

SUPERBUDDA 

 

INSTALLAZIONE E PERFORMANCE

MATTEO MARSON e GABRIELE OTTINO 

 

MUSICA

NICOLA BROVELLI, VIOLONCELLO

 

Nella metà del XVI secolo il medico senese Pietro Andrea Mattioli pubblica quello che può essere definito il primo best seller della botanica antica, un manuale su piante medicinali (e non solo) e materia medica di oltre 1500 pagine.

Il prezioso volume, dato in prestito dalla Libreria Antiquaria Pregliasco, nelle mani del Collettivo Superbudda si trasforma, attraverso algoritmi e programmi grafici, in immagini e suoni inediti che rendono il Circolo un suggestivo erbario immateriale.

Una performance e una videoinstallazione dimostrano, così, come illustrazioni tanto lontane nel tempo possono continuare a vivere e a ispirare nuove riflessioni creando una continuità tra la tecné degli antichi intellettuali e le tecniche offerte dalla tecnologia, in un rimando dialettico tra originale e rielaborato, antico e moderno.

 

Saluti istituzionali di Giulio Biino ed Elena Loewenthal, Fondazione Circolo dei lettori, Dario Gallina, Camera di commercio di Torino.

 

Nell’ambito di Giri di parole, progetto di Fondazione Circolo dei lettori con il sostegno di Camera di commercio di Torino

 

Pietro Andrea Mattioli (Siena12 marzo 1501* –Trento1578) è stato umanistamedico e botanico.

(*1500 anno ab incarnatione).

Sono oltre sessanta le edizioni in lingue diverse (latino, inglese, francese, volgare italiano…) del suo volume, pubblicato per la prima volta in volgare italiano nel 1544 e in lingua latina nel 1554, rimasto un punto di riferimento fondamentale per gli studiosi di botanica almeno per tutto il XVII secolo.

Si tratta di un’opera enorme (l’edizione qui presentata, pubblicata nel 1568 in volgare italiano, ha più di 1600 pagine), nella quale Mattioli esprime le sue opinioni su quello che dicono gli antichi, in particolare Dioscoride su piante medicinali (e non solo) e materia medica: non più, quindi, accettazione acritica di quanto è stato detto nel passato ma sua analisi critica e aggiornamento in base alle nuove conoscenze acquisite nel corso dei secoli e a uno studio filologico sul testo greco originale, epurato dalle interpolazioni medievali.

 

(*) A quell'epoca, nel Senese e nel Fiorentino, si utilizzava un calendario diverso da quello usato attualmente e che inizia con il primo di gennaio. Quello senese e fiorentino, infatti, iniziava il 25 marzo, ovvero il giorno dell'Annunciazione a Maria.

Tutte le date erano quindi un anno indietro tra il 1º gennaio e il 24 marzo.

Questo modo di contare gli anni si chiamava ab incarnatione e poiché Mattioli nacque e morì proprio nei primi mesi dell'anno, ne derivano due date diverse sia per la sua data di nascita che per quella di morte, a seconda del calendario considerato.

Mentre infatti per il calendario gregoriano il 1501 va dal gennaio 1501 al dicembre 1501, per quello senese e fiorentino i primi tre mesi dell'anno, ovvero dal primo gennaio al 24 marzo, si è ancora nel 1500. Bisogna quindi fare attenzione allo stile delle date per quanto riguarda la biografia di Mattioli come per quella di altri personaggi dello stesso periodo, anche perché papa Gregorio XIII riformò il calendario nel 1582 saltando 10 giorni in ottobre, ma i domini fiorentini si allinearono al nuovo calendario solo a partire dal 1750.